Lo Yemen prosegue nella sua spirale verso una nuova escalation di violenza che sta coinvolgendo sempre più fronti: dallo scontro giunto ormai al sesto anno tra ribelli sciiti Houthi e governo riconosciuto di Aden, al confronto tra filo-sauditi e separatisti del sud, alla guerra per procura tra Arabia Saudita e Iran. Sullo sfondo di questa crisi, il divario sempre più ampio tra l’Arabia Saudita e gli Stati Uniti, in particolare dopo la decisione dell’amministrazione Biden di sospendere il sostegno alla coalizione araba guidata da Riad nella lotta contro i ribelli sciiti e cancellare dalla lista dei gruppi terroristici il gruppo Ansar Allah a cui fanno riferimento gli insorti sciiti filo-iraniani. Nel nord del Paese, la situazione più critica riguarda la provincia ricca di petrolio di Marib, ultima roccaforte del governo sostenuto dall’Arabia Saudita nella parte settentrionale del Paese. A partire da gennaio, i ribelli sciiti hanno avviato le operazioni per prendere il controllo della provincia, con attacchi che si sono intensificati proprio a partire dal 16 febbraio, con la cancellazione del gruppo Ansar Allah dalla lista dei gruppi terroristici stranieri degli Stati Uniti, a poco meno di un mese dal loro inserimento fatto dall’amministrazione uscente di Donald Trump.
In sei anni di guerra, i ribelli sciiti Houthi non sono mai riusciti a prendere il controllo della provincia. Tuttavia i nuovi sviluppi sul piano internazionale hanno spinto la leadership del gruppo sciita a puntare gran parte delle proprie risorse in termini di combattenti per costringere le forze governative ad abbandonare la provincia. Se Marib cade, i ribelli sciiti si troverebbero sotto il controllo un’area strategicamente preziosa che potrebbe fungere da trampolino di lancio per gli attacchi contro le infrastrutture petrolifere saudite e altri obiettivi. Tuttavia, l’offensiva di Marib sta offrendo ai ribelli sciiti la possibilità di alzare la posta in palio in futuri colloqui per un cessate il fuoco globale, come indicato in un’intervista ad “Al Jazeera” dal portavoce dei ribelli sciiti, Mohammed Abdulsalam, secondo cui il cessate il fuoco potrà essere preso in considerazione solo dopo la revoca del blocco navale e aereo nei porti e negli aeroporti del nord dello Yemen da parte dell’Arabia Saudita. “La parte umanitaria deve essere separata da quella militare”, ha dichiarato Abdulsalam. “Ci è stato chiesto un cessate il fuoco globale. Ma per prima cosa è necessario riaprire porti e aeroporti e in seguito avviare il processo per un cessate il fuoco”, ha dichiarato. “Quando i porti e gli aeroporti potranno riaprire allora saremo pronti a negoziare”, ha dichiarato il portavoce dei ribelli sciiti. La recente battaglia a Marib è stata devastante per entrambe le parti che hanno perso centinaia di combattenti in un mese. In linea con la battaglia di Marib, gli Houthi hanno recentemente ampliato i loro attacchi missilistici e con droni armati sull’Arabia Saudita, minacciando anche le infrastrutture strategiche di Aramco a Dhahran, nell’est del regno saudita.
La posizione di forza dei ribelli sciiti Houthi sta preoccupando fortemente la coalizione araba a guida saudita, da ormai sei anni impegnata in un conflitto che pare non avere all’orizzonte una via d’uscita. I vertici della coalizione puntano il dito proprio contro la nuova amministrazione statunitense responsabile di aver fornito segnali sbagliati ai ribelli sciiti sostenuti dall’Iran. “Gli Houthi hanno frainteso le mosse di Biden e le hanno viste come un semaforo verde”, ha dichiarato ieri il portavoce della coalizione araba, il generale saudita Turki al Malki in un’intervista ad “Arab News”. “Lungi dal ripagare il gesto dell’amministrazione di Joe Biden di revocare la designazione il 15 febbraio, gli Houthi hanno intensificato i loro attacchi alle forze governative yemenite e i lancio di droni e missili contro obiettivi e infrastrutture civili in Arabia Saudita”, ha osservato Al Malki. “Riteniamo che gli Houthi abbiano interpretato male la decisione di essere cancellati dalla lista dei gruppi terroristici”, ha aggiunto. Al Malki, che è portavoce della coalizione dal 2017, ritiene che la designazione terroristica degli Houthi fosse stata “meritata” dato il loro comportamento, che ricorda le attività di Al Qaeda nella penisola arabica e dello Stato islamico.
In contrasto con le posizioni dell’Arabia Saudita, gli Stati Uniti hanno giustificato la rimozione del gruppo ribelle dalla lista nera delle organizzazioni terroristiche proprio per spingere gli Houthi al tavolo negoziale. Per fare ciò Biden ha ridotto il sostegno degli Stati Uniti allo sforzo bellico saudita e ha nominato un inviato speciale, Tim Lenderking, per cercare di mediare un cessate il fuoco e un eventuale accordo di pace tra le due parti. “Se non possiamo fare progressi ora, il Paese entrerà in una spirale di maggiore conflitto e instabilità”, ha detto la scorsa settimana Lenderking, dopo aver presentato agli Houthi una nuova proposta per porre fine ai combattimenti. “Cogliamo questo momento”, ha dichiarato. I media arabi hanno riferito di un incontro avvenuto nel mese di febbraio tra l’inviato Usa e i rappresentanti dei ribelli Houthi in Oman. Durante l’incontro sarebbe stata consegnata ai ribelli sciiti una proposta di accordo di cessate il fuoco, rimasta però senza risposta. Lo scorso 9 marzo, il portavoce del Dipartimento di Stato americano Ned Price ha esortato gli Houthi a smettere di lanciare missili verso l’Arabia Saudita e ad avviare i negoziati con il governo di Aden.
La difficile situazione sul fronte nord sta avendo ripercussioni anche a sud. Nei giorni scorsi centinaia di persone, probabilmente fomentate dai separatisti del Consiglio di transizione del sud (Cts) hanno marciato per le strade di Aden per protestare contro le cattive condizioni di vita e l’aumento dei prezzi, prendendo d’assalto il palazzo presidenziale di Maasheq, proprio durante una riunione in cui erano presenti il premier yemenita Maeen Abdulmalik e altri membri del governo riconosciuto e frutto dell’accordo raggiunto nel dicembre del 2020 a Riad proprio tra i sostenitori di Hadi e i separatisti del sud. Aden è stata teatro oggi di un tentato attacco contro un convoglio che trasportava il ministro per i Servizi sociali, Abdul Nasser al Wali. Aden è per lo più controllata dai separatisti del Cts le cui frizioni con le fazioni vicine al presidente Hadi sono aumentate in queste settimane, soprattutto a causa del mancato stipendio per i lavoratori pubblici e della mancanza di risorse per la popolazione del sud che accusa il governo di non fare nulla per curare gli interessi dello Yemen meridionale. In un’intervista rilasciata al quotidiano “Yemen Days” lo scorso 3 marzo, Aidarus al Zoubaidi, capo del Cts, ha dichiarato di essere disposto a negoziare con gli Houthi a condizione che riconoscano lo stato meridionale.
Lo scorso 16 marzo, l’inviato speciale delle Nazioni Unite per lo Yemen, Martin Griffiths, ha avvertito di un “drammatico” deterioramento del conflitto nel Paese, sollevando l’allarme per l’espansione dei combattimenti su più fronti e un peggioramento della crisi umanitaria. Parlando a un briefing mensile del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, Griffiths ha dichiarato che un’offensiva in corso da parte dei ribelli Houthi nella provincia di Marib sta mettendo la popolazione civile a rischio. “Le forze di entrambe le parti hanno subito pesanti perdite in questa battaglia inutile”, ha dichiarato Griffiths, condannando i rapporti “scioccanti” di “bambini sempre più coinvolti nello sforzo bellico e privati del loro futuro”. Griffiths ha anche lanciato l’allarme per l’aumento degli attacchi transfrontalieri nelle ultime settimane, sottolineando la preoccupazione che gli attacchi missilistici e di droni abbiano preso di mira le infrastrutture civili e commerciali nella vicina Arabia Saudita e intorno alla capitale dello Yemen, Sana’a, controllata dagli Houthi.
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