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Usa: l’invasione di migranti dal Messico mette in difficoltà l’amministrazione Biden

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L’amministrazione del presidente Joe Biden rifiuta per ora di definirla una “crisi”, ma l’ondata di migranti in arrivo negli Stati Uniti dal Messico sta mettendo in questi giorni in forte difficoltà la Casa Bianca. I numeri sono impressionanti: nel solo mese di febbraio le guardie di frontiera statunitensi hanno fermato quasi 100 mila migranti al confine con il Messico, in aumento rispetto ai 78 mila di gennaio. Il “New York Times” pubblica documenti inediti dell’agenzia federale per l’immigrazione, secondo i quali il numero di minori non accompagnati entrati irregolarmente negli Usa si è triplicato nelle ultime due settimane, attestandosi a quota 3.250. E circa 19 mila migranti, adulti e minori, sarebbero stati fermati dagli agenti di frontiera solo dal primo marzo scorso. Un flusso incessante che mette a rischio l’approccio “umano” promosso da Biden in tema di accoglienza. Molti dei giovani immigrati sono stati trasferiti in strutture di detenzione all’interno delle quali, tuttavia, per legge non possono restare per più di tre giorni. I minori dovrebbero essere portati in strutture di accoglienza del dipartimento della Salute e dei servizi umani, la cui capienza è stata però limitata dalle misure per il contrasto della pandemia di Covid-19.


Attualmente sono oltre 1.360 i minori detenuti nei centri predisposti lungo la frontiera con il Messico. Tra questi, 69 hanno meno di 13 anni. Più di 8.100 sono invece quelli ospitati nelle strutture gestite dal dipartimento della Salute e dei servizi umani, che possono generalmente ospitare fino a 13.600 persone ma la cui capacità è stata ridotta per le restrizioni anti-Covid. L’amministrazione Biden ha già aperto un centro d’emergenza a Carrizo Springs, nel Texas, il cui uso era stato duramente criticato durante la presidenza di Trump. La gestione della crisi è criticata sia a destra che a sinistra. La rappresentante progressista Alexandria Ocasio-Cortez ha scritto nelle ultime ore che la detenzione di intere famiglie “non va bene, non è mai andata bene e non andrà mai bene”. I Repubblicani hanno invece già fatto sapere che daranno ampio spazio alla questione migratoria durante la campagna per le elezioni di medio termine del 2022, attraverso le quali cercheranno di riprendere il controllo del Congresso.

Fin d’ora, inoltre, il Partito repubblicano può usare l’emergenza per contrastare gli sforzi dell’amministrazione volti alla regolarizzazione di milioni di immigrati sprovvisti di documenti. Biden ha infatti proposto di recente percorsi facilitati per rifugiati e richiedenti asilo e nuove vie legali per la regolarizzazione dei lavoratori stranieri. Ieri, lunedì 8 marzo, il dipartimento di Stato ha annunciato che gli stranieri respinti a partire dal 20 gennaio del 2020 in base al cosiddetto “travel ban” di Trump potranno ottenere un visto senza pagare ulteriori tasse. La situazione, osserva il “New York Times”, somiglia all’ondata migratoria del 2014 che riempì i centri di detenzione nel sud degli Stati Uniti e che successivamente avrebbe portato al duro giro di vite dell’ex presidente Donald Trump. Biden, all’epoca numero due dell’amministrazione di Barack Obama, visitò il Guatemala e dichiarò che la situazione non era “sostenibile”.

Alla fine della scorsa settimana il leader dei repubblicani alla Camera, Kevin McCarthy, ha indirizzato a Biden una lettera nella quale ha chiesto un incontro sull’emergenza. “Dobbiamo ammettere che vi è una crisi alla frontiera, sviluppare un piano e, nei termini più fermi, scoraggiare con forza gli individui dal Messico e dall’America centrale che decidono di intraprendere il pericoloso viaggio verso la nostra frontiera meridionale”, si legge nella lettera. I Repubblicani, infatti, sottolineano in queste ore come a incentivare l’immigrazione siano proprio le politiche della nuova amministrazione. Si tratta, tuttavia, di una lettura insufficiente a spiegare un fenomeno complesso, spesso politicizzato, che coinvolge diversi altri Paesi.

A partire dal Messico, il cui presidente Andres Manuel Lopez Obrador era stato un alleato chiave di Trump per l’imposizione di una stretta ai flussi migratori attraverso la frontiera comune. Il primo marzo scorso Biden ha avuto un colloquio con Lopez Obrador, chiedendogli aiuto per evitare che l’ondata di migranti dall’America centrale possa finire sotto controllo. Il presidente messicano, da parte sua, si è mostrato aperto alla collaborazione: al termine del colloquio è stato diramato un comunicato congiunto nel quale viene ribadito l’impegno comune verso il controllo dell’immigrazione, il contrasto al cambiamento climatico e il contenimento della pandemia. Tuttavia, tra Stati Uniti e Messico non sembra esserci piena sintonia. Lopez Obrador, che è stato uno degli ultimi leader a congratularsi con Biden per la vittoria elettorale dello scorso novembre, ha chiesto a Washington di varare un nuovo programma per i lavoratori immigrati dal Messico e dell’America centrale negli Usa, una richiesta sulla quale la Casa Bianca continua a frenare sottolineando la necessità di un passaggio dal Congresso.

L’atteggiamento di Biden nei confronti del proprio vicino a sud appare molto diverso rispetto a quello mantenuto dal suo predecessore. Per garantirsi la cooperazione di Lopez Obrador, Trump minacciò di colpire l’economia messicana attraverso dazi e la chiusura del confine. Biden, pur ammettendo la scorsa settimana che i due Paesi non sono stati in passato “perfetti vicini”, si è invece detto pronto ad aprire pienamente la frontiera comune non appena la pandemia lo permetterà. Un altro punto di contrasto sembra riguardare la collaborazione su dossier più delicati quali, ad esempio, il contrasto al narcotraffico. Nelle scorse settimane, dopo l’arresto di un ex ministro messicano negli Stati Uniti, Lopez Obrador ha deciso di dare una stretta alla cooperazione con gli agenti della narcotici Usa. Biden, nel corso dell’ultima conversazione, gli ha ricordato che “quel che succede in Messico ha effetti su tutto il resto dell’emisfero”.

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