Dopo mesi di stallo, lo scenario per una soluzione della crisi in Venezuela è tornato da alcuni giorni in forte movimento. Ai laboriosi tentativi negoziali condotti da tempo dalla Norvegia, si è affiancata nelle ultime ore l’iniziativa della Santa Sede, che a quanto ha riportato nei giorni scorsi “Agenzia Nova“ citando fonti vaticane, ha offerto la possibilità di celebrare incontri separati con il presidente Nicolas Maduro e con il leader dell’opposizione, Juan Guaidò, per poi arrivare a una sintesi. Un’iniziativa, chiarivano le fonti, con cui “Papa Francesco vorrebbe così ribadire la neutralità della Santa Sede e la volontà di non trovarsi schierato con gli uni o con gli altri”. Le cronache degli ultimi giorni parlano di un’accelerata verso un possibile ritorno delle opposizioni alle urne e la riapertura di un dialogo: attraverso un “Accordo di salvezza nazionale“, Guaidò offre un tavolo aperto all’intero fronte antigovernativo e ad esponenti del “regime”, con “autorevoli” soggetti internazionali che possano garantire il rispetto degli impegni presi.
Nella serata di ieri Guaidò ha sgranato i dettagli del possibile accordo: elezioni libere, apertura del paese a vaccini e aiuti umanitari dall’estero, la liberazione dei prigionieri politici e garanzie democratiche in cambio di un allentamento delle sanzioni internazionali condizionato al rispetto dei patti. Dopo averlo accusato di chiedere il negoziato solo perché a giunto a fine corsa, Maduro si è detto “pronto” a sedersi al tavolo, chiedendo la supervisione di Unione europea, Norvegia e il Gruppo internazionale di contatto (Gic), iniziativa euro-latino americana animata da Bruxelles. D’altro canto, la strada della mediazione oltre Tevere mette elementi nuovi sul tavolo: una garanzia di autorevolezza sul mantenimento degli impegni presi, richiesta insistente di parte delle opposizioni, e blindare il ruolo di Guaidò nelle trattative per l’uscita dalla crisi. L’ex presidente dell’Assemblea nazionale (An), cui oggi la Casa Bianca garantisce un sostegno meno evidente rispetto a quello offerto dall’amministrazione Trump, si trova oggi a mediare una non facile contrapposizione interna.
Il grosso delle forze antigovernative è scettico sull’apertura di un nuovo dialogo con Maduro, segnatamente sulla possibilità che questi sia in grado di rispettare gli accordi e non torni ad usare l’occasione per dilatare nel tempo la sua permanenza al potere. D’altro canto ai settori pur minoritari che mostrano stanchezza per la strategia del “muro contro muro”, dopo oltre due anni di risultati poco soddisfacenti, Maduro ha offerto un primo dialogo che si è concretizzato in un nuovo Consiglio nazionale elettorale, con l’ingresso di un oppositore di peso, Roberto Picon, già passato in carcere con l’accusa di aver tramato contro lo stato. In breve sono arrivati i primi risultati: per l’importante tornata amministrativa che si terrà a novembre, il Cne promette di rivedere a fondo l’anagrafe elettorale, apre a una missione di osservazione Ue e non esclude di affidare alle “autorità competenti” la restituzione dei diritti politici a soggetti sin qui esclusi.
Le ultime parole di Guaidò confermano l’accelerazione marcia impressa ai negoziati. Il leader oppositore ha detto oggi che rappresentanti delle due parti si sono già incontrati per definire “facilitatori” e “garanti” di un eventuale negoziato per l’implementazione dell’ “Accordo di salvezza nazionale”. “Che cosa manca? facilitatori e garanti”, ha detto Guaidò segnalando che “un processo di contatto si è già tenuto. Nessuno di fida della dittatura”, ha detto l’ex presidente dell’Assemblea nazionale ai microfoni di “VPItv” Guaidò ha ricordato la necessità della presenza di un soggetto autorevole, segnalando che la Norvegia, paese già alla guida del fallito tavolo del 2019, è una delle alternative possibili, ma non l’unica. “Non vogliamo ancora dire che sia l’unica, ma una delle possibilità”, ha detto l’oppositore insistendo sulla necessità di un cambio di passo nelle eventuali nuove trattative. “Processi negoziali li abbiamo già sostenuti. Non abbiamo bisogno di un altro processo fallimentare per dare alla dittatura modo di guadagnare tempo, di allentare la pressione internazionale… No, abbiamo bisogno di un accordo che ci porti ad elezioni libere e che permetta l’ingresso di aiuti umanitari”, ha sottolineato.
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