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Sospesa la seduta del parlamento sul voto di fiducia al nuovo governo in Libia

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E’ stata sospesa poco fa in Libia la sessione della Camera dei rappresentanti dedicata al voto di fiducia al nuovo Governo di unità nazionale (Gun) del premier designato Abdelhamid Dabaiba. I lavori nel palazzo Ouagadougou di Sirte sono stati aperti dal presidente del parlamento, Aguila Saleh, alla presenza di 132 deputati provenienti dalle tre regioni del Paese: Cirenaica (est), Fezzan (sud) e Tripolitania (ovest). La sessione dovrebbe riprendere domani, 9 marzo, alla presenza di Dabaiba, che dovrà rispondere alle osservazioni poste oggi dai parlamentari. Al momento i deputati si dividono in tre posizioni diverse: la prima è disposta a votare la fiducia subito; la seconda chiede di rinviare il voto fino alla pubblicazione del rapporto delle Nazioni Unite sui casi di presunta corruzione al Foro di dialogo politico libico di Tunisi che coinvolgerebbero il clan di Dabaiba; la terza chiede invece di votare una modifica costituzionale insieme alla fiducia al nuovo governo.


La seduta proseguirà fino a domani sera, 9 marzo, quando è previsto il voto di fiducia vero e proprio. Teoricamente, la lista di 27 ministri, due vicepremier, sei sottosegretari del nuovo governo ha bisogno della maggioranza semplice di 91 voti per ottenere la fiducia. Ma un gruppo di 42 deputati di Tripoli ha formalmente chiesto di rinviare la sessione perché, a loro dire, bisogna votare una modifica costituzionale che richiede un quorum di 120 voti. La stampa libica ipotizza il cambiamento di alcuni nomi nella compagine governativa, in particolare quelli indicati per i dicasteri più importanti come il ministero degli Esteri, che nella lista del premier (trapelata sui media libici) dovrebbe essere affidato a una donna: Lamia Fathi Abusedra di Bengasi, dunque dell’est, ma membro del Partito Al Watan affiliato all’islamista libico Abdelhakim Belhaj, ex comandante del Gruppo islamico libico combattente.

Prima dell’inizio dei lavori, il premier designato Dabaiba ha diffuso tramite i suoi canali sui social network un discorso rivolto ai deputati per convincerli a votare la fiducia e a consentire la nascita del suo esecutivo. L’imprenditore di Misurata, prestato alla politica, ha ammesso che “il percorso per la formazione del nuovo governo è stato arduo”. Dabaiba ha chiesto di compiere l’ultimo sforzo verso l’unificazione del paese. “La crisi che stiamo affrontando oggi – ha aggiunto – è una crisi di conflitto, guerra e fiducia. Vi parlo oggi sulla base del mio profondo senso di responsabilità davanti a voi. Siamo stati separati alcune volte, ma ora che il nuovo governo può assumere i suoi compiti potete fermare questa crisi e non rinviarla di nuovo”. Il nuovo governo, ha detto il premier designato, lavorerà “come un esercito di servitori, per questo grande popolo, per risolvere il problema dell’elettricità, per far muovere l’economia, per far cessare le code davanti alle banche”.

Secondo la formazione della sua squadra è stata “più difficile che scalare montagne ripide”. “Ma alla fine – ha aggiunto – abbiamo raggiunto la vetta”. Infatti, per il premier designato il processo di formazione del governo ha incluso sforzi strenui per ottenere il meglio. “La crisi oggi è una crisi di conflitto e di guerra, una crisi di fiducia e di partecipazione, una crisi di accettazione e di sostegno che si estende alla situazione attuale. Quando ho scelto di vivere questa esperienza non avevo paura di percorrere questo sentiero, anche se era breve, ed ero consapevole dei suoi ostacoli”. Eppure, afferma ancora il premier designato, “ho accettato di entrare nell’arena politica. Ho dovuto trovare un ragionevole equilibrio per portare il mio paese fuori dalla crisi e ho portato la sicurezza sul terreno per l’estensione della crisi”. Secondo il premier designato, infine, “il meccanismo del Foro di dialogo politico di Ginevra ha imposto a tutti coloro che hanno accettato questo processo che i risultati del governo e la road map politica non possano escludere nessuno: ecco perché governo è stato creato nella sua forma attuale, in termini di numero dei ministri e di ripartizione geografica.

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