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Myanmar: la Cina si dice pronta a impegnarsi con le parti per risolvere la crisi

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La Cina è pronta a impegnarsi con tutte le parti in causa per contribuire a risolvere la crisi in Myanmar, aperta da un colpo di Stato militare lo scorso primo febbraio. Lo ha dichiarato oggi in conferenza stampa il ministro degli Esteri della Repubblica popolare, Wang Yi, ricordando che Pechino è un Paese “completamente amico” del Myanmar. In passato Wang era già intervenuto sulla questione, sottolineando come la crisi sia “un affare interno” a Naypyidaw. La Cina, inoltre, si è sempre rifiutata di approvare una risoluzione di condanna del golpe militare in sede di Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.


Le forze di sicurezza del Myanmar sono tornate ieri a usare gas lacrimogeni contro i manifestanti che da settimane protestano contro il golpe militare dello scorso primo febbraio. Lo riferisce il portale “Channel News Asia”, secondo cui i disordini si sono registrati in particolare a Yangon, la più grande città del Paese, dove i manifestanti sono stati colpiti da granate stordenti e gas lacrimogeni. Proteste anche a Myitkyina, capitale dello Stato di Kachin, a Myeik, nell’estremo sud, e a Dawei, nel sud-est del Myanmar. Il bilancio delle vittime dall’inizio della crisi è salito questa settimana oltre i 50 morti, con 38 vittime nella sola giornata di mercoledì 3 marzo.

Myanmar: arresti e repressione non si fermano

Vi sono inoltre più di mille persone arrestate, come indicato dai dati aggiornati dell’Associazione di assistenza ai prigionieri politici: tra queste figurano esponenti politici (a partire dalla consigliera di Stato Aung San Suu Kyi e dal presidente Win Myint, sui quali pendono numerosi capi di imputazione), deputati, leader degli studenti, monaci buddhisti, semplici manifestanti, sindacalisti e impiegati pubblici che hanno preso parte al Movimento di disobbedienza civile (Mdc) organizzato contro la giunta militare.

Lo scorso primo febbraio, a poche ore dall’insediamento del nuovo parlamento emerso dalle contestate elezioni di novembre 2020, le forze armate hanno preso il potere arrestando la consigliera di Stato Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace nel 1991, e il presidente Win Myint. Il parlamento sarebbe stato dominato dalla Lega nazionale per la democrazia (Nld) e avrebbe visto una presenza risibile del Partito dell’unione per la solidarietà e lo sviluppo (Usdp), la forza politica appoggiata dai vertici militari. Secondo i generali, guidati da Min Aung Hlaing, le elezioni sarebbero state macchiate da brogli e irregolarità e le autorità civili non avrebbero fatto nulla per porre rimedio. Il colpo di Stato in Myanmar sembra tuttavia legato anche alla rivalità geopolitica tra Cina e India, con molti osservatori che nelle ultime settimane hanno accusato deliberatamente Pechino di aver favorito l’ascesa dei militari a causa della sua insoddisfazione per il governo di Aung San Suu Kyi in un Paese in cui la Repubblica popolare ha in corso importanti progetti infrastrutturali.

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