Un breve saluto in Italiano e poi, Finnegan Lee Elder, il turista statunitense accusato insieme al connazionale Gabriel Natale Hjorth dell’omicidio del vice brigadiere dei carabinieri Mario Cerciello Rega, ha dato la sua versione dei fatti sulla vicenda durante la quale, nella notte tra il 25 e il 26 luglio 2019, il militare è stato ucciso con undici coltellate. Elder ha parlato, con la formula della dichiarazione spontanea, nell’aula bunker di Rebibbia dove oggi si è tenuta l’udienza di corte d’assise che lo vede imputato. “Dopo aver ascoltato le udienze del processo -ha detto- ho capito che è difficile credere ad una persona che è nella mia posizione, ma ho detto verità. Vorrei che voi vedeste anche la mia prospettiva”. Lo statunitense ha ribadito che Cerciello Rega e Varriale non si sarebbero qualificati. “Ci hanno immediatamente aggredito senza mostrare tesserino o altro”, ha detto il giovane. “In un attimo si sono avventati su noi senza dire una parola. L’uomo più grande – continua Elder riferendosi a Cerciello Rega -, era una montagna, mi ha buttato per terra e si è messo sopra di me. Ricordo molto poco se non senso di terrore e shock”.
Ha creduto di essere ucciso e ha tirato fuori il coltello per difendersi. “Ho sentito le sue mani sul collo come stesse tentando di strangolarmi. Allora sono stato preso dal panico, ho pensato che volesse uccidermi, ho preso coltello e ho colpito diverse volte per cercare di togliermelo di dosso. È durato tutto pochi secondi, ero terrorizzato. Ho avuto anche l’impressione che stesse cercando qualcosa”, ha detto Elder, aggiungendo che Cerciello Rega ha “afferrato la mia mano per cercare di togliermi il coltello. Io allora ho cambiato mano e l’ho colpito ancora. La mia sola intenzione era liberarmi e scappare, cosa che ho fatto quando mi ha lasciato”, ha aggiunto il ragazzo in aula. “Ci hanno immediatamente aggredito senza mostrare tesserini o altro. Non hanno detto polizia e neanche carabinieri che comunque non avrei capito. Ho capito cosa volesse dire la parola ‘carabiniere’ solo dopo essere stato arrestato”.
Quel coltello che aveva portato dall’America nel suo viaggio in Europa. “E’ la riproduzione di un vecchio” modello “militare realizzato con materiali scadenti, si trova in alcuni negozi in America, come ho fatto io. Spesso andavo in campeggio o a pescare vicino San Francisco, e lo avevo comprato per questo. Mi sentivo stupidamente al sicuro con quell’arma. L’idea di averlo mi rassicurava”, ha continuato Elder. “Mentre lasciavamo la stanza l’ho messo nella tasca della felpa. L’ho deciso da solo, e non so se Gab (Gabriel Natale Hjorth) mi abbia visto” e “non pensavo di usarlo. Mi dava coraggio. Sapevamo che avremmo incontrato uno spacciatore che poteva arrivare con suoi amici. Mi trovavo in paese straniero e non conosco la lingua. Si è trattato di una stupida cautela dettata dalla mia paura. Negli Stati Uniti andare in giro con un coltello non è strano. Secondo me erano erano spacciatori e per questo pericolosi”.
Tutto era cominciato qualche ora prima quando i due ragazzi cercavano uno spacciatore da cui comprare cocaina. “Eravamo a Trastevere per cercare cocaina. Stavo cercando di smettere ma ho pensato che” la droga “sarebbe stata d’aiuto per divertirci quella notte”. Ha ricostruito i momenti precedenti all’omicidio, fasi che si sono svolte in piazza Trilussa quando hanno chiesto cocaina al mediatore Sergio Brugiatelli che nel processo è parte civile per aver subito l’estorsione dello zaino. “Non posso dire di più perché non parlo italiano e non so che accordo avessero preso lui e Gab (Gabriele Natale Hjorth). Da quello che ho capito Brugiatelli aveva assicurato a Gab che avrebbe procurato la cocaina. Abbiamo camminato con Sergio attraverso stradine strette fino ad una piazza più grande. Ci siamo seduti e poi Sergio ha detto a Gab di seguirlo. Io sono rimasto a guardare bici e borsa. Poi Gab è tornato dicendo di essere stato rapinato e che Sergio aveva preso i soldi senza dare la cocaina. Io ho detto – precisa Elder- che sarebbe stato giusto prendere borsa che mi aveva lasciato e siamo scappati a prendere un taxi per tornare in albergo”. Il gesto di “prendere lo zaino – ha detto – era per ripagarci del furto. Mai pensato di chiedere soldi per restituirlo ma solo che fosse la ricompensa per gli 80 euro che mi erano stati presi. Gab – ha continuato Elder – mi disse che era stato rapinato da 12 persone, alcuni dei quali volevano far credere che fossero poliziotti; in realtà aveva pensato che fosse solo una trappola per prendere i soldi”.
Quindi Elder ha sostenuto la tesi di avere come unici interlocutori degli spacciatori e del resto “non ho mai pensato che uno spacciatore potesse chiamare la polizia. In America non accade”. Negli Usa “i poliziotti – ha aggiunto – si comportano in maniera diversa. Loro chiedono di fornire le generalità per identificare chi hanno di fronte e poi prendono le armi se ci si rifiuta”. Elder ha aggiunto: “Sapevo di aver fatto male a qualcuno ma non pensavo di averlo ucciso”. Nella stanza d’albergo, dopo l’accoltellamento di Mario Cerciello Rega “Gab (Gabriele Natale Hjorth) ha fatto domande su cosa fosse successo. Io ero scioccato. Gli ho spiegato che volevano uccidermi e mi sono difeso”. Avrebbero potuto chiamare le forze dell’ordine per denunciare l’aggressione ma non lo hanno fatto perché “eravamo paralizzati dalla paura. Non ero veramente sicuro che ci sarebbero state indagini perché quelle persone erano spacciatori”. Anzi, ha aggiunto Elder, “non sapevo se i due aggressori erano legati al fatto di Brugiatelli. Mai cercato di scappare anche se sapevo che sarei stato accusato di aver ferito una persona”.
Quando la mattina del 26 i carabinieri hanno bussato alla porta della camera d’albergo “sapevo che era la polizia – ha detto Elder – ma pensavo che avrei saputo spiegare”. Subito dopo l’arresto è stato portato in caserma, “mi sentivo stordito e confuso e non capivo cosa stesse succedendo. Sono arrivato in un cortile ho sentito delle persone che urlavano e mi hanno sputato addosso. Ho trascorso molte ore lì e a mala pena riuscivo a stare sveglio. Non sono stato trattato nel modo giusto ma oggi ammetto che posso capire i colleghi di Cerciello Rega; un loro amico era appena morto e la loro reazione è umanamente comprensibile”.
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