Saracco parla a ’Nova’ del futuro del Politecnico di Torino, del caso Intel-Italvolt e delle Olimpiadi 2026

Il Politecnico del futuro? “Un Ateneo al servizio del paese”. Le insidie sull’arrivo di Intel e Italvolt in Italia e in Piemonte? “Il Paese deve imparare a dare risposte sistemiche”. E le Olimpiadi 2026? “Credo che la logica in un periodo di crisi come quello odierno porterà il Piemonte a rientrare nei Giochi. E’ un intervista a tutto campo quella rilasciata dal rettore del Politecnico di Torino Guido Saracco ad un anno dalla fine del suo mandato.

L’osservatorio sul Venture Capital in Italia ha riscontrato un record di start-up nel nostro paese nell’anno appena passato. Il Politecnico come si pone rispetto a questo risultato?

“Ci sono state una serie di iniziative a partire da Cdp che hanno cominciato a produrre degli effetti. E poi si è iniziato a dare rilievo a quella che è la terza missione dell’università, che comprende anche il trasferimento tecnologico. Ha cominciato ad avere rilevanza anche il sistema delle startup all’interno dei finanziamenti delle università. Con il lavoro di gruppo e interdisciplinare abbiamo deciso di stimolare la creatività dei nostri studenti. Renzo Piano parla di questo processo collettivo come una partita di ping pong, dove ciascuno da un colpo a questa pallina e dopo una serie di tocchi questa decolla. Ne decolleranno una ogni cento, ma più si gioca a questo gioco più si creano idee. Anche con le Fondazioni bancarie si è fatto molto, portando quasi una decina di acceleratori di impresa. E abbiamo anche il nostro incubatore interno, premiato nel 2019 come miglior incubatore a partenariato pubblico al mondo. Abbiamo portato Esa Bic, che ha già prodotto una quindicina di start-up nel settore aerospaziale e nei prossimi 5 anni puntiamo ad averne un’altra sessantina circa. E’ oggettivo che c’è un cambio di passo. Anche la formazione continua che facciamo al di fuori dell’università è importante perché la creativa è sempre centrale. Viviamo in una realtà dove il cambiamento è necessario e imprescindibile”.

A proposito di cambiamenti. L’arrivo di Intel e Italvolt nel nostro paese è a rischio, come sottolineato dall’analisi del sindacato Fim-Cisl. Qual è la sua opinione a riguardo?

“Sono impianti fortemente energivori. Il problema reale di Italvolt è quello di rivoluzionare la rete elettrica dell’insediamento a Ivrea. per poter avere un supporto energetico adeguato. Per quanto riguarda Intel, questo paese deve imparare a dare delle risposte sistemiche. Ad ogni modo, pare che Intel vada verso la Germania ma non è detto che non si riapra la partita. E’ importante che un certo territorio abbia caratteristiche economiche ma è anche importante l’economia della conoscenza, non è indifferente avere ad esempio un Ateneo come il nostro che prepara le risorse umane, fa upgrade per i lavoratori, tecnici specializzati e via discorrendo. E questo era uno dei capitoli evidenziati da Intel nella sua scelta. Io penso che dovremmo imparare di più a valorizzare quella tripla elica a cui da vent’anni questo paese ambisce a seguire, su indicazione della strategia di Lisbona: ovvero la collaborazione stretta tra la politica, l’industria, l’università e i centri di ricerca. Stenta a decollare perché ognuna di queste pale tende ad essere auto-referenziale. Ma è ormai dalla fusione di queste tre realtà che si può arrivare a delle proposte efficaci per i player internazionali. Semmai dovessimo perdere queste sfide (Intel-Italvolt), questo potrebbe comunque essere uno stimolo per fare ancora meglio”.

Parlando di visione. La Città dello spazio di Torino è un progetto di cui si è parlato in più occasioni ma che ad oggi non ha un riconoscimento chiaro. C’è chi sostiene che il progetto sia fattibile e chi invece ritiene sia solo un sogno. Qual è la sua visione?

