Azerbaigian, tra energia e multiculturalismo
 
Nova in Azerbaigian

 

Baku, 31 gen - (Agenzia Nova) - Dalla linea del fronte del Nagorno-Karabakh, a ridosso dei territori occupati dagli armeni nella regione internazionalmente riconosciuta come parte dell’Azerbaigian, alla modernità della capitale Baku, simbolo di uno sviluppo economico sostenuto soprattutto dallo sfruttamento delle ingenti risorse energetiche. “Agenzia Nova” ha avuto l’occasione di recarsi in missione in Azerbaigian, dal 24 al 29 gennaio, incontrando diversi rappresentanti del mondo politico, imprenditoriale e socioculturale del paese caucasico. Il protrarsi del conflitto “congelato” del Nagorno-Karabakh tra l’Armenia e l’Azerbaigian è stato al centro della tappa nel villaggio di Giogiug Margianli, un’area all’estremità meridionale della linea di contatto “riconquistata” durante la “guerra dei 4 giorni” nell’aprile del 2016. Diretta conseguenza del conflitto dei primi anni Novanta, inoltre, la questione degli 86mila “profughi interni”, ovvero degli abitanti della regione del Nagorno Karabakh di origine azerbaigiana fuggiti in altre aree dell’Azerbaigian, che si aggiungono a circa un milione di persone espulse dall’Armenia e dai sette distretti azerbaigiani adiacenti alla regione del Nagorno Karabakh. I 20 anni dall’istituzione del fondo statale per le risorse petrolifere (Sofaz) e la visita alla sede centrale della compagnia energetica Socar sono stati invece occasione per analizzare lo sviluppo del paese, fondato sullo sfruttamento del petrolio e del gas ma a cui si affianca una crescente consapevolezza della necessità di diversificare l’economia. La visita al porto di Baku è emblematica per quest’ultimo aspetto, in particolare alla luce dello sviluppo del moderno scalo portuale di Alat che si propone come “hub commerciale dell’Eurasia” e snodo cruciale al centro della Nuova Via della Seta. 

 
 
Il Corridoio meridionale del gas e i 20 anni di Sofaz
 

Baku, 31 gen - (Agenzia Nova) - L'Italia si è assicurata il progetto del Corridoio meridionale del gas prevalendo su una grande concorrenza internazionale per aggiudicarsi le forniture dal giacimento Shah Deniz 2”. Il vicepresidente della società petrolifera statale azerbaigiana Socar, Elshad Nassirov, ha accolto con questa affermazione i giornalisti di alcune testate italiane tra cui "Agenzia Nova" nel suo ufficio al 37mo piano di un moderno grattacielo di Baku. Socar, multinazionale che impiega 60mila persone in Azerbaigian più 15mila all’estero, è uno degli azionisti (con una quota del 20 per cento) del gasdotto Trans-adriatico (Tap), insieme a Bp (20 per cento), Snam (20 per cento), Fluxys (19 per cento), Enagas (16 per cento) e Axpo (5 per cento). Nassirov ha ricordato che l'attuale percorso che porterà il gas dai giacimenti azerbaigiani del Mar Caspio alle coste della Puglia è stato stabilito nel 2013, in alternativa ad altri progetti competitivi come il Nabucco, che doveva far arrivare il gas azerbaigiano all'Austria da Georgia, Turchia, Bulgaria, Romania e Ungheria. L'attuale Corridoio meridionale del gas, formato dai gasdotti Trans-anatolico (Tanap, 1850 chilometri) e Tap (878 chilometri), ha scalzato la concorrenza di diversi altri progetti e per questo, ha sottolineato il numero 2 di Socar, “è importante rispettare la scadenza del 2020 per le prime forniture all'Italia”. Nassirov ha spiegato che le forniture di gas dal giacimento di Shah Deniz 2 saranno ripartite grosso modo in questa maniera: 6 miliardi di metri cubi di gas alla Turchia; mezzo miliardo per l'Albania (o più a seconda delle esigenze); un miliardo alla Grecia; un altro alla Bulgaria tramite l'interconnettore Igb; fino a 18 miliardi di metri cubi per l'Italia "se ne avrà bisogno". "Se i paesi dell'Unione europea avranno più bisogno possiamo trasportare il gas anche da Kazakhstan e Turkmenistan", ha affermato Nassirov indicando anche un'altra opportunità per potenziare le forniture collegando i giacimenti del Mediterraneo orientale con il Tanap attraverso la Turchia. 

