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Sciopero delle mense a Roma: pasti al sacco domani nelle scuole, prevista adesione al 60 per cento

“Lo sciopero si è rivelato necessario. Da settembre abbiamo cercato un canale per fare rimostranze nei confronti del Comune per i carichi di lavoro e la situazione degli impianti scolastici, per quanto riguarda la ristorazione, ma non abbiamo avuto riscontro”

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Fornelli spenti domani nelle mense di diverse scuole romane. Saranno previsti dei cestini, ma non ci saranno pasti caldi. Ugl e altre quattro sigle sindacali, Clas, Confintesa smart, Fesica e Cub, hanno indetto uno sciopero per protestare contro lo stato in cui versano i lavoratori delle mense degli istituti scolastici della Capitale. E l’adesione prevista, a oggi, è del 50-60 per cento degli afferenti ai sindacati, secondo Roberto D’Angelo, segretario di Ugl terziario di Roma, con delega ai pubblici esercizi, interpellato da “Agenzia Nova”.

“Lo sciopero si è rivelato necessario. Da settembre abbiamo cercato un canale per fare rimostranze nei confronti del Comune per i carichi di lavoro e la situazione degli impianti scolastici, per quanto riguarda la ristorazione, ma non abbiamo avuto riscontro”, spiega D’Angelo. Tra le motivazioni della protesta c’è la preoccupazione per l’introduzione delle stoviglie di ceramica negli istituti a partire da settembre.

“Esistono difficoltà oggettive per quanto riguarda l’utilizzo di queste stoviglie. Le strutture – afferma il sindacalista – sono obsolete e vecchie, non ci sono locali separati per la pulitura. E dove ci sono le lavastoviglie, spesso non sono funzionanti. In alcune strutture non c’è nemmeno l’acqua calda. In più, non avendo previsto integrazioni di personale da parte delle aziende (in appalto, ndr) tutto si riversa sugli operatori, che spesso prolungano l’orario ma senza avere in cambio una retribuzione”, spiega il sindacalista.

“Circa l’80 per cento dei 4.500 lavoratori dei 15 lotti corrispondenti ad altrettanti Municipi di Roma – sottolinea D’Angelo – hanno un part time involontario, con una media oraria di 20 ore settimanali: si tratta quindi di lavoro povero, con lavoratrici che hanno un’età avanzata, e che in queste condizioni hanno difficoltà. Dopo 20 anni di lavoro vedo un esodo di persone che preferiscono licenziarsi più che subire questa umiliazione”.

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