Un gruppo di investigatori sostenuto dalle Nazioni Unite ha sollecitato cittadini e funzionari del Myanmar a denunciare qualunque ordine contrario al diritto internazionale da parte della giunta militare al potere in quel Paese, per raccogliere evidenze da presentare contro il governo militare nelle sedi giuridiche internazionali. “Le persone maggiormente responsabili dei peggiori crimini internazionali sono solitamente quelle nelle più elevate posizioni di leadership, e non i perpetratori diretti dei crimini”, ha dichiarato tramite una nota Nicholas Koumjian, direttore del Meccanismo investigativo indipendente per il Myanmar. “Provare le responsabilità (delle figure ai vertici del potere) richiede evidenze di rapporti ricevuti, ordini assegnati e delle politiche definite”, ha aggiunto Koumjian. Secondo la nota, il gruppo di investigatori indipendenti è impegnato a “raccogliere prove relative ad arresti arbitrari, tortura, sparizioni forzate e uso della forza, inclusa la forza letale, contro quanti manifestano pacificamente contro il golpe”.
Sono proseguiti anche ieri in Myanmar gli scontri tra le forze di sicurezza e i manifestanti che protestano contro il colpo di Stato dello scorso primo febbraio. Fonti locali riferiscono di colonne di fumo che si sono alzate da diverse zone di Yangon, la più grande città del Paese, con diversi quartieri trasformatisi in campi di battaglia nonostante la legge marziale imposta dalle autorità. Uno dei punti focali della protesta è stato il quartiere industriale di Yangon, dal quale centinaia di residenti sono fuggiti nelle scorse ore. Nel frattempo, il portale “The Irrawaddy”, edito da dissidenti birmani in Thailandia, aggiorna a 193 il conto delle vittime dall’inizio della crisi, con due persone rimaste uccise nella giornata di ieri e altre tre ferite. Nel pomeriggio di martedì le forze armate hanno infatti aperto il fuoco su centinaia di persone che tornavano da una protesta a Kawlin, nella regione di Sagaing, e che avevano circondato un uomo accusato di essere un informatore del regime. Durante la sparatoria è rimasto ucciso un manifestante, mentre altri tre sono stati arrestati. L’altra vittima si è avuta ieri mattina a Sud Dagon, a Yangon, dove un pedone ha perso la vita dopo esser stato colpito dalle forze di sicurezza.
Lo scorso primo febbraio, a poche ore dall’insediamento del nuovo parlamento emerso dalle contestate elezioni di novembre 2020, le forze armate hanno preso il potere arrestando la consigliera di Stato Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace nel 1991, e il presidente Win Myint. Il parlamento sarebbe stato dominato dalla Lega nazionale per la democrazia (Nld) e avrebbe visto una presenza risibile del Partito dell’unione per la solidarietà e lo sviluppo (Usdp), la forza politica appoggiata dai vertici militari. Secondo i generali, guidati da Min Aung Hlaing, le elezioni sarebbero state macchiate da brogli e irregolarità e le autorità civili non avrebbero fatto nulla per porre rimedio. Il colpo di Stato in Myanmar sembra tuttavia legato anche alla rivalità geopolitica tra Cina e India, con molti osservatori che nelle ultime settimane hanno accusato deliberatamente Pechino di aver favorito l’ascesa dei militari a causa della sua insoddisfazione per il governo di Aung San Suu Kyi in un Paese in cui la Repubblica popolare ha in corso importanti progetti infrastrutturali.
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