 

Attira l’attenzione anche il progetto del gasdotto Trans-caspico, un progetto a suo modo di vedere reso più facile dalla convenzione sullo status legale del Mar Caspio siglata dai cinque Stati rivieraschi nell’estate del 2018. Un’alternativa, utilizzata fino al 2016 ovvero prima delle sanzioni contro Teheran, è quella di fare arrivare il gas sotto forma di Gnl utilizzando le infrastrutture esistenti dal Turkmenistan all’Iran in modo da connettersi con l’Azerbaigian. In questo contesto, la creazione del gasdotto Transcaspico non è una necessità assoluta, considerando la vicinanza tra i giacimenti offshore azerbaigiani e quelli turkmeni, ragione per cui sarebbe infatti sufficiente un’inter-connettore tra i due paesi per includere nel Corridoio meridionale del gas anche il Turkmenistan.
 
Nel dicembre 2019 ricorrerà il 20mo anniversario della creazione del fondo sovrano azerbaigiano per la gestione delle risorse petrolifere (Sofaz). Nel corso di un briefing con i giornalisti italiani il vicedirettore esecutivo di Sofaz, Israfil Mammadov, ha ripercorso i principali passi che hanno portato alla creazione di questo ente, incaricato di gestire tutti i proventi derivanti dal petrolio: il “contratto del secolo” per lo sviluppo del grande giacimento Azeri-Chirag-Guneshli nel 1994, “più esteso dell’area metropolitana di Londra”, segna l’inizio di un percorso che culmina nel 1999 con la creazione del fondo. A differenza di altri fondi statali, come ad esempio quello norvegese che fa capo alla Banca centrale, Sofaz è un’entità legale separata. “E Sofaz ha una responsabilità speciale in quanto si può dire che appartiene al popolo”, ha affermato Mammadov spiegando che tre sono i “pilastri” che guidano la sua attività: garantire la stabilità macroeconomica del paese; sostenere progetti nazionali per lo sviluppo socio-economico; investire sulle future generazioni. Sofaz è il fondo incaricato di gestire tutti i proventi derivanti dal petrolio, e il vicedirettore indica in 38,5 miliardi di dollari l’attuale portafoglio. Una delle voci di spesa più consistenti è relativa al sostegno per i profughi del conflitto del Nagorno-Karabakh (per cui nel corso degli anni sono stati stanziati 2,6 miliardi di dollari; altre voci di spesa hanno riguardato il gasdotto Baku-Tiblisi-Ceyhan e la ferrovia Baku-Tiblisi-Kars. Inoltre sono state concesse divere borse di studio per sostenere gli studenti del paese che vogliono andare per un periodo all’estero. Secondo quanto spiegato da Mammadov, la legge azerbaigiana prevede che Sofaz non può investire nel settore privato dell’Azerbaigian. “L’Italia rappresenta una delle destinazioni preferite per gli investimenti del fondo”, ha dichiarato Mammadov secondo cui gli attuali investimenti del fondo Sofaz in Italia si attestano attorno ai 446 milioni di dollari.
 
 
 
