Le due scosse di magnitudo 7.8 e 7.6 con epicentro nella provincia turca di Kahramanmaras che hanno devastato il sud della Turchia e la parte nordoccidentale e settentrionale della Siria hanno riportato alla luce il problema dell’accesso agli aiuti internazionali da parte della popolazione siriana nelle zone gestite dai gruppi armati che si oppongono al governo di Bashar al Assad e delle sanzioni occidentali contro il regime di Damasco. A seguito della guerra civile in corso dal 2011, il Paese risulta infatti sostanzialmente diviso in tre parti: le aree controllate dal governo, che corrispondono alla parte meridionale e centrale della Siria; una parte controllata dalle forze curde sostenute dagli Stati Uniti, nella parte nordorientale del Paese; una sacca controllata dall’opposizione nel nord-ovest, corrispondente alla provincia di Idlib, dove quasi due terzi dei suoi 4,5 milioni di abitanti sono sfollati provenienti da altre provincie.
La provincia di Idlib, tra le più colpite dal duplice sisma, è controllata da Hay’at Tahrir al Sham, formazione estremista nata nel 2017 da una fusione di vari gruppi jihadisti, tra cui esponenti dell’ex Fronte al Nusra, ed è gestita a livello amministrativo dal Governo di salvezza siriano, esecutivo non riconosciuto dell’opposizione siriana, formato all’inizio di novembre 2017. Già prima del terremoto, secondo stime Onu, nella provincia circa 4,1 milioni di persone dipendevano da aiuti umanitari, il cui ingresso dalla Siria è regolato dal governo del presidente Bashar al Assad che impedisce ad alcune organizzazioni internazionali di accedere all’area. L’unico valico esterno operativo è quello di Bab al Hawa che collega la provincia con la Turchia, ma anche qui gli aiuti, già prima del terremoto, dovevano ricevere l’approvazione delle autorità turche. In un’intervista rilasciata al quotidiano statunitense “The Washington Post”, Mark Lowcock, ex responsabile degli affari umanitari delle Nazioni Unite ha affermato che “la Turchia è ora completamente concentrata nel sostenere e aiutare la propria gente che non possiamo realisticamente aspettarci che possa dare la priorità alla consegna di aiuti ai siriani”. L’invio di aiuti verso la provincia di Idlib è subordinata a un voto semestrale del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ma nel 2020 la Russia ha imposto la chiusura di tutti i valichi di frontiera ad eccezione di Bab al Hawa, descrivendo l’invio di convogli carichi di beni di prima necessità e materiale umanitario come una violazione della sovranità della Siria governata dal regime di Assad.
A causa del sisma, le strade che conducono al valico di Bab al Hawa sono gravemente danneggiate e la risposta transfrontaliera è stata interrotta, secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari. La strada che collega la città di Gaziantep al valico si trova in una delle zone più danneggiate ed è attualmente inaccessibile. Secondo Lowcock, al momento l’unico modo per far giungere gli aiuti è tramite i cosiddetti “Caschi bianchi”, un gruppo di protezione civile sostenuto da Regno Uniti e Stati Uniti a cui al momento è demandata la totalità delle operazioni di soccorso nelle zone controllate dai ribelli. Il nord-ovest della Siria è stato a lungo oggetto di bombardamenti regolari – gli ultimi raid sono avvenuti lo scorso gennaio – nonostante nella zona viga un cessate il fuoco raggiunto nel marzo 2020 e garantito da Turchia e Russia.
Per quanto riguarda la gestione degli aiuti nel resto della Siria, il governo di Damasco ha imputato alle sanzioni occidentali le difficoltà di portare sostegno nelle provincie terremotate sotto il proprio controllo. Ieri, il direttore della Mezzaluna Rossa siriana, Khaled Hboubati, ha chiesto la rimozione delle sanzioni “per far fronte agli effetti del devastante terremoto”, affermando che la Siria ha bisogno di macchinari pesanti, ambulanze e camion dei pompieri per continuare le sue operazioni di ricerca e soccorso e ripulire le macerie. “Siamo pronti a inviare un convoglio di aiuti a Idlib”, ha affermato Hboubati, chiedendo aiuto all’Unione Europea e all’agenzia statunitense Usaid. Gli Stati Uniti hanno respinto la tesi che le sanzioni siano alla base dei ritardi nei soccorsi e della mancanza di materiali. Ieri il dipartimento di Stato Usa sul proprio profilo Twitter in lingua araba ha affermato che le sanzioni non riguardano in alcun modo aiuti umanitari, attrezzature mediche e beni di prima necessità: “In risposta ad alcuni resoconti di stampa imprecisi sulle sanzioni statunitensi, vorremmo chiarire che le sanzioni statunitensi includono eccezioni che non impediscono la consegna di aiuti umanitari, medici, alimentari e di altro tipo al popolo siriano e non impediremo a nessun paese dal fornire tale aiuto. Da parte nostra, continueremo a fornire assistenza al popolo siriano”.
Le sanzioni contro la Siria ostacolano la consegna degli aiuti alle popolazioni colpite dal terremoto del 6 febbraio. Lo ha affermato l’inviato delle Nazioni Unite in Siria, Geir Pedersen, in dichiarazioni riprese dall’emittente panaraba “Al Arabiya”. L’inviato ha evidenziato come i siriani di tutte le aree colpite dal sisma abbiano bisogno di un sostegno urgente e, pertanto, è necessario superare tutte le divergenze politiche per garantire la consegna degli aiuti soprattutto nel nord-ovest del Paese, una zona controllata perlopiù da gruppi di opposizione al presidente siriano Bashar al Assad. “La devastazione provocata dal terremoto è inimmaginabile”, ha affermato Pedersen, aggiungendo: “I mezzi necessari alle operazioni di soccorso in Siria sono insufficienti. Stiamo aspettando che il governo siriano si attivi dopo l’invio degli aiuti, considerato che ha promesso di facilitarne l’ingresso.” “Stiamo collaborando con tutti i governatorati siriani per fornire aiuti”, ha poi affermato Pedersen, sperando di iniziare già domani a fornire aiuti alla Siria nord-occidentale attraverso il confine con la Turchia. Buona parte degli aiuti umanitari destinati al nord-ovest della Siria viene trasportata dalla Turchia attraverso il valico di Bab al Hawa, che rappresenta l’unica modalità con la quale le Nazioni Unite riescono a raggiungere i civili senza attraversare le aree poste sotto il controllo delle forze governative siriane. Tuttavia, negli ultimi anni le Nazioni Unite hanno più volte sottolineato che il trasferimento degli aiuti attraverso le linee del fronte, che richiede l’approvazione del governo di Damasco, non è sufficiente a soddisfare i bisogni della popolazione nel nord-ovest della Siria.
Al momento, il governo del presidente Bashar al Assad sta ricevendo aiuti dai Paesi arabi e dai propri partner più stretti in particolare Algeria, Arabia Saudita, Armenia, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Giordania, India, Iran, Iraq, Libano, Pakistan, Russia e Tunisia. Tuttavia, come affermato oggi ai giornalisti dal commissario europeo per la gestione delle crisi Janez Lenarcic, il governo di Damasco ha inoltrato una richiesta di assistenza tramite il meccanismo di protezione civile. “Questa mattina, abbiamo ricevuto dal governo siriano una richiesta di assistenza attraverso il meccanismo di protezione civile”, ha Lenarcic. L’Ue ha affermato che fornirà ulteriore sostegno di emergenza a Turchia e Siria e assistenza umanitaria di emergenza per un valore di 6,5 milioni di euro in una delle più grandi operazioni di ricerca e salvataggio mai effettuate nel blocco attraverso il meccanismo. Lenarcic ha affermato che gli Stati membri sono stati incoraggiati a contribuire con l’assistenza richiesta.
Leggi anche altre notizie su Nova News
Seguici sui canali social di Nova News su Facebook, Twitter, LinkedIn, Instagram, Telegram