“Partiamo dalle cose concrete che abbiamo su questo territorio. Abbiamo una sede di Leonardo da 4 mila dipendenti; abbiamo Thales Alenia Space con 800 dipendenti; Altec che controlla e monitora (è una piccola Huston) quello che capita nella Stazione internazionale. Insomma, abbiamo molte competenze. E poi il Politecnico ogni anno laurea 300 ingegneri aerospaziali. Siamo una realtà forte anche nella ricerca, tanto che probabilmente coordineremo un partenariato esteso di circa 30 partner di portata nazionale per portare avanti con 80 milioni di euro dal Pnrr una ricerca applicata, per portare avanti la space economy nel nostro territorio. Noi abbiamo 12 mila metriquadri di laboratori nella futura Città. Contemporaneamente Finpiemonte sta guidando una cordata in cui entreremo anche noi. per creare una casa per le startup. Ospitiamo le startup questi piccoli pescolini a fianco di grandi cetacei come Leonardo, ma questo è il modo corretto oggi di concentrare le competenze e dare vitalità ad un settore e animarlo. Riassumendo: questa iniziativa ha tutti i crismi per avere successo”.

Dietro di lei sono esposte con orgoglio le fiaccole Olimpiche. Quali aspettative ha sulle Universiadi e qual è il suo pensiero sul possibile rientro del Piemonte delle Olimpiadi invernali 2026?

“Sulle Olimpiadi 2026 il Politecnico è a disposizione per necessità di tipo competenziali, per rimettere a posto qualcosa in quel contesto che è molto tecnologico. Sul merito della vicenda Olimpiadi 2026, io da ingegnere e quasi da Italiano vedendo un grosso investimento in quel tempo (le Olimpiadi 2006) ancora non ammortizzato, vedrei molto negativamente la costruzione di qualcosa di analogo. Sono edifici che dovrebbero poi trovare un futuro di sostenibilità altrove come tutte le strutture Olimpiche. La logica porta ad una certa direzione. il campanilismo no. Credo che la logica in un periodo di crisi come quello odierno porterà al successo dell’operazione che vede il Piemonte rientrare nei Giochi. Per quanto riguarda le Universiadi, certamente potranno gravitare sulle stesse strutture sportive già dalle Olimpiadi. Vorremmo come università dare più peso anche alla componente formativa dell’evento. Non solo una festa dello sport. ma dell’università a tutto tondo. Vorremmo abbinate alle Universiadi delle challenge per l’innovazione, ovvero portare qui a Torino, ma anche nelle edizioni successive in altre Città e paesi, giovani da tutto il mondo a cimentarsi in gruppi stimolati da delle imprese con sfide dell’ innovazione a cui dare delle risposte. Potrebbe essere un modo per restituire il messaggio formativo e di ricerca”.


 

Una nota dolente. I rappresentanti studenteschi del Politecnico di Torino hanno criticato l’attuale sistema economico e sociale che rende meno ugualitario l’accesso allo studio e allo stesso più competitivo l’ambiente universitario. Come risponde a queste obiezioni?

“Io sono molto sensibile a questo personalmente. Ritengo sia sensato per un Paese come il nostro che non debba esistere nessuna barriera all’ingresso dell’università. Io credo che il nostro Paese abbia un problema forte nel meridione. La scarsa attrattività nelle aspirazioni degli studenti di formarsi nelle università del meridione è un problema per l’intero paese. Non mi interessa vedere gli studenti del meridione venire a studiare qui per una questione di supremazia della nostra scuola. Io guardo al problema del paese e dico che questo non ha tanto senso. Questi studenti si spostano qui e nonostante i tagli alle tasse che può dare l’università. hanno comunque dei costi importanti. Mi interessa averli qui per non vederli fuggire all’estero. Occorre in questo senso riuscire a far funzionare la tripla elica. Riuscire ad ampliare la zona di non tassazione aiuta molto. Questo significherebbe aumentare i finanziamenti delle università fino a quasi 2 miliardi. C’è anche il problema dei posti letto. A Torino abbiamo un numero di posti letto piccoli e in questo senso ne costruiremo di nuovi e abbiamo lanciato anche il progetto di gestione degli alloggi sfitti. Gli studenti stranieri stanno vivendo nella ricerca delle case la stessa situazione dei meridionali negli anni ’60, ma essi sono fondamentali per il Paese. Perché se noi portiamo come università di Torino 2 mila ragazzi stranieri che hanno preso diplomi all’estero, questi sono come delle nascite pronte a dare impulso all’economia. Passare da 2 mila a 5 mila potrebbe coprire il nostro problema di natalità come fanno in Canada”.

