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Libia: ufficiale di Haftar ricercato dalla Cpi devasta un concessionario di auto a Bengasi

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Il maggiore libico Mahmud al Werfalli, ricercato dalla Corte penale internazionale (Cpi), ha fatto irruzione con i suoi uomini in un concessionario di auto a Bengasi, capoluogo della Cirenaica, devastandone completamente gli uffici. Il filmato delle violenze diffuso sui social media libici mostra il comandante della forza d’élite “Al Saiqa” (fulmine in arabo), parte dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna) del generale Khalifa Haftar, mentre distrugge insieme ai suoi uomini un concessionario della casa automobilistica Toyota accusato di vendere pezzi di ricambio all’esercito a prezzi esorbitanti e che superano il limite di legge. Secondo quanto appreso da “Agenzia Nova”, tuttavia, Werfalli e i suoi uomini da tempo avevano imposto il “pizzo” ai commercianti della zona. Secondo questa ricostruzione, il proprietario del concessionario, Mubarak Al Sousi, ora fuggito all’estero, non solo si sarebbe rifiutato di pagare, ma da avrebbe anche sospeso la fornitura di pezzi di ricambio alle vetture dell’Lna, scatenando dunque la furia degli uomini della “Saiqa”.


Vale la pena ricordare che Werfalli, che abbraccia l’islam salafita, è accusato di aver compiuto una serie di crimini e di omicidi in particolare durante il conflitto con le milizie islamiste di Bengasi, capoluogo della Cirenaica. Il procuratore capo della Corte penale internazionale, Fatou Bensouda, ha più volte sottolineato come Werfalli sia ancora libero, contrariamente a quanto riferito dall’Lna che aveva annunciato l’arresto. Diversi video diffusi sui social media mostrano Werfalli mentre supervisiona l’esecuzione di prigionieri bendati e incappucciati. Egli stesso viene ripreso mentre uccide un prigioniero, l’ultimo di un gruppo di circa 20 uomini vestiti con la tuta arancione che ricorda i prigionieri di Guantánamo e dello Stato islamico, con un colpo di pistola alla nuca.

I miliziani salafiti della “Saiqa” hanno espresso in passato la propria contrarietà al mandato d’arresto spiccato della Corte penale internazionale contro il loro comandante. In un video messaggio registrato nel 2018 a Bengasi, capoluogo della Cirenaica, un gruppo di uomini in divisa appartenenti ad “Al Saiqa” aveva espresso la propria rabbia contro l’Onu e alcuni paesi occidentali, tra cui l’Italia, dicendosi pronti a giustiziare in pubblico i loro prigionieri. Il maggiore veniva descritto dai suoi uomini come “l’eroe della Cirenaica”, affermando che per i prigionieri uccisi dovrebbe “un onore essere giustiziati dai suoi proiettili”. Gli uomini della “Saiqa” affermavano che il generale Haftar, in qualità di comandante dell’operazione militare “Karama” (dignità in arabo), avrebbe impartito l’ordine di uccidere i prigionieri e di non mostrare pietà. Gli estremisti salafiti avevano ammesso e anzi si erano vantati di aver commesso esecuzioni