La questione del Nagorno-Karabakh
 

Baku, 31 gen - (Agenzia Nova) - Il 2019 si è aperto all’insegna di un “cauto ottimismo” che accompagna l’ intensificarsi dei negoziati tra Azerbaigian e Armenia per risolvere l’annosa questione del Nagorno-Karabakh. Il capo della sezione per la politica estera dell'amministrazione del presidente della Repubblica dell'Azerbaigian, Hikmat Hajiyev, che “Agenzia Nova” ha potuto incontrare, ha evidenziato anche che “se questo conflitto venisse risolto, sarebbe l’Armenia a trarne i maggiori benefici, essendo un paese senza sbocco al mare e al momento alle prese con un continuo calo demografico”. L’Azerbaigian, di contro, dopo anni difficili all’indomani dell’indipendenza sta registrando una crescita sostenuta del Pil. L’Azerbaigian sta anche contribuendo alla sicurezza energetica dell’Europa, e l’Ue è anche il principale partner commerciale del paese”, ha aggiunto. “Ci sono quattro risoluzioni dell’Onu che prevedono il ritiro immediato delle truppe dell'Armenia da tutti i territori occupati dell'Azerbaigian, inclusa la regione del Nagorno-Karabakh. Solo così potrà essere sbloccata la situazione per una soluzione politica del conflitto”, ha affermato. “Serve il sostegno della comunità internazionale per arrivare ad una soluzione pratica del conflitto del Nagorno-Karabakh”, ha proseguito Hajiyev, ricordando che recentemente è stato in visita in Azerbaigian l'allora sottosegretario degli affari esteri italiano Mario Raffaelli, primo presidente del Gruppo di Minsk dell'Osce, che era “dalla parte dell’onestà” con un approccio “equidistante” tra Armenia e Azerbaigian, che ha prodotto un rapporto all’Onu nel quale viene richiesto il rispetto dell’integrità territoriale del paese. Hajiyev ha sottolineato come l’Azerbaigian guardi “anche all’esempio del Tirolo per la risoluzione conflitto”, precisando di “non intendere affermare che dobbiamo copiare questo modello. Ma credo che le due parti in conflitto potrebbero recarsi insieme in Tirolo per vedere come può avvenire la convivenza pacifica tra le due comunità”. Infine, un accenno positivo al recente cambiamento del governo in Armenia: l’esecutivo del premier Nikol Pashinyan, a differenza di quello precedente formato da “criminali di guerra”, lascia aperta a suo modo di vedere una speranza che Erevan “non ripeterà gli errori del passato”. “Non c’è alternativa alla convivenza pacifica tra le due comunità della regione azerbaigiana del Nagorno-Karabakh”, ha concluso il rappresentante presidenziale. 

 

“La presidenza italiana dell’Osce è coincisa con l’adozione di una dichiarazione congiunta tra Azerbaigian e Armenia per la prima volta dopo il cambiamento del governo a Erevan, contribuendo ad aprire la strada all’attuale intensificazione dei negoziati per risolvere l’annosa questione del Nagorno-Karabakh”, ha dichiarato la portavoce del ministero degli Esteri dell’Azerbaigian, Leyla Abdullayeva, durante un incontro con i giornalisti italiani a Baku. Il riferimento della portavoce è alla dichiarazione di Milano, adottata lo scorso dicembre nell'ambito della ministeriale a chiusura della presidenza italiana dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce), nella quale “c’è un punto in cui entrambe le parti si dicono pronte a continuare le trattative”. Nel gennaio 2019 si è avuta a Parigi un'altra riunione tra i ministri degli Esteri azerbaigiano e armeno, Elmar Mammadyarov e Zohrab Mnatsakanyan, nel formato 2+3 (Azerbaigian e Armenia + Russia, Stati Uniti e Francia, in qualità di co-presidenti del gruppo di Minsk dell’Osce) ed è stato pianificato un nuovo incontro per le prossime settimane. “L’Azerbaigian ha una posizione geostrategica complessa e questo influenza certamente la nostra politica estera”, ha spiegato la portavoce sottolineando il problema del 20 per cento del territorio azerbaigiano occupato. “Il nostro obiettivo è sviluppare al massimo il nostro paese per essere ancora più pronti a reintegrare la parte restante del nostro territorio attualmente sotto occupazione”, ha spiegato la rappresentante del ministero di Baku, aggiungendo che tutti i progetti infrastrutturali ed energetici strategici nel Caucaso sarebbero ancora più funzionali “se anche l’Armenia capisse che, senza l’occupazione dei territori dell’Azerbaigian incluso il Nagorno Karabakh, l’intera regione sarebbe molto più sviluppata”. Secondo la portavoce del ministero degli Esteri di Baku, tuttavia, sarebbe avventato parlare di “una svolta vicina” soprattutto in quanto Erevan non ha fatto ancora piena chiarezza sulla sua posizione. Un nodo, secondo quanto sembra emergere dalle parole della portavoce, è che Baku vuole che l’esercito dell’Armenia permanente nell'area si ritiri dai territori occupati, in modo che i profughi azerbaigiani che hanno dovuto abbandonare la regione durante il conflitto possano ritornare.

