Il presidente Emmanuel Macron ha annunciato il ritorno “nelle prossime ore” dell’ambasciatore di Francia in Niger, Sylvain Itté, e il ritiro delle truppe francesi dal Paese africano entro la fine dell’anno. “Mettiamo fine alla nostra cooperazione militare con il Niger”, ha detto Macron in un’intervista rilasciata all’emittente televisiva “Tf1”. Fino ad oggi Parigi si era rifiutata di richiamare il suo rappresentante diplomatico, come invece chiedeva la giunta militare salita al potere a Niamey con un colpo di Stato.
Il ministro degli Esteri della giunta al potere in Mali, Abdoulaye Diop, nel suo intervento all’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, ha dichiarato che il Mali rimane “fermamente contrario” ad un intervento armato in Niger per ripristinare al potere il presidente deposto Mohamed Bazoum e in caso di “aggressione” a Niamey non “resterà a guardare”. “Il Mali rimane fermamente contrario a qualsiasi intervento militare della Cedeao”, ha detto Diop facendo riferimento ai piani della Comunità economica dell’Africa occidentale di attaccare il Niger se i negoziati con i militari dovessero fallire. “Qualsiasi intervento militare in Niger, stavo per dire qualsiasi aggressione, qualsiasi invasione di questo paese, costituisce una minaccia diretta alla pace e alla sicurezza del Mali, ma anche alla pace e alla sicurezza della regione, e avrà necessariamente gravi conseguenze. Non resteremo a guardare”, ha aggiunto il ministro ad interim. Diop ha quindi attaccato la Francia e la sua “dominazione neo coloniale”, mentre ha rivolto una “menzione speciale” alla Russia “per la sua solidarietà attiva e il suo impegno affidabile sia a livello bilaterale che multilaterale”. “Il governo della Repubblica del Mali è più determinato che mai ad esercitare la sua sovranità, ad affermare la sua autorità, tutta la sua autorità sull’intero territorio nazionale”, ha concluso Diop.
Le giunte militari di Mali, Niger e Burkina Faso, salite al potere tramite dei colpi di Stato negli ultimi tre anni, hanno siglato un accordo di mutua difesa contro le minacce del terrorismo e quelle di qualsiasi attacco esterno alle rispettive sovranità. Alla presenza dei leader militari che oggi guidano i governi di Bamako, Niamey e Ouagadougou – il colonnello Assimi Goita, il generale Omar Tchiani e il capitano Ibrahim Traoré – le parti si sono impegnate in un documento articolato in 17 punti a combattere il terrorismo in tutte le sue forme, a collaborare per prevenire o sedare le ribellioni armate e a contrastare la criminalità organizzata nello spazio comune dell’alleanza. “Qualsiasi attacco alla sovranità e all’integrità territoriale di una o più parti contraenti sarà considerato un’aggressione contro le altre parti”, si legge nel testo. Al documento, firmato a Bamako, è stato dato il nome di Carta del Liptako-Gourma, la regione in cui si incontrano i confini dei tre Paesi firmatari, nota anche come “Zona delle tre frontiere”, al centro negli ultimi anni di rinnovate violenze jihadiste.
La Carta impegna i tre Paesi a non attaccarsi a vicenda e ad unire le forze contro le varie forme di terrorismo attive nella regione. Il riferimento va in particolare alla “ribellione armata”, come precisato nell’articolo 5 e sottolineato ai giornalisti anche dal ministro degli Esteri maliano Abdoulaye Diop, il cui governo è impegnato da fine agosto a contrastare l’offensiva dei combattenti tuareg riuniti nella Coalizione dei movimenti dell’Azawad (Cma). Questi accusano la giunta di aver violato l’accordo di pace concluso nel 2015 ad Algeri con l’allora governo civile di Bamako, sfruttando la scusa del terrorismo per riappropriarsi di territori da loro rivendicati. La così rinominata “Alleanza degli Stati del Sahel” (Aes) rinsalda, di fatto, le promesse di cooperazione già espresse negli ultimi mesi dai leader militari dei tre Paesi, e struttura in modo formale il sostegno offerto a Niamey da Mali e Burkina Faso in caso di attacco da parte della forza di riserva della Comunità dei Paesi dell’Africa occidentale (Cedeao), truppe che il blocco regionale ha deciso di attivare come ultima opzione – in caso di fallimento dell’opzione diplomatica – per riportare al potere il presidente deposto Mohamed Bazoum. L’articolo 11 mantiene inoltre la porta aperta all’adesione di “qualsiasi altro Stato che condivida le stesse realtà geografiche, politiche e socio culturali” dei Paesi fondatori, in quella che appare una sorta di “Nato” africana che intende istituire – ha commentato il leader malianao Goita – “un’architettura di difesa collettiva e di assistenza reciproca a beneficio delle nostre popolazioni”.
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