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Niger: a rischio la presenza francese nel Paese dell’uranio

La confederazione sindacale nazionale ha chiesto al governo nigerino di disporre il ritiro di “tutte le forze straniere” presenti sul territorio, ritenute incapaci di garantire la sicurezza degli abitanti

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Il ritiro delle forze francesi dal Burkina Faso dopo 15 anni di presenza sul territorio rischia di agire da detonatore anche nel vicino Niger, Paese dove la tradizionale vicinanza a Parigi è messa in crisi dalla rapida espansione del terrorismo jihadista in tutta la regione saheliana. Richiesto ufficialmente dalla giunta burkinabé, al potere dopo il golpe di settembre (il secondo in un anno e mezzo), il ritiro dell’operazione “Sabre” è stato suggellato sabato da una cerimonia nella base di Kamboinsin – dove dal 2009 erano ospiti le forze francesi – nella quale è stata simbolicamente deposta la bandiera francese. Nelle stesse ore, nel vicino Niger La confederazione sindacale nazionale ha chiesto al governo di disporre il ritiro di “tutte le forze straniere” presenti sul territorio, ritenute incapaci di garantire la sicurezza degli abitanti. Il riferimento va in primo luogo alle forze francesi dell’operazione Barkhane, ma anche a quelle della missione europea Takuba – coordinata sempre da Parigi ed alla quale partecipa anche l’Italia -, entrambe presenti sul territorio dopo che la scorsa estate si è concluso il ritiro francese dal Mali, in un’analoga dinamica che ha visto per mesi crescere i dissapori fra Bamako e Parigi fino alla cacciata dei militari francesi. In quell’occasione, il presidente nigerino Mohamed Bazoum aveva dato il suo accordo di principio per ricollocare i militari dell’operazione Barkhane e Takuba in Niger, impegno formalmente approvato dal consiglio dei ministri il 4 marzo e ratificato dal parlamento il successivo 22 aprile.

In un comunicato congiunto, i 14 sindacati che aderiscono alla Niger Trade Union Action Unit hanno condannato “con la massima fermezza” gli abusi commessi contro la popolazione civile e militare “da parte di gruppi armati non statali che continuano a far piangere il nostro Paese nonostante la presenza di diverse basi militari straniere installate sul nostro territorio”. I firmatari citano esplicitamente l’ultimo cruento attentato compiuto il 10 febbraio contro un convoglio dell’esercito nigerino vicino al confine con il Mali, costato la vita secondo a 51 militari: ritenendo che “questa ennesima tragedia sollevi davvero il dibattito sulla malversazione di fondi del ministero della Difesa (nigerino) e sulla presenza di basi militari straniere sul suolo nazionale”, i firmatari hanno chiesto “la pura e semplice dipartita di tutte le basi militari straniere”, operazione che invitano le autorità a svolgere “in breve tempo” per non incorrere nel rischio di essere ritenute responsabili delle eventuali conseguenze.

L’appello ripete quello formulato già a novembre da quattro delle principali sigle sindacali nigerine – la Confederazione generale dei sindacati liberi (Cgsl), la Confederazione dei lavoratori del Niger (Cnt), l’Unione progressista dei lavoratori (Uspt) ed l’Unione dei sindacati del Niger (Ustn) -, che in una nota congiunta chiedevano la “partenza incondizionata” delle forze straniere stanziate in Niger. Anche in quel caso, a suscitare la reazione dell’opinione pubblica era stato un altro attentato, compiuto nelle regioni di Tillaberi e Tahoua, con un bilancio complessivo di quasi 100 morti (69 a Banibangou, 16 ad Ayorou e più di dieci a Tillia). “Oggi i nigerini sono preoccupati e si chiedono perché le forze presenti in Niger non riescano ad arginare questo fenomeno di destabilizzazione del Niger”, lamentavano i sindacati, aggiungendo che “i nigerini sono sempre più convinti che i veri nemici del Niger e della sua gente non siano altri rispetto allo Stato francese, ai suoi partner e ai suoi valletti locali”.

In un contesto di relativa sfiducia popolare sull’efficacia di una risposta internazionale a questioni di sicurezza ritenute interne, il presidente nigerino Bazoum aveva tuttavia insistito sulla necessità di non lasciare scoperte aree del Sahel in cui l’azione terroristica avrebbe potuto prendere il sopravvento. In un’intervista al quotidiano francese “Le Figaro” concessa a febbraio dello scorso anno, Bazoum aveva sostenuto che il ritiro dell’operazione francese Barkhane e di quella europea task force Takuba dal Mali avrebbe creato un “vuoto che sarà riempito dalle organizzazioni terroristiche”. Si tratta di “una minaccia che “ipotecherà innanzitutto tutta la stabilità del Mali, poi quella del Niger e della sub-regione”, aveva spiegato il capo dello Stato, dicendosi “molto preoccupato” per il futuro di Bamako. Previsioni che si sono poi rivelate corrette proprio sul Mali, dove gruppi affiliati ad Al Qaeda ed al nemico Stato islamico si contendono ormai da un anno alcune aree centrali del Paese, con evidenti difficoltà di contrasto da parte delle Forze armate locali e la creazione di instabili alleanze tuareg soggette all’influenza di questo o quel leader e piegate ad interessi di fazione. Nell’intervista Bazoum aveva inoltre auspicato il ritorno ad un “quadro normale” che permettesse il ritiro delle sanzioni imposte dalla Comunità economica dell’Africa occidentale (Cedeao), auspicio anch’esso andato deluso: ad un anno da quelle dichiarazioni, il Mali rimane sospeso dai principali organismi regionali – Unione africana in testa -, e come altri Paesi guidati da giunte golpiste – Guinea, Burkina Faso e Sudan – escluso dai tavoli decisionali della comunità internazionale.

In questo contesto, agli occhi dei francesi il Niger resta un raro “baluardo” di democrazia nell’Africa sub-sahariana, nonché un prezioso alleato da non perdere per il mantenimento di una presa in Africa, continente sempre più soggetto alle influenze di Cina e Russia. In questa prospettiva, a novembre – alla vigilia della visita di Bazoum a Parigi del 7 dicembre -, la Difesa francese ha consegnato all’Aeronautica nigerina due elicotteri Gazelle, sette cannoni da 20 millimetri e 8mila munizioni insieme a pezzi di ricambio per un valore complessivo di 4,2 milioni di euro. Il ministro della Difesa del Niger, Alkassoum Indattout, ha accolto le consegne come “la prova del sostegno incondizionato che la Francia offre al Niger nella lotta al terrorismo”, portando a 5 il numero di elicotteri Gazelle ricevuti da Parigi da utilizzare per il supporto tattico delle truppe a terra nel contrasto alle milizie jihadiste, l’evacuazione medica, la ricognizione e il collegamento. Dopo la rottura degli accordi militari franco-maliani ed il rifiuto da parte della giunta di Bamako di impiegare mezzi aerei francesi a supporto delle Forze armate locali, è presumibile che parte di questi rifornimenti siano stati proposti al Niger.

Parigi dispone di una base militare permanente proprio nella capitale Niamey, dov’era stata collocata la principale base aerea dell’operazione Barkhane, insieme a sei droni Reaper e a sette aerei da combattimento Mirage; un’unità da combattimento occupa anche questa base, che si trova vicino alla pericolosa Zona dei tre confini (tra Mali, Burkina Faso e Niger). Con il ritiro dal Mali, è proprio sul Niger che la Francia e i suoi alleati puntano maggiormente per mantenere il loro presidio nella regione. Un interesse che riguarda da vicino anche l’Italia, presente in Niger con 290 militari, 160 mezzi terrestri e 5 aerei e dove dal 2018 è impegnata in una Missione bilaterale di supporto in cui sta investendo molto, con l’obiettivo di collaborare con le autorità sul fronte dell’immigrazione irregolare. Dopo la chiusura della task force Takuba l’impegno dell’Italia nel Sahel è rimasto forte, e rimane confermato nel nuovo governo con l’intenzione – formulata di recente dal ministro della Difesa Guido Crosetto – di “partecipare di più” alle missioni di pace nel continente africano, in particolare nell’ambito della formazione militare.

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