 

“Agenzia Nova” ha potuto incontrare anche il capo della comunità azerbaigiana del Nagorno-Karabakh, Tural Ganjaliyev, il quale ha dichiarato che ”l’attuale governo dell’Armenia, a differenza di quello precedente, non è guidato da persone che hanno partecipato direttamente alle operazioni militari nell'ambito del conflitto del Nagorno-Karabakh e questo ci fa sperare che possiamo recuperare il nostro territorio con le trattative". “Siamo pronti a convivere pacificamente con la comunità armena nella nostra terra come avveniva prima del 1988, ma il governo di Erevan non lo deve impedire”, ha affermato l'originario di Shusha, città della regione azerbaigiana del Nagorno-Karabakh abitata prima del conflitto per il 98 per cento da azerbaigiani. “In questa fase - ha proseguito, è essenziale preparare la popolazione alla soluzione del conflitto, per questo sarebbe essenziale il dialogo. In questo senso la comunità azerbaigiana ha più volte invitato la parte armena a sedersi intorno a un tavolo, ma tale invito è stato sempre respinto. Speriamo che l’Italia possa far sentire la sua voce all’interno del gruppo di Minsk. Una soluzione alla questione sarebbe positiva per lo sviluppo economico dell’intera regione del Caucaso”.

 

L’estrema difficoltà di una soluzione concreta appare più evidente nelle regioni a ridosso dei territori occupati. "Agenzia Nova" ha potuto visitare la linea di contatto sul fronte incontrando le istituzioni locali di Khojavand (distretto del Nagorno Karabakh di 1.458 chilometri quadrati, di cui solo per 14mila ettari sotto controllo azerbaigiano) e Jabrayil, territorio di cui solo una piccola porzione è sotto controllo azerbaigiano in quanto uno dei sette "distretti adiacenti" al Nagorno-Karabakh in ampia parte sotto occupazione militare dell'Armenia (dove è stata creata una sorta di zona cuscinetto): Fizuli, Zangilan, Qubadli, Lachin, Kalbajar, Agdam (oltre appunto a Jabrayil). Il conflitto del Nagorno-Karabakh spesso definito "congelato" ha visto nell'aprile del 2016 il rischio di una nuova escalation delle tensioni, in quella conosciuta come "la guerra dei quattro giorni". Per toccare con mano le conseguenze di questa recente recrudescenza dell'ostilità, nel villaggio di Giogiug Margianli, nel distretto di Jabrayil, è stato creato un memoriale per le 22 giovanissime vittime azerbaigiane cadute durante la "guerra dei 4 giorni", in quest'area all'estremità meridionale della linea di contatto con i territori occupati dall'Armenia ed a solo due chilometri dall'Iran. Qui si può percepire che la definizione di conflitto "congelato" è in parte fuorviante. Il villaggio di Giogiug Margianli è l'unico del distretto di Jabrayil ad essere tornato sotto il controllo dell'Azerbaigian. Nel 2016 le truppe azerbaigiane, a detta del personale militare incontrato in risposta ad un attacco armeno, sono riuscite a riconquistare circa 8 mila ettari di territorio. Mentre, questa volta su iniziativa azerbaigiana, le truppe di Baku sono riuscite nel 2018 a prendere il controllo di altri 11 mila ettari di territorio nel Naxchivan, l'exclave dell'Azerbaigian. "La popolazione azerbaigiana vuole una soluzione pacifica, ma è sfiduciata per il protrarsi delle trattative", ha affermato il capo dell’organo esecutivo del distretto di Jabrayil, Kamal Hasanov, dove all'indomani della fine della guerra dei quattro giorni nel 2016 è stato allestito in poco tempo un campo profughi che già accoglie quasi 150 famiglie. Tale sviluppo molto significativo è stato possibile grazie al fatto che i militari dell'Azerbaigian hanno ripreso il controllo di una parte di territorio e, in particolare, di una collina fondamentale per garantire la sicurezza della popolazione nell'area. Nonostante ciò, considerando che il villaggio dista solo 500 metri dalla linea di contatto, la zona rimane presidiata dai militari e permangono alcuni problemi legati alla sicurezza per cui non si può ancora procedere verso l'obiettivo di sistemare tutte le 428 famiglie come in base ai piani iniziali.

