Per capire quale sarà il vero volto del presidente eletto del Perù, Pedro Castillo, occorrerà ancora tempo, ma la sua vittoria è figlia di una “implosione” delle principali istituzioni interne e il progressivo affermarsi di “un modello totalitario” in tutta la regione, sospinto da potenze “extra continentali” come Cina e Russia. Lo ha detto ad “Agenzia Nova” Luis Gonzales Posada, già ministro degli Esteri e della Giustizia del Perù negli anni ’80, ed ex presidente del Congreso. In America latina tutta si va “configurando uno schema molto grande”, avverte l’ex ministro passando in rassegna i diversi modelli di governo “totalitario” presenti nella regione: Cuba, Venezuela, Nicaragua, ma anche la Bolivia, in cui l’ex presidente Evo Morales, “vera guida” del governo presieduto da Luis Arce “ha avviato un processo di persecuzione giudica” nei confronti dei suoi avversari.
Un modello destinato ad espandersi ulteriormente: “Tutti gli indicatori rivelano che alle elezioni presidenziali di novembre in Cile, vincerà il blocco di centrosinistra“, lo stesso che controlla oggi l’assemblea costituente, raccogliendo una protesta “passata per atti di violenza, che hanno messo il governo all’angolo”. A maggio del 2022 ci saranno anche le presidenziali in Colombia, con i sondaggi che accreditano una possibile vittoria di Gustavo Petro, un passato da militante “della ex guerriglia dell’M-19”. Per non parlare del Brasile dove “secondo le informazioni che abbiamo l’ex presidente Inacio Luis Lula da Silva gode del 49 per cento dei favori contro uno scarto 23 per cento dell’attuale presidente, Jair Bolsonaro“. Sullo sfondo “due soci fondamentali”, due Paesi che non hanno bisogno di ricollocarsi perché già schierati: il Messico di Andres Manuel Lopez Obrador, che “appoggia una dittatura genocida e corrotta come quella del Venezuela”, e l’Argentina di Alberto Fernandez. La regia dell’intera manovra, è per l’ex ministro il Foro di Sao Paulo, la rete che i governi di sinistra allestirono nel 1990 per attutire la caduta del muro di Berlino e che, grazie “a cospicui investimenti”, spesso filtrati dalla corruzione, ha costruito piano piano tutte le vittorie nella regione. Soprattutto dopo l’impulso economico dato dall’ingresso del Venezuela, nel 2000.
In questo scacchiere giocano un ruolo determinante le “potenze extra-continentali”: nei Paesi citati, “chi decide sono Cina e Russia“, ha sottolineato l’ex ministro ricordando – tra le altre cose – i voti da loro espressi nei consessi multilaterali a favore, soprattutto, di Caracas. “C’è un problema regionale e un problema extra-continentale che può avere gravi conseguenze per la regione. Anche dal punto di vista economico: gli scambi commerciali tra Perù e Usa sono nell’ordine dei 6,2 miliardi di dollari l’anno, quelli con tutta l’Unione europea, di 5 miliardi, con la Cina di oltre 10,3 miliardi di dollari”. La crescente presenza di queste forze non è sufficientemente bilanciata dagli Usa, che “si sono progressivamente sfilati dalla regione. L’ultimo grande piano risale all’epoca di Kennedy, la Alleanza per il progresso che garantiva ingenti fondi a programmi sociali e di sviluppo economico”. E non più incisiva è stata l’Internazionale socialista, cui appartiene il partito Apra di Gonzales Posada: è un ente che “non esiste, che non ha peraltro avuto neanche il coraggio di venire in Perù ad appoggiare le forze democratiche durante il colpo di Stato di Alberto Fujimori“.
Per l’immediato futuro occorrerà capire cosa intende fare Castillo, una volta presidente: “C’è un primo Castillo che nel programma con cui ha vinto il primo turno ha parlato apertamente di nazionalizzazioni delle risorse e delle attività cruciali, giurando fedeltà a modelli della sinistra estrema internazionale. E c’è un secondo Castillo che in vista del ballottaggio ha varato un programma privo di tutti questi elementi, ma che sostanzialmente non dice nulla”. In attesa di capire quale profilo sceglierà il presidente, gli investitori tengono bloccati buona parte dei progetti di investimento, “soprattutto dei 45 miliardi di dollari nel comparto minerario, motore dell’economia peruviana”. Il tutto a fronte di una crisi interna che attanaglia il Paese da anni.
Le “istituzioni di base del Perù sono implose da molto tempo“, spiega infine Gonzales Posada, ricordando che nel Paese “un terzo dei giudici è precario, ci sono oltre tre milioni di cause ancora irrisolte“, in un clima generale di “criminalizzazione della politica e di politicizzazione della giustizia”. Il 28 luglio Castillo assumerà le redini di un paese che ha cambiato sette presidenti negli ultimi dieci anni, molti dei quali vittime – al pari di tanti politici – “della pressione della giustizia”. Una giustizia che vessa gli imputati “con il pretesto di indagare” e che per questo “non offre nessuna garanzia”. Lo stesso si può dire “della pubblica accusa, con procuratori che fanno sfoggio della loro appartenenza politica, che perseguitano e arrestano chi vogliono”, a volte con la collaborazione di una stampa “che si presta” al gioco della distruzione delle figure pubbliche. Il parlamento monocamerale, di cui Gonzales Posada è stato in passato anche presidente, è privo di rappresentanze partitiche “di peso” e “atomizzato” al punto da “non funzionare”. Senza contare che le manovre cui si è prestato, come nel caso delle dimissioni di Pedro Pablo Kuczinsky, forzate dal suo allora vice Martin Vizcarra, ne hanno minato la legittimità.
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