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Ondata di bombardamenti aerei turchi contro le postazioni curde in Siria e in Iraq

Cacciabombardieri F-16 e droni Bayraktar hanno attaccato le milizie curde, ma anche postazioni congiunte delle Forze democratiche siriane e dell'esercito di Damasco

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I bombardamenti effettuati dai caccia F-16 e dai droni dell’aviazione turca in quattro località della Siria – Kobane, Tel Rifat, Derbysia e Derik – hanno causato la morte di 15 militari governativi e 32 combattenti delle Forze democratiche siriane (Fds, alleanza di milizie curde, arabe e assiro-siriache), tra cui una donna, del Partito dei lavoratori del Kurdistan iracheno (Pkk) e delle Unità di protezione dei popoli (Ypg), gruppo armato curdo-siriano sostenuto dagli Stati Uniti, oltre che di un attivista. E’ quanto riferisce l’emittente “Rudaw”. Complessivamente, la Turchia ha compiuto oltre 25 attacchi contro località sotto il controllo dell’Amministrazione autonoma della Siria settentrionale e orientale, secondo quanto riportato sia dall’Osservatorio per i diritti umani siriano, organizzazione non governativa con sede a Londra, e da “Rudaw”. Da parte sua, il ministero della Difesa di Ankara ha annunciato che l’aviazione turca ha colpito 89 obiettivi del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) e delle Ypg, gruppo armato curdo-siriano sostenuto dagli Stati Uniti, entrambi al bando in Turchia, durante i bombardamenti effettuati nel nord di Iraq e Siria. I bombardamenti sono stati effettuati con i caccia F-16 e con i droni Bayraktar. Intanto, in risposta ai bombardamenti di stamane dalla Siria sono stati lanciati dei razzi. Almeno otto membri del personale di sicurezza turco, tra cui sette agenti di polizia, sono stati feriti oggi dai razzi lanciati nel sud-est della Turchia, nella provincia di Kilis, a ridosso del confine con la Siria

L’operazione “Pence Kilic” (Spada ad artiglio) è stata effettuata “per eliminare gli attacchi terroristici contro il popolo e le forze di sicurezza turche dalle aree settentrionali dell’Iraq e della Siria e per garantire la sicurezza del confine della Turchia”, ha affermato il ministero della Difesa turco. L’operazione è avvenuta dopo l’attacco terroristico di domenica scorsa, 13 novembre, nell’affollato viale Istiklal, a Istanbul, che ha provocato sei morti e 81 feriti. La Turchia ha accusato i curdi dell’attacco. Ankara ha annunciato, infatti, che la donna che avrebbe collocato l’ordigno, identificata come Ahlam al Bashir, è una cittadina siriana “che ha ricevuto istruzioni dall’organizzazione terroristica Pkk, Pyd – Partito dell’unione democratica (Pyd), formazione politica curdo-siriana attiva nel nord della Siria, Ypg”. Il ministro dell’Interno turco, Suleyman Soylu, ha dichiarato che l’attentatrice ha ricevuto istruzioni dal nord della Siria, dalla provincia a maggioranza curda di Kobane. Sotto accusa, in particolare, il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk). “La persona che ha piazzato la bomba è stata arrestata. Secondo le nostre conclusioni, l’organizzazione terroristica del Pkk è responsabile”, ha affermato Soylu dopo l’arresto dell’attentatrice. Resta il fatto, comunque, i curdi hanno però smentito le accuse. “Assicuriamo che non abbiamo nessun legame con l’esplosione di Istanbul e respingiamo le accuse che ci sono state rivolte”, ha detto Mazloum Abdi, portavoce delle Forze democratiche siriane. Inoltre, nell’ambito delle indagini sull’attacco di Istanbul del 13 novembre scorso, ieri, 19 novembre, la Procura generale bulgara ha arrestato cinque persone sospettate di aver aiutato Ahlam al Bashir, ritenuta responsabile dell’attentato di Istanbul. Secondo quanto ha riferito la stampa bulgara, tra i sospettati ci sono alcuni cittadini della Moldova e altri di origine araba.

L’operazione lanciata dalla Turchia conferma i timori di un’operazione su più ampia scala nelle regioni del Kurdistan iracheno, a cui potrebbe affiancarsi un’invasione terrestre da parte della Guardia rivoluzionaria iraniana. L’Iran, infatti, vuole bloccare il flusso di armi che alimenta gli oppositori proveniente proprio dal poroso confine con il Kurdistan iracheno. Per bloccare la svolta armata delle proteste in Iran – scoppiate il 17 settembre scorso dopo la morte di Mahsa Amini, la 22enne di origine curda deceduta il 16 settembre a seguito dell’arresto eseguito dalla polizia morale iraniana per aver indossato in modo “non appropriato” il velo – le Guardie della rivoluzione islamica hanno condotto diversi attacchi a intermittenza contro i partiti curdi nel Kurdistan iracheno negli ultimi due mesi. L’ipotesi di un’operazione nelle zone curde era nell’aria, considerando l’annuncio diramato il 18 novembre dal consolato degli Stati Uniti a Erbil. La rappresentanza diplomatica “sta monitorando credibili rapporti da fonti aperte di potenziali azioni militari turche nel nord della Siria e nel nord dell’Iraq nei prossimi giorni. Il governo degli Stati Uniti continua a consigliare vivamente ai cittadini statunitensi di evitare queste aree”, si legge nell’avviso.

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