 

"Se dovesse esserci una guerra oggi l'Azerbaigian è molto più forte dell'Armenia dal punto di vista militare", ha assicurato Hasanov. "La popolazione locale – ha affermato - è stanca. Le trattative non possono durare per sempre. Comunque continuiamo a sperare nella diplomazia e ci fidiamo delle nostre istituzioni; dall'altra parte ricevo spesso richieste dai profughi sul fatto che la pazienza sta per finire e che dopo 25 anni sono urgenti sviluppi concreti". Qui le "ferite" del conflitto sono ancora aperte e la pazienza di coloro che vorrebbero tornare nelle loro terre non sembra infinita. Stesso discorso vale anche per il distretto di Khojavand, dove la creazione di campi profughi è più strutturata essendo stata avviata già da molti anni. "I primi soldi provenienti dal petrolio sono stati impiegati dal governo dell'Azerbaigian per finanziare alcuni campi profughi", ha spiegato Eyvaz Huseynov, capo del distretto di Khojavand, amministrato temporaneamente dal distretto azerbaigiano di Beylagan. Secondo quanto denunciato dalle persone incontrate, nel 1992 gli armeni hanno commesso "un genocidio" tra i residenti dell'area di Khojaly con una media di un civile su dieci ucciso, con un totale di 613 persone, incluse donne e bambini. Nella parte sotto controllo azerbaigiano di questo distretto sono stati allestiti due campi profughi, per molti aspetti dei veri e propri villaggi dotati di tutti i servizi basilari: uno (il più grande dell'area con 500 famiglie ospitate) creato grazie ai finanziamenti dello stato e inaugurato nel 2008 alla presenza del presidente Ilham Aliyev; l'altro tramite il sostegno delle organizzazioni internazionali già nel 2002. Gli abitanti di questi centri sono inoltre esentati dal pagamento della luce e del gas assicurati dallo stato. Il capo del distretto di Khojavand ci spiega che questa primavera sarà aperto un altro centro profughi nell'area. "Ma ancora circa il 50 per cento degli 11 mila profughi presenti nell'intero distretto di Beylagan non è stata sistemata", ha affermato.

 
 
Modello di tolleranza nell'islam

 

Baku, 31 gen - (Agenzia Nova) - L’Azerbaigian punta ad essere “un nuovo modello” contro la radicalizzazione nell’Islam sulla base della convivenza “storicamente pacifica” tra musulmani sciiti e sunniti, oltre che tra le varie comunità religiose presenti nel paese del Caucaso. Questo il quadro che emerge da una serie di incontri, a cui ha preso parte “Agenzia Nova” a Baku, con i rappresentanti delle varie comunità religiose dell’Azerbaigian. A parlare di “nuovo modello” di convivenza è stato Haji Sabir Hassanli, amministratore della moschea Heydar di Baku - una delle più grandi in Europa (estesa su un territorio di 22 ettari, con minareti alti 95 metri e una capacità di 5000 persone), costruita in due anni tra il 2012 e il 2014 – che è anche rettore dell’università islamica della capitale azerbaigiana e vice sceicco del paese. L’Azerbaigian è un paese sostanzialmente laico, con la separazione tra Stato e confessioni religiose prevista dalla Costituzione che garantisce uguali diritti a tutte le religioni, ma il 94 per cento della popolazione può essere considerato musulmano. Gli sciiti – ha spiegato il vice sceicco - rappresentano il 60 per cento dei musulmani dell’Azerbaigian, mentre i sunniti contano per il restante 40 per cento.

“L’Azerbaigian è un paese multiculturale”, ha sottolineato Hassanli ricordando in particolare la visita di Papa Francesco nel 2016 nella moschea di Baku e la “preghiera dell’unità” fatta insieme tra sciiti e sunniti, “un esempio di fratellanza e di dialogo per tutto l’islam”. “Gli altri paesi islamici dovrebbero accettare e non dovrebbe esserci divisione”, afferma. Secondo quanto indicato, oggi in Azerbaigian ci sono 2.300 moschee, mentre nel periodo dell’Unione sovietica tali luoghi di culto, così come per le chiese ortodosse e cattoliche, erano state distrutte. A modo di vedere di Hassanli, nei giovani azerbaigiani vi è una crescente attenzione per l’islam, in quanto si sentono più liberi dopo la fine dell’Urss, e ora “in Azerbaigian abbiamo anche un’università islamica, fondata nel 1989, che conta 400 studenti”. Come spiegato dal religioso, lo stato in Azerbaigian oggi paga gli stupendi dell’imam e degli altri funzionari, i quali sono esentati dal pagamento delle bollette. Ma l’Azerbaigian è un paese laico e anche le altre comunità religiose ricevono donazioni e altre forme di sostegno.
 
Conferme del trattamento positivo assicurato dal paese caucasico sono arrivate nel corso degli incontri a Baku anche dalla comunità ebraica e da quella cattolica. La comunità ebraica dell’Azerbaigian conta 30 mila fedeli, che vivono prevalentemente nelle città di Quba, Baku e Ganja, e sono articolati in tre gruppi: gli ebrei della montagna, gli ebrei dell’Europa e gli ebrei della Georgia. A spiegare la posizione degli ebrei della montagna, che contano 15 mila fedeli in Azerbaigian, è stato Melikh Yevdayev, capo di questa comunità che si riunisce a Baku in una sinagoga costruita nel 2011 grazie alle donazioni della presidenza azerbaigiana. “Noi ebrei della montagna siamo una comunità presente da oltre 25 secoli in Azerbaigian”, ha spiegato Yevdayev. Il capo degli ebrei della montagna sostiene di sentirsi “più sicuro qua che in Europa”, in quanto in Azerbaigian non si riscontra alcun episodio di intolleranza o radicalizzazione. “In Azerbaigian ora ci sono 9 sinagoghe e 2 scuole ebraiche, oltre che alcuni asili e collegi religiosi”, ha spiegato aggiungendo che rimane ancora sulla carta la volontà di creare un museo degli ebrei della montagna a Quba.
 
Certamente più minoritaria la comunità cattolica dell’Azerbaigian, che è rappresentata dal parroco che gestisce la chiesa dell’Immacolata concezione, l’unica del paese: lo slovacco Vladimir Baksa. “Durante l’Unione sovietica non c’era nessuna chiesa; l’unica pre-esistente era stata distrutta negli anni Trenta. Ma nel 1996 è arrivato un prete da Tbilisi, in Georgia, e nel 2000 sono stati invitati a Baku i salesiani”, ha spiegato Baksa ricordando la storica visita del 2002 da parte di papa Giovanni Paolo II a seguito della quale “la comunità cattolica ha avuto un grande sviluppo e la gente ha cominciato a sapere della loro presenza”. Proprio dopo tale visita il governo donò alla comunità salesiana il terreno sul quale fu eretta la chiesa dell'Immacolata concezione. I cattolici che vivono in Azerbaigian sono 300, ma calcolando anche alcune persone che lavorano per alcune società straniere si arriva a 600. Il numero totale dei cristiani in Azerbaigian - composti da ortodossi, cattolici, protestanti e varie comunità confessionali, è di circa 200 mila, il 2 per cento della popolazione totale. La comunità maggiore è quella degli ortodossi. I rapporti tra la comunità cattolica e lo stato dell’Azerbaigian sono regolati da un concordato siglato nel 2011.