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Lotta di potere nel Partito comunista cinese dietro il blocco della quotazione di Alibaba

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Ci sono ben precise ragioni politiche dietro la decisione del presidente cinese Xi Jinping di bloccare una delle più grandi operazioni finanziarie della storia: la quotazione nella borsa di Shanghai e di Hong Kong di Ant Group, il braccio fintech del colosso dell’e-commerce Alibaba. Secondo le previsioni, il valore delle azioni vendute avrebbe superato i 37 miliardi di dollari (ben oltre il precedente record di Saudi Aramco, che aveva raccolto 29 miliardi di dollari) e il valore del gruppo sarebbe schizzato sopra i 300 miliardi. All’ultimo, tuttavia, le autorità cinesi di regolamentazione hanno bloccato l’operazione e costretto il magnate Jack Ma a “spacchettare” il gruppo, la cui doppia natura di tech company e banca online è stata ritenuta inaccettabile dal governo. Dietro lo stop, ci sarebbero però anche, se non soprattutto, importanti ragioni politiche che sono state sviscerate in una lunga inchiesta del “Wall Street Journal”: citando “una decina” di funzionari e consiglieri governativi cinesi, il quotidiano statunitense rivela come Xi fosse profondamente preoccupato dagli enormi benefici economici che la quotazione di Ant Group avrebbe portato a investitori occulti tra i quali i suoi rivali politici.


Lo strappo con Jack Ma

Nei mesi antecedenti lo strappo con Ma, riferisce il “Wsj”, il presidente della Repubblica popolare avrebbe manifestato un crescente disagio per la complessa struttura societaria di Ant Group, che sarebbe stata anche oggetto di un’indagine promossa dal governo centrale (fatto finora mai emerso pubblicamente). L’inchiesta avrebbe fatto emergere come dietro “opachi strumenti d’investimento” che possiedono quote dell’azienda ci fosse “una cricca di potenti e ben introdotti uomini d’affari”, alcuni dei quali “legati a famiglie politiche che rappresentano una potenziale minaccia per il presidente Xi e per il suo cerchio di potere”. Tali individui, insieme a Jack Ma e agli alti dirigenti dell’azienda, sarebbero arrivati a guadagnare miliardi di dollari grazie a un’operazione finanziaria – la quotazione sulle borse di Hong Kong e Shenzhen – che avrebbe portato la compagnia a una valutazione di oltre 300 miliardi di dollari.

“Nel corso dei suoi otto anni da presidente, Xi ha allontanato molti dei suoi rivali e la sua presa sul potere è ora comparabile a quella di Mao Zedong. Il leader cinese – ricorda il quotidiano statunitense – ha utilizzato campagne contro la corruzione, contro le speculazioni immobiliari e contro altre attività finanziarie ad alto rischio per rafforzare la propria posizione. Il piano di offerta pubblica iniziale di Ant rappresentava il tipo di accumulo di ricchezza su cui Xi si è sempre scagliato”. Già prima dell’apertura dell’indagine interna sul gruppo, il modello d’affari di Ant generava inquietudine tra i regolatori della Banca centrale di Pechino. La compagnia possiede un’app per i pagamenti mobili chiamata Alipay, usata da oltre un miliardo di persone, che fornisce ad Ant un enorme volume di dati sulle abitudini di spesa dei consumatori cinesi. Inoltre, scrive il “Wsj”, Ant Group ha concesso prestiti a mezzo miliardo di persone e venduto decine di altri prodotti finanziari, “ma non segue le dure regole cui sono soggette le banche commerciali”. I rischi finanziari sono tutti a carico delle banche statali che forniscono i fondi sui quali Ant Group fa profitti. “Da una parte, c’è un gruppo di individui in grado di accumulare enormi ricchezze. Dall’altra parte, c’è lo Stato che si assume gran parte del rischio”, spiega una delle fonti del quotidiano Usa. In un discorso pronunciato alla fine dello scorso ottobre, Ma ha duramente criticato un’iniziativa di Xi Jinping per tenere sotto controllo i rischi finanziari, affermando che la stretta avrebbe posto un freno all’innovazione tecnologica. Tuttavia, a causare la rottura sarebbero stati soprattutto i risultati dell’inchiesta ordinata da Xi sulla struttura societaria di Ant Group.

Uno degli investitori è risultato essere Boyu Capital, società di private-equity co-fondata da Jiang Zhicheng, nipote dell’ex leader cinese Jiang Zemin. Secondo le fonti del “Wsj”, il 94enne Jiang sarebbe ancora un importante attore “dietro le scene” della politica cinese, sebbene molti dei suoi uomini siano caduti vittime della campagna anti-corruzione promossa da Xi Jinping. Un altro investitore legato a Jiang è Li Botan, genero di Jia Qinglin, ex membro del comitato centrale del Partito comunista, a capo della cosiddetta “fazione di Shanghai”. Lo stesso Ma ha rapporti di lunga data con la famiglia Jiang. Nel 2012 Jiang Zemin, conosciuto anche come Alvin, aiutò Ma a raggiungere un accordo per rilevare metà della quota azionaria di Yahoo in Alibaba. Un’operazione da 7,1 miliardi di dollari che fu finanziata da un consorzio di investitori composto dalla Boyu di Jiang, da China Investment Corp e dal ramo finanziario di Banca di sviluppo cinese e Citic Group, tutti con forti legami politici. Il consorzio ricevette in cambio il 5 per cento delle azioni di Alibaba, il cui valore crebbe enormemente due anni dopo con la quotazione dell’azienda al New York Stock Exchange. Secondo il “Wall Street Journal”, la Boyu ha investito in Ant già nel 2016 attraverso uno schema di scatole cinesi. Di base a Hong Kong, l’azienda ha istituito una controllata a Shanghai che a sua volta ha investito in un fondo d’investimento locale. A sua volta, quel fondo d’investimento ha investito in una società di private-equity chiamata Beijing Jingguan Investment Center, che a turno ha acquistato azioni in Ant per un valore totale di 4,5 miliardi di dollari. Un altro investitore rimasto nell’ombra sarebbe Li Botan, noto per aver fondato nel 2009 il Maotai Club nei pressi della Città Proibita, punto di riferimento di figure della politica e dell’alta finanza perseguitati da Xi Jinping dopo l’ascesa al potere nel 2012.

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