Il progressivo deterioramento della sicurezza da tempo osservato in Nigeria è esploso nelle ultime settimane in una raffica di rapimenti di massa concentrati principalmente nel nord-ovest del Paese, un’area meno soggetta a regolari violenze rispetto ai più colpiti Stati nord-orientali e centrali di Borno e Kaduna. In meno di una settimana si sono susseguiti tre episodi drammatici nello Stato di Zamfara: lo scorso 26 febbraio uomini armati hanno rapito 317 studentesse da una scuola, liberandone pochi giorni dopo 279, mentre il primo marzo il villaggio di Sabuwar Tunga è stato attaccato due volte nel giro di poche ore, prima da banditi locali – che hanno ucciso 40 residenti – poi da altri uomini armati che hanno sequestrato oltre 100 persone. Fra i rapiti, testimoni locali parlano di molte donne con i loro bambini e riferiscono che un neonato di pochi giorni è stato riportato alla comunità poche ore dopo l’attacco. Nel cercare i motivi di questa concentrazione di rapimenti di massa nello Zamfara – dove si trovano numerose miniere d’oro irregolari – i media nigeriani ricordano che nel 2019 le autorità locali hanno raggiunto un controverso accordo di pace con banditi e milizie di autodifesa, mentre di recente il presidente Muhammadu Buhari ha invitato le autorità della regione a non scendere più a patti con i banditi, smettendo di cedere al pagamento di riscatti. Dopo aver convocato i vertici delle Forze armate e promesso che i responsabili saranno assicurati alla giustizia, il presidente ha vietato le attività minerarie nello Zamfara e lo ha dichiarato una “no-fly-zone”, come misura di sicurezza in caso di nuove violenze e lasciando presumere un’agevolazione per eventuali manovre militari.
Se la recente ondata di rapimenti registrata a Zamfara denota uno spostamento a ovest del baricentro dell’azione jihadista, anche con l’inglobamento sottotraccia di “banditi” già attivi in zona, le conseguenze della diffusa insicurezza hanno spinto migliaia di persone alla fuga. Secondo dati dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), dall’inizio dell’anno oltre 7.660 persone hanno cercato riparo nel vicino Niger ed in particolare nella regione meridionale di Maradi, che ospita ora quasi 100 mila persone di cui 77 mila nigeriane, tutte fuggite dagli incessanti attacchi negli stati di Katsina, Sokoto e Zamfara. A questo proposito, Unhcr ha elogiato la generosità del Niger, le cui autorità continuano attualmente a garantire l’accesso all’asilo, nonostante le restrizioni alle frontiere determinate dai protocolli sanitari anti Covid-19. In Niger, gli operatori dell’Unhcr hanno registrato un picco di violenza brutale all’interno della stessa regione di Maradi, con un alto numero di vittime e gravi incidenti riportati sia a gennaio e febbraio 2021 che nella seconda metà del 2020. I rifugiati descrivono omicidi raccapriccianti, rapimenti a scopo di riscatto e villaggi saccheggiati. Molti sono rimasti anche coinvolti in scontri tra agricoltori e pastori e in fenomeni di vigilantismo, dato che nella maggior parte dei villaggi si stanno costituendo gruppi di autodifesa. Le persone in fuga hanno urgente bisogno di acqua, cibo, riparo e servizi sanitari.
In questo quadro di grandi spostamenti di persone, appare particolarmente rilevante l’allarme lanciato oggi dall’Unhcr e dal Programma alimentare mondiale (Pam) che in un comunicato congiunto hanno chiesto 266 milioni di dollari per sostenere i loro progetti di assistenza, poiché sono stati costretti a tagliare le razioni alimentari fino al 60 per cento. La situazione, riferiscono le due agenzie, è ulteriormente aggravata dai blocchi del Covid-19 e dalle misure di contenimento, che hanno ridotto le scorte di cibo nei mercati dei campi profughi e la capacità dei rifugiati di sostenere le proprie famiglie attraverso lavori occasionali e piccole imprese. “La pandemia è stata devastante per tutti, ma ancora di più per i rifugiati”, ha affermato Clementine Nkweta-Salami, direttrice dell’ufficio regionale dell’Unhcr per l’est africano, la regione del Corno e i Grandi Laghi. L’ufficio copre 11 paesi, che ospitano circa 4,7 milioni di rifugiati, il 72 per cento dei quali dovrà affrontare tagli alimentari. “A meno che non vengano messi a disposizione più fondi, migliaia di rifugiati, compresi i bambini, non avranno abbastanza da mangiare”, ha detto Nweta-Salami. Allo stesso modo, il Pam è stato costretto a tagliare l’assistenza mensile ai rifugiati in sei paesi, dal 16 al 60 per cento. “Non abbiamo mai avuto una situazione di finanziamento così terribile per i rifugiati”, ha affermato Michael Dunford, direttore regionale per l’Africa orientale.
Il settore umanitario in Nigeria è peraltro finito nel mirino, colpito proprio in questi giorni, di un nuova azione di matrice jihadista. È stato infatti attribuito a miliziani dello Stato islamico nell’Africa occidentale (Iswap), fazione secessionista di Boko Haram, l’assalto sferrato nella notte tra l’1 e il 2 marzo a Dikwa, città dello Stato nord-orientale di Borno che ospita al suo interno un campo militare ed una base umanitaria delle Nazioni Unite e che già in passato è stato obiettivo jihadista. Lo hanno confermato fonti della sicurezza citate dalla stampa locale, spiegando che un attacco simultaneo è stato condotto contro la città e gli obiettivi militari, spingendo 25 operatori umanitari a cercare rifugio nel bunker Onu. Nonostante tre interventi dell’esercito nigeriano, intervenuto nel tentativo di respingere gli assalitori con il supporto di un aereo e di un elicottero, i miliziani sono riusciti a prendere la città in un’operazione nella quale mentre scriviamo non è conosciuto il bilancio di eventuali vittime. Secondo quanto riferito all’emittente “Rfi” da testimoni locali, l’attacco jihadista è stato “rapido e spettacolare”, mentre per il coordinatore Onu in Nigeria, Edward Kallon, è sembrato evidente che l’attacco inferto dai miliziani jihadisti a Dikwa mirasse direttamente le strutture di soccorso, con un grave impatto sul sostegno fornito dalle Nazioni Unite a quasi 100mila persone “che hanno un disperato bisogno di assistenza e protezione umanitaria”.
Nel suo intervento a Dikwa, l’esercito nigeriano ha schierato anche rinforzi dalla vicina base militare di Marte, città che è stata ripresa ai jihadisti di Iswap la scorsa settimana dall’esercito dopo essere stata conquistata dal gruppo una settimana prima. Secondo l’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim), l’attacco alla base di Marte ha provocato notevoli spostamenti verso il campo di transito dell’Oim situato nell’area di Dikwa, città che dista meno di 100 chilometri dalla capitale del Borno, Maiduguri, a sua volta colpita lo scorso 23 febbraio da un attacco jihadista. Nell’attacco di Maiduguri gli insorti hanno lanciato delle bombe che sono atterrate in aree residenziali affollate della città, uccidendo 16 persone e provocando circa 60 feriti. La stessa Maiduguri ospita oltre 75 mila sfollati interni dal conflitto che da ormai più di dieci anni dilania il nord-est della Nigeria.
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