Papa Francesco ai vescovi in Sud Sudan: “Siamo pastori, non capi tribù”

“Spogliamoci della nostra presunzione umana”

Papa Francesco, nella sua omelia pronunciata durante l’incontro con i vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i consacrati, le consacrate ed i seminaristi alla Cattedrale di S. Teresa di Giuba, in Sud Sudan, ha chiesto “che cosa significa essere ministri di Dio in una storia attraversata dalla guerra, dall’odio, dalla violenza, dalla povertà”, ha detto il Pontefice che ha domandato ai presenti: “Come esercitare il ministero in questa terra, lungo le sponde di un fiume bagnato da tanto sangue innocente, mentre i volti delle persone a noi affidate sono solcati dalle lacrime del dolore?”.

La risposta, ha sottolineato il Papa, è nelle acque del Nilo che “raccolgono i gemiti sofferenti delle vostre comunità, il grido di dolore di tante vite spezzate, il dramma di un popolo in fuga, l’afflizione del cuore delle donne e la paura impressa negli occhi dei bambini – ha ricordato Bergoglio – Allo stesso tempo, però, le acque del grande fiume ci riportano alla storia di Mosè e, perciò, sono segno di liberazione e di salvezza”.

Rivolgendosi ai sacerdoti, diaconi, religiosi e seminaristi, il Papa ha ricordato: “sotto sotto pensiamo di essere noi il centro, di poterci affidare, se non in teoria almeno in pratica, quasi esclusivamente alla nostra bravura; o, come Chiesa, di trovare la risposta alle sofferenze e ai bisogni del popolo attraverso strumenti umani, come il denaro, la furbizia, il potere”. “Davanti al Buon Pastore – ha ammonito Francesco – comprendiamo che non siamo capi tribù, ma Pastori compassionevoli e misericordiosi; non padroni del popolo, ma servi che si chinano a lavare i piedi dei fratelli e delle sorelle; non un’organizzazione mondana che amministra beni terreni, ma la comunità dei figli di Dio”.

“Spogliamoci della nostra presunzione umana”, ha esortato il Papa, “accostiamoci ogni giorno al mistero di Dio, perché bruci le sterpaglie del nostro orgoglio e delle nostre ambizioni smodate e ci renda umili compagni di viaggio di quanti ci sono affidati”.

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