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Sciopero del settore delle telecomunicazioni, a rischio 20 mila posti di lavoro

Ecco perché il problema fu creato nel 2016 dalla commissaria europea per la concorrenza, Margrethe Vestager

Roma
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Sono tra i 20 e i 25 mila i lavoratori delle telecomunicazioni il cui impiego è a rischio, in Italia, a causa della concorrenza alta nel settore che ha fatto notevolmente abbassare i costi del servizio. Sul dato, stimato dai sindacati di categoria Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom, pesa in particolare la situazione incerta della Tim che da sola conta 11 mila addetti. Nel Lazio, con Roma a guidare il comparto delle telecomunicazioni, i posti di lavoro che rischiano di saltare nei prossimi mesi sono circa 3 mila. “Siccome nel Lazio abbiamo tutti e cinque gli operatori che effettuano il servizio su base nazionale e sono presenti tutti i reparti della rete delle telecomunicazioni è chiaro che il numero di posti di lavoro a rischio è più alto che in altre regioni”, spiega il segretario nazionale della Slc Cgil, Riccardo Saccone, raggiunto telefonicamente da “Agenzia Nova”.


Stamattina in piazza Santi Apostoli a Roma i sindacati di categoria hanno protestato con fumogeni e bandiere rosse, verdi e blu. Muniti di fischietti e striscioni, nella piazza del centro storico della Capitale si sono riunite diverse centinaia di dipendenti delle compagnie di telecomunicazioni Wind Tre, Tim, Vodafone, Fastweb e Iliad. In Vodafone e Wind Tre, secondo i sindacati, si è registrato il numero più alto di adesioni allo sciopero con punte di oltre il 90 per cento. Le preoccupazioni della piazza riguardano in particolar modo la “concorrenza spietata nel settore” che ha comportato “un calo determinante dei prezzi delle offerte” e di conseguenza “ha generato una situazione di precarietà per molti addetti”, hanno osservato dal palco sindacalisti e lavoratori nel corso degli interventi. “Basta tagli”: è stato lo slogan della giornata. “Non c’è Paese europeo che abbia costi così bassi, questo implica un mercato saturo e meno fatturato per le nostre aziende. E quindi abbiamo paura per la tenuta dei nostri posti di lavoro”, hanno raccontato Lucio e Guido, dipendenti di una delle cinque compagnie.

La richiesta della Slc Cgil è di istituire un tavolo di governo per valutare un modello che guardi a un campione nazionale, possibilmente a partecipazione pubblica, in grado di orientare l’andamento del settore. “Bisogna ripartire dal salvare il campione nazionale, in tutta Europa ci sono grandi compagnie per ciascun Paese che dettano le linee di sviluppo, nel loro Paese e all’estero. L’Italia è l’unico Paese che dopo aver distrutto la Sip, che era presente in 18 Paesi del mondo, adesso ha cinque operatori, quindi più operatori di altri Paesi europei, con ripercussioni gravi sul mondo del lavoro”, prosegue Saccone. Secondo la Slc Cgil di Roma servirebbe una compagnia partecipata dallo Stato. “In Francia e Germania c’è una importante partecipazione dello Stato alla compagnia nazionale: le telecomunicazioni sono parte dello sviluppo pubblico di un Paese”, afferma Saccone.

Come si è arrivati allo sciopero nel settore delle telecomunicazioni

La guerra dei prezzi nel settore delle telecomunicazioni ha portato a una compressione dei margini e dei ricavi degli operatori, a fronte di costi sempre più grandi: una deriva che non smette di destare preoccupazione tra i lavoratori, oggi scesi in piazza a Roma per difendere oltre 20 mila posti di lavoro e per rimettere le Tlc al centro della transizione digitale del Paese. Tutto è cominciato nel 2016, quando la commissaria europea per la concorrenza, Margrethe Vestager, ha dato il via libera alla fusione tra la vecchia Wind e Tre, imponendo l’ingresso di un quarto operatore nel mercato, Iliad. Quest’ultimo entrò nel mercato con un approccio commerciale molto aggressivo, innescando una guerra dei prezzi, sulla quale anche gli altri operatori hanno avuto la loro responsabilità, accettando quel tipo di competizione. La presenza di quattro operatori nel mercato mobile – a differenza di quanto accade negli altri Paesi europei, dove ce ne sono tre – ha portato benefici ai consumatori nel breve periodo, con una forte riduzione dei prezzi: si è passati infatti dal pagare 20-30 euro a 5-6 euro al mese. Tuttavia, già nel medio periodo, gli utenti stanno riscontrando performance e qualità di reti sempre meno solide. La pandemia e la crisi energetica hanno contribuito negativamente alla situazione, con gli operatori Tlc che hanno iniziato a rallentare fortemente sugli investimenti. Inoltre, gli operatori non hanno potuto usufruire degli aiuti del governo, come i crediti d’imposta, in quanto non sono stati inclusi nella categoria di aziende energivore. Anche i flussi di cassa, che un tempo erano molto sostenuti e sostanziosi, hanno iniziato ad erodersi fortemente: in qualche caso si sta addirittura assistendo a fenomeni di cassa negativa. Tutto ciò ha prodotto una serie di piani di tagli, esuberi, uscite volontarie e contratti di solidarietà, ma anche operazioni straordinarie da parte dei singoli operatori di settore. Ad oggi gli operatori non sono riusciti ad ottenere molto in termini di sostegno economico dal governo ma all’orizzonte si profila un decreto legge ad opera del ministero delle Imprese e del Made in Italy sugli asset strategici: all’interno dovrebbe essere presente un capitolo dedicato al settore Tlc. I tempi di presentazione del decreto non sono però ancora noti.

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