Il procuratore capo della Corte suprema di appello della Turchia, Bekir Sahin, ha avviato ieri una causa presso la Corte costituzionale di Ankara per chiedere lo scioglimento del Partito democratico dei popoli (Hdp), formazione progressista e filo-curda di opposizione al presidente Recep Tayyip Erdogan che detiene ben 55 seggi su 600 alla Grande assemblea nazionale, il parlamento turco. Si tratta della prima causa ufficiale intentata per chiedere la messa al bando del partito filo-curdo, dopo una richiesta formulata in tal senso lo scorso gennaio dal presidente dell’ultraconservatore Partito per il movimento nazionalista (Mhp), Devlet Bahceli, partner di coalizione di Erdogan. Nell’atto che ha dato il via alla procedura, inviato anche alla stessa Corte suprema, il procuratore accusa il partito di essere “colluso con il gruppo terroristico Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan)” e di “mirare a distruggere l’unità del popolo e dello Stato”.
Oltre a chiedere lo scioglimento del partito per presunte violazioni dell’articolo 68 della Costituzione, l’atto del procuratore richiede di mettere al bando politicamente più di 600 membri del partito, inclusi gli attuali co-presidenti Pervin Buldan e Mithat Sancar e gli ex co-presidenti Selahattin Demirtas e Sezai Temelli. Un partito dissolto in via permanente non può essere ricostituito sotto un altro nome in Turchia, e ai membri del partito potrebbe essere impedito di fondare, dirigere, o anche solo aderire ad altre formazioni politiche per cinque anni. Nelle stesse ore, il parlamento di Ankara ha deciso, inoltre, di privare del suo seggio parlamentare il deputato dell’Hdp Faruk Gergerioglu, condannato lo scorso 19 febbraio a due anni e sei mesi di reclusione perché accusato di aver “fatto propaganda” in favore del Pkk.
A stretto giro è arrivata una prima reazione ufficiale dagli Stati Uniti: in una nota, il portavoce del dipartimento di Stato Ned Price ha affermato che Washington segue “da vicino” i “preoccupanti” sviluppi relativi all’Hdp. “Stiamo monitorando l’avvio di sforzi per la dissoluzione del Partito democratico del popolo, decisione che sovvertirebbe ingiustamente la volontà degli elettori turchi, minerebbe ulteriormente la democrazia in Turchia e negherebbe a milioni di cittadini turchi la loro rappresentanza eletta”, si legge nella nota. “Facciamo appello al governo della Turchia affinché rispetti la libertà di espressione, in linea con le tutele della Costituzione turca e con gli obblighi internazionali del Paese”. Alla nota statunitense la diplomazia di Ankara ha risposto con un duro comunicato, invitando “alcuni Paesi” – con chiaro riferimento agli Usa – a non interferire in inchieste e procedimenti avviati da tribunali indipendenti, accusando dichiarazioni come quelle della diplomazia statunitense di essere “incompatibili con lo Stato di diritto”.
Non sono mancate nemmeno reazioni interne. Kemal Kilicdaroglu, capo dell’opposizione e presidente del kemalista Partito popolare repubblicano (Chp), ha sottolineato in un discorso ripreso dal quotidiano “Sozcu” che “i partiti politici sono elementi indispensabili della democrazia”. Poiché i partiti che sopravvivono sono quelli che ricevono sostegno popolare, e quelli che non lo ottengono “sono gettati nella spazzatura della Storia”, occorre “smettere di chiudere partiti politici”, ha detto il leader dell’opposizione. In un messaggio pubblicato su Twitter anche Ali Babacan, ex vicepremier e leader del partito Deva, fuoriuscito dal partito Giustizia e sviluppo (Akp) di Erdogan, ha definito “irrispettoso” nei confronti degli elettori il tentativo di bloccare un partito da 6 milioni di voti. La mossa è stata condannata anche da Ahmet Davutoglu, già primo ministro turco, anch’egli dissidente dell’Akp e fondatore del partito Futuro (Gelecek): “Chiudere i partiti politici sconvolge la pace sociale”, ha scritto su Twitter.
L’Hdp è da tempo oggetto di controverse decisioni giudiziarie da parte delle autorità turche, che – a cominciare dai due partiti di governo, l’Akp e l’Mhp – considerano il partito curdo come un braccio politico del Pkk, gruppo paramilitare contro cui Ankara combatte da 40 anni e che considera (come anche l’Ue e Stati Uniti) come un’organizzazione terroristica. Da parte sua, il partito ha sempre negato l’esistenza di tale legame organico con il terrorismo. Nel corso degli anni numerosi membri del partito (decine di migliaia, secondo fonti curde) sono stati detenuti o condannati, anche per brevi periodi, dalle autorità turche. Anche nel corso di una maxi-operazione contro il Pkk condotta lo scorso 15 febbraio dalle forze di sicurezza turche in 40 province del Paese, conclusa con l’arresto di 718 sospetti, tra le persone arrestate figuravano funzionari dell’Hdp. Selahattin Demirtas, ex co-presidente e carismatico leader del partito, due volte candidato alla presidenza turca (nel 2014 e nel 2018), si trova in carcere in attesa di giudizio dal novembre 2016 proprio perché accusato di terrorismo in nome di presunti legami fra il suo partito e il Pkk. La Corte europea dei diritti dell’uomo si è pronunciata in due occasioni sul caso Demirtas (nel 2018 e nel 2020), chiedendo ad Ankara l’ultima volta di “rilasciare immediatamente” il politico filo-curdo. La vicenda di Demirtas ha anche causato divergenze all’interno dello stesso fronte di Erdogan, quando lo scorso novembre l’ex vicepremier e storico membro dell’Akp, Bulent Arinc, si è dimesso dalla carica di consigliere presidenziale dopo aver chiesto il rilascio del leader dell’Hdp.
Il partito, fondato nel 2012, ha ottenuto alle elezioni parlamentari del 7 giugno 2015 uno storico risultato del 13,12 per cento dei voti, superando l’elevata soglia di sbarramento (10 per cento) prevista dalla legge elettorale turca e costituendo il terzo gruppo parlamentare del Paese (80 seggi su 550). Nelle successive elezioni anticipate del primo novembre 2015 il partito ha nuovamente superato lo sbarramento, guadagnando un consenso del 10,76 per cento e 59 seggi su 550. Il partito ha confermato la sua buona performance alle ultime elezioni parlamentari del 24 giugno 2018, dove ha ottenuto l’11,70 per cento dei consensi e più di 5,8 milioni di voti, perlopiù raccolti nelle province a maggioranza curda del Paese. Il candidato presidenziale Demirtas si è classificato terzo alle elezioni del 2014 e del 2018, ottenendo rispettivamente il 9,7 e l’8,4 per cento dei consensi. Durante la breve parentesi del processo di pace con il Pkk avviato dal governo turco nel 2013, il partito filo-curdo ha avuto contatti costruttivi con l’Akp di Erdogan. I rapporti tra le due formazioni tuttavia si sono fortemente deteriorati a seguito delle proteste dell’autunno del 2014, scoppiate in seno alle comunità curde del sud-est della Turchia dopo l’avanzata dello Stato islamico contro la città di Kobane/Ain al Arab, nel nord della Siria.
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