La recente classificazione del gruppo paramilitare russo Wagner come organizzazione criminale transnazionale e il suo “ruolo destabilizzante e opportunistico” in Libia e nella regione. Questo l’argomento al centro dell’incontro tra l’assistente del segretario di Stato statunitense per gli affari del Vicino Oriente, Barbara Leaf, con il comandante dell’autoproclamato Esercito nazionale libico, generale Khalifa Haftar, tenuto ieri a Bengasi, il capoluogo della regione storica orientale libica della Cirenaica. Lo ha affermato l’ambasciata statunitense in Libia sul profilo Twitter.
Leaf ha inoltre discusso con Haftar dell’importanza di “sostenere l’iniziativa del rappresentante speciale del segretario generale delle Nazioni Unite, Abdoulaye Bathily, volta a coinvolgere tutte le istituzioni e gli attori politici libici nella definizione di un percorso chiaro per le elezioni entro la fine dell’anno”. Le parti hanno anche discusso, secondo l’ambasciata, “dell’importanza di proteggere la sovranità della Libia costringendo tutti i combattenti, le forze e i mercenari stranieri a lasciare il Paese”.
L’ultima visita di un alto funzionario statunitense nella Libia orientale risale allo scorso 12 gennaio. Quel giorno, infatti, il direttore della Cia, William Burns, aveva incontrato a Tripoli il primo ministro del Governo di unità nazionale (Gun), Abdelhamid Dabaiba, per poi recarsi nella roccaforte dell’Lna a Rajma, poco fuori Bengasi, per un faccia a faccia proprio con Haftar. Oltre al dossier delle elezioni, uno dei possibili temi sollevati oggi dalla parte statunitense potrebbe riguardare la presenza russa in Libia. Nonostante l’impiego in Ucraina, il gruppo paramilitare russo Wagner, infatti, è ancora presente nel Paese nordafricano. Secondo il sito web di approfondimento sul Medio Oriente “Al Monitor”, con sede a Washington, le unità Wagner sono per lo più presenti nella regione orientale, in particolare nella base aerea di Al Khadim, vicino alla città di Al Marj, nella città di Sirte e nella regione centrale di Al Jufrah. Qui si ritiene che si trovino la maggior parte dei cacciabombardieri e delle risorse più preziose di Wagner, inclusi i suoi avanzati sistemi di difesa aerea e aerei da combattimento. “Mentre Mosca aumenta la sua dipendenza dal gruppo Wagner in Ucraina, gli Stati Uniti e altre potenze occidentali stanno investendo maggiori sforzi e risorse per limitare il gruppo per privarlo dell’accesso alle armi e ai finanziamenti”, si legge su “Al Monitor”.
Secondo quanto appreso da Mohamed Eljarh, analista libico e uno dei soci fondatori di “Libya Desk”, società di consulenza con attività in tutto il paese e che si occupa di sviluppo economico – il generale Haftar avrebbe – a sorpresa – espresso la propria disponibilità a discutere la partenza del gruppo Wagner dalla Libia. A patto però dell’assicurazione e della garanzia degli Stati Uniti che anche le forze della Turchia, schierate a sostegno del governo di Tripoli guidato da Dabaiba, se ne vadano dalla Libia e che gli Stati Uniti forniscano sostegno all’Lna per sostituire l’assistenza militare fornita da Wagner e dai russi, inclusa l’operatività dei caccia avanzati e dei sistemi di difesa che aiutano a proteggere il quartier generale di Haftar a sud di Bengasi.
Classe 1943, ufficiale del regime di Gheddafi, Haftar fu preso prigioniero durante la guerra contro il Ciad e divenne un oppositore del regime. Rilasciato nel 1990, trascorre quasi 20 anni negli Stati Uniti acquisendo la cittadinanza Usa. Nel 2011, rientra in Libia per sostenere l’insurrezione e nel maggio del 2014 lancia l’operazione Karama (dignità), sferrando un attacco contro le milizie islamiste a Bengasi. Consolidando progressivamente il proprio controllo sulla Cirenaica, nell’aprile 2019 lancia l’attacco contro Tripoli che lo vedrà poi sconfitto, nonostante l’ausilio dei mercenari russi del gruppo Wagner, grazie all’intervento della Turchia. Da allora, continua a svolgere un ruolo nominale di vertice pur avendo delegato buona parte delle attività ai suoi due figli, Saddam (presente all’incontro con Leaf) e Belqasim.
Intanto, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) ha registrato un netto aumento delle partenze dalla Cirenaica, la regione orientale della Libia dominata da Haftar. “Ci sono varie motivazioni per questo aumento. Una di particolare peso è il fermo pesca che ha imposto il governo libico in un certo periodo dell’anno scorso. Questo ha generato un notevole numero di partenze. Il 99 per cento dei pescatori della Libia sono egiziani e si sono trovati da un giorno all’altro senza lavoro e senza risorse. In più, gli armatori libici non hanno più avuto la possibilità di usare le loro navi, che sono state poi acquistate da trafficanti o da contrabbandieri. Questa è una delle spiegazioni, poi ci sono anche altri fattori”, ha recentemente dichiarato ad “Agenzia Nova” Laurence Hart, capo missione dell’Oim in Italia e coordinatore dell’ufficio per il Mediterraneo dell’organizzazione.
Secondo i dati del Viminale visti da “Agenzia Nova”, dalla Libia sono partiti 7.057 migranti sbarcati in Italia al 13 marzo, un aumento dell’80 per cento circa rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Una fonte libica ha riferito a “Nova” che circa due terzi dei barconi partono ormai dalla Libia orientale. Da questa rotta partono soprattutto cittadini egiziani, siriani e bengalesi. Si tratta di un trend che si sta consolidando già da alcuni mesi. Oltre la metà dei quasi 100 mila migranti sbarcati in Italia nel 2022, infatti, è partita proprio dalla Libia, di cui oltre 30 mila dalla Tripolitania e, per la prima volta, circa 18 mila dalla Cirenaica. “Storicamente – ha aggiunto il direttore di Oim in Italia – la migrazione egiziana verso la Libia è stata numerosa e sostenuta in vari settori”. Anche i cittadini bengalesi utilizzano la rotta della Cirenaica. “Loro sono soprattutto vittime di tratta. La disinformazione in Bangladesh, attraverso trafficanti senza scrupoli, stimola molte persone a emigrare perché c’è una promessa di lavoro che in realtà è falsa, dal momento che queste persone si trovano poi senza passaporto e sfruttate. Quando il sogno diventa incubo non c’è più la possibilità di tornare indietro e si guarda all’altra soluzione, cioè l’attraversata del Mediterraneo”, ha concluso Hart.
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