Le autorità militari del Myanmar hanno revocato le licenze operative di cinque testate indipendenti, “Mizzima, “Myanmar Now”, “7Day News”, “Democratic voice of Burma” e “Khit Thit Media”, che stavano dando notizia delle proteste in corso in tutto il Paese contro il colpo di Stato dello scorso primo febbraio. Lo riferisce il Comitato per la protezione dei giornalisti (Cpj), che chiede alla giunta di invertire immediatamente la propria decisione, interrompere i blitz nelle redazioni giornalistiche e smettere di arrestare i reporter.
Ieri decine di militari e di agenti di polizia hanno fatto irruzione negli uffici di “Myanmar Now” al centro di Yangon, sequestrando computer, documenti e server dati. Oggi, invece, il presidente e fondatore di “Mizzima”, Soe Myint, ha denunciato un blitz nella redazione centrale del quotidiano, sempre a Yangon, promettendo tuttavia che la testata continuerà a lavorare finché potrà.
“La giunta birmana deve invertire immediatamente l’errata decisione di sospendere le licenze dei media locali, consentendo alle cinque testate di riprendere le loro normali attività”, ha commentato Shawn Crispin, rappresentante del Cpj per il sud-est asiatico. Il bilancio delle vittime dall’inizio della crisi è salito negli ultimi giorni oltre i 50 morti, con 38 vittime nella sola giornata di mercoledì 3 marzo. Vi sono inoltre più di 1.800 persone arrestate, come indicato dai dati aggiornati dell’Associazione di assistenza ai prigionieri politici: tra queste figurano esponenti politici (a partire dalla consigliera di Stato Aung San Suu Kyi e dal presidente Win Myint, sui quali pendono numerosi capi di imputazione), deputati, leader degli studenti, monaci buddhisti, semplici manifestanti, sindacalisti e impiegati pubblici che hanno preso parte al Movimento di disobbedienza civile (Mdc) organizzato contro la giunta militare. Lo scorso primo febbraio, a poche ore dall’insediamento del nuovo parlamento emerso dalle contestate elezioni di novembre 2020, le forze armate hanno preso il potere arrestando la consigliera di Stato, premio Nobel per la pace nel 1991, e il presidente Win Myint.
Il parlamento sarebbe stato dominato dalla Lega nazionale per la democrazia (Nld) e avrebbe visto una presenza risibile del Partito dell’unione per la solidarietà e lo sviluppo (Usdp), la forza politica appoggiata dai vertici militari. Secondo i generali, guidati da Min Aung Hlaing, le elezioni sarebbero state macchiate da brogli e irregolarità e le autorità civili non avrebbero fatto nulla per porre rimedio. Il colpo di Stato in Myanmar sembra tuttavia legato anche alla rivalità geopolitica tra Cina e India, con molti osservatori che nelle ultime settimane hanno accusato deliberatamente Pechino di aver favorito l’ascesa dei militari a causa della sua insoddisfazione per il governo di Aung San Suu Kyi in un Paese in cui la Repubblica popolare ha in corso importanti progetti infrastrutturali.
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