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Lo Sri Lanka vittima della trappola cinese del debito, il governo annuncia il default

La sospensione dei rimborsi dei prestiti e dei pagamenti in valuta estera è una misura estrema che dovrebbe consentire di utilizzare le limitate riserve – stimate alla fine di marzo dalla banca centrale in appena 1,9 miliardi di dollari – per importare beni fondamentali come cibo, carburanti e farmaci

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Si aggrava la crisi dello Sri Lanka, il cui ministero delle Finanze ha dichiarato oggi l’inadempienza agli obblighi sul debito pubblico estero, che ammonta a circa 51 miliardi di dollari, in attesa di un salvataggio del Fondo monetario internazionale (Fmi). La sospensione dei rimborsi dei prestiti e dei pagamenti in valuta estera è una misura estrema che dovrebbe consentire di utilizzare le limitate riserve – stimate alla fine di marzo dalla banca centrale in appena 1,9 miliardi di dollari – per importare beni fondamentali come cibo, carburanti e farmaci. Ai creditori verrà presentata una proposta di ristrutturazione; nel frattempo il servizio del debito pubblico estero è sospeso per le obbligazioni emesse sui mercati di capitali internazionali; gli accordi di credito bilaterali a eccezione di quelli tra banche centrali; gli accordi con banche commerciali straniere che godono di garanzie pubbliche. Il Paese insulare, 22 milioni di abitanti, sta vivendo la situazione più difficile dalla sua indipendenza, nel 1948. A marzo l’inflazione ha toccato il 18,7 per cento, il 30,2 per cento per i generi alimentari. Nelle scorse settimane i supermercati hanno limitato le quantità di prodotti alimentari vendibili ai consumatori; le stazioni di rifornimento hanno razionato la benzina e il diesel; l’erogazione della corrente elettrica è stata interrotta con blackout programmati durati fino a 13 ore al giorno.

Lo Sri Lanka è precipitato nella crisi in seguito alla pandemia di coronavirus, che ha colpito i suoi settori economici chiave, a cominciare dal turismo, e acuito la carenza di valuta estera, necessaria per le importazioni essenziali. L’ultimo rapporto del Fondo monetario, di inizio marzo, ricorda tuttavia che “alla vigilia della pandemia, il Paese era altamente vulnerabile agli shock esterni a causa di riserve estere inadeguate e di elevati rischi per la sostenibilità del debito pubblico, esacerbati dagli attacchi terroristici della domenica di Pasqua del 2019 e da importanti cambiamenti politici, tra cui ampi tagli alle tasse alla fine del 2019”. L’organizzazione con sede a Washington spiega che “la limitata disponibilità di finanziamenti esterni per il governo ha portato a un ingente finanziamento diretto del bilancio da parte della banca centrale” e in prospettiva suggerisce un risanamento del bilancio basato su “entrate di alta qualità” e sulla revisione delle aliquote del reddito e dell’Iva, la razionalizzazione della spesa, l’attuazione di riforme strutturali, la diversificazione dell’economia, una politica monetaria più restrittiva e un graduale ritorno a un tasso di cambio flessibile (da aprile 2021 è ancorato al dollaro).

Il Fondo monetario non cita la Cina, Paese con cui lo Sri Lanka è pesantemente indebitato. Cita però – invitando a una “gestione prudente”, al rafforzamento della governance e al contrasto della corruzione – il progetto di zona economica speciale Colombo Port City, che fa parte anche della Nuova via della seta (o Belt and Road Initiative), la grande iniziativa di connettività lanciata da Pechino. La maggior parte del debito dello Sri Lanka, il 36,4 per cento, è in obbligazioni sovrane internazionali, secondo dati della banca centrale. Il principale creditore è la Banca asiatica di sviluppo (Adb), col 14,6 per cento, mentre i primi due Paesi sono il Giappone e la Cina, con quote del 10,9 per cento e del 10,8 per cento rispettivamente. Nell’ultimo decennio la Cina ha concesso allo Sri Lanka prestiti agevolati per oltre cinque miliardi di dollari, con lo scopo di finanziare la costruzione di autostrade, porti e altre infrastrutture. I progetti tuttavia si sono rivelati a basso rendimento, alimentando l’ipotesi di una “trappola del debito”, che ovviamente Pechino nega di aver teso. A gennaio, in occasione di una visita del ministero degli Esteri cinese, Wang Yi, a Colombo, il deputato Wijeyadasa Rajapakshe, del Fronte del popolo dello Sri Lanka (Slpp), lanciò l’accusa esplicitamente, in una lettera aperta indirizzata al presidente della Cina, Xi Jinping, con la richiesta di “mettere fine all’invasione economica”. Secondo il parlamentare da quando è stata lanciata la Nuova via della seta, lo Sri Lanka è stato usato da Pechino per le sue ambizioni di potenza mondiale. Il politico, critico nei confronti del presidente srilankese in carica, Gotabaya Rajapaksa, ha denunciato una serie di progetti per i quali è stato sprecato denaro pubblico e su cui gravano anche sospetti di irregolarità.

Il rapporto con la Cina non è stato messo in discussione dall’attuale governo. Il presidente Rajapaksa a gennaio ha ribadito l’importanza di attrarre investimenti, non importa se nazionali o esteri, compresi quelli cinesi quindi. Con Pechino, cui è stata chiesta una ristrutturazione del debito, è in corso un’interlocuzione sulla concessione di un finanziamento da 2,5 miliardi di dollari, di cui un prestito da un miliardo di dollari e una linea di credito da 1,5 miliardi di dollari. D’altra parte, lo Sri Lanka ha chiesto assistenza finanziaria anche all’India, che ha offerto una nuova linea di credito da un miliardo di dollari per l’acquisto di cibo, medicinali e altri beni di prima necessità; 500 milioni di dollari per l’importazione di carburante dall’India; un differimento di un prestito di 515,2 milioni di dollari e un accordo di swap valutario di 400 milioni di dollari nell’ambito della Saarc, l’Associazione sud-asiatica per la cooperazione regionale, cui entrambi i Paesi appartengono. A breve inizieranno i negoziati col Fondo monetario internazionale per la possibile attivazione di un nuovo programma di prestiti al Paese.

Nel frattempo lo Sri Lanka versa in una crisi non solo economica, ma anche politica e sociale. Il governatore della banca centrale Ajith Nivard Cabraal si è dimesso e al suo posto è subentrato Nandalal Weerasinghe. Cambio della guardia anche al ministero delle Finanze, dove Basil Rajapaksa, fratello del presidente, è stato rimosso e sostituito da Ali Sabry, che a sua volta nel giro di 24 ore ha annunciato e ritirato le dimissioni. Gotabaya Rajapaksa ha perso la maggioranza parlamentare dopo l’abbandono di 43 deputati che facevano parte della sua coalizione e si trova a guidare un governo di minoranza. L’opposizione ha organizzato proteste di piazza a seguito delle quali sono stati imposti il coprifuoco e lo stato d’emergenza, poi revocati. L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani ha espresso preoccupazione per le restrizioni attuate in risposta a manifestazioni prevalentemente pacifiche ostacolando la libera espressione del dissenso. Anche il Comitato per la protezione dei giornalisti (Cpj), organizzazione non governativa e senza fini di lucro con sede a New York, ha sollecitato il governo di Colombo a rispettare le libertà fondamentali, compresa la libertà di stampa. L’Associazione medica nazionale dello Sri Lanka ha lanciato invece l’allarme sul collasso del sistema sanitario, inclusi i servizi di emergenza.

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