Nei prossimi mesi debutterà il primo master dedicato alle tecnologie ad idrogeno guidato dal vostro ateneo. Lei ha parlato con scetticismo della totale conversione all’elettrico imposta dall’Europa. La pensa ancora così?

“L’Europa ha fatto una scelta molto rigida sull’elettrico. Ha molti difetti questa decisione: penso alle materie prime e alle batterie. In generale, rischiamo di andare in crisi sotto vari punti di vista. Perché il litio e altre terre rare vengono prodotti in paesi dove non c’è garanzia di approvvigionamento continuo. Leggi Cina, che su questo ha contato moltissimo. Io credo che l’idrogeno potrà avere futuro in molti settori come treni o tir di lunga portata. Vedo molte società che stanno dedicando all’idrogeno e a sistemi ibridi con l’elettricità, molti studi e anche le grandi case automobilistiche tengono ben sotto occhio questo. Se si cambierà idea puntando verso l’idrogeno sarà sicuramente un sistema compatibile con l’ambiente e la sostenibilità che erano i primi problemi a cui l’indirizzo Europeo dell’auto elettrica voleva rispondere. In Giappone hanno avuto un’impostazione che mi piaceva di più, ovvero quella della neutralità tecnologica: se vogliamo abbattere la Co2 di origine antropica qualsiasi soluzione è utile purché arrivi all’obiettivo e questo crea anche una competizione in grado di far evolvere di più le tecnologie. Questo sistema andrebbe anche a salvaguardare i nostri forti know how sui motori a combustione interna, che potrebbero andare ad idrogeno. Il quadro è variegato, non è detto che non cambi nei prossimi anni. Io credo che l’idrogeno avrà un ruolo importante”.

Anche sul Pnrr non avete risparmiato perplessità rispetto alla burocrazia e alla mancanza di regia nella gestione dei fondi. La situazione è rimasta invariata?

“Io ho avuto modo di toccare con mano la proattività con cui il Comune e la Regione ci hanno permesso di entrare rapidamente nella Città dell’aerospazio. La bestia burocratica la si può affrontare ma bisogna avere tutti una buona volontà. E, paradossalmente, sono proprio i giuristi quelli che riescono a trovare una modalità che renda compatibili questioni di rigore (sull’assegnazione degli appalti, sulla sicurezza, la bonifica dei suoli e via discorrendo), con la fattibilità. Questa mannaia che il Pnrr pone sulle scadenze ha messo un pò sotto pressione le menti di chi quantomeno farebbe brutta figura. Io vorrei l’orgoglio e la gioia di rispettare le scadenze, ma quantomeno la brutta figura sta facendo effetto”.

Questo è il suo ultimo anno da rettore. Qual è il lascito più importante della sua presidenza e il progetto futuro che avrà più ripercussioni negli anni a venire?

“Io fui eletto all’inizio del 2018 sulla base di un programma che mirava a far diventare la nostra università un motore della nostra società. Era un programma abbastanza di rottura rispetto ad un’università che, pur puntando all’eccellenza, non la rendeva necessariamente utile all’industria di questo paese. Io sono partito dal presupposto che chi ci finanzia è il nostro paese e noi dobbiamo cercare di fare il bene del nostro paese. Il modello formativo di tipo trasmissivo che abbiamo visto fino ad adesso non premiava i ragazzi. Li faceva laureare a 7 anni di distanza dall’iscrizione portandoli a contribuire al paese mediamente solo dopo 9 anni, magari andandosene all’estero. Quindi abbiamo strutturato l’Ateneo in due punti. Primo, laureare prima e far sì che gli studenti siano più creativi e lavorino come lavoreranno nelle imprese già nel momento in cui si formano; secondo, fare in modo che le imprese si avviluppino intorno al politecnico nelle aree di sviluppo che abbiamo in Città. E’ importante che l’università si prefigga di creare posti di lavoro. Non si era mai detto prima: è qualcosa di nuovo ed è importante oggi”.

Leggi anche altre notizie su Nova News
Seguici sui canali social di Nova News su Facebook
, Twitter, LinkedIn, Instagram, Telegram