La Banca centrale europea “ha deciso di combattere l’inflazione da offerta mandando in recessione il sistema economico per ridurre la domanda di beni che hanno prezzi troppo alti”, e questa “è una strategia già segnata”, rispetto alla quale “non credo tornerà indietro”. A dirlo è il professor Carlo Pelanda, economista, accademico e politologo, che, in un’intervista a “Nova”, ha commentato la decisione presa ieri dalla Bce di rialzare i tassi di 0,75 punti percentuali spiegando che le banche centrali “non hanno altri strumenti se non quelli di politica monetaria” per cui, nel momento in cui vedono un’inflazione alta, non possono far altro che mandare in recessione il sistema. Del resto, ha sottolineato Pelanda, lo stesso mercato ha capito che, pur trattandosi di una risposta non adeguata, si tratta di una strada segnata e per questo “si è adattato” e “ha reagito positivamente”, nella convinzione che si vada verso “la fine dei rialzi”. Di certo, ha spiegato l’economista e accademico, “il mercato sconta un forte rallentamento economico. Se poi si tratti o meno di una recessione ancora non è chiaro”.
Quel che è chiaro, a suo parere, è che l’inflazione non si combatte solo o tanto con la politica monetaria quanto piuttosto con “una politica dei governi e delle alleanze per riuscire a ridurre la scarsità di beni”: “a mancare è la capacità dell’alleanza tra democrazie, quindi Nato, G7 e non solo, di avere un potere sufficiente per andare a ridurre la scarsità di beni”. Bisogna “aggiungere alla politica monetaria una forza geopolitica per andare a prendere per il mondo le cose che ci mancano”, perché “l’attore principale di sopravvivenza di un sistema economico è il potere geopolitico e politico che rappresenta”. Proprio in questa direzione, ha evidenziato, “ho iniziato una ricerca nella scorsa primavera per cercare di capire se abbiamo gli elementi per revisionare la teoria del prestatore di ultima istanza, che è il massimo produttore di fiducia per il mercato”. Se c’è un garante di ultima istanza, ha spiegato ancora, “il mercato sconta sei mesi o più di recessione ma poi sa che ci sarà un rimbalzo”. “Adesso però – ha precisato – questo non sta succedendo, e c’è molta incertezza perché si ha paura che la scarsità continui e quindi l’inflazione va avanti”. La lezione da trarre dalla crisi del 2022, ha chiosato Pelanda, è che “la geopolitica e la politica stanno tornando alla grande nella teoria di produzione della fiducia economica” e che “la politica pesa sempre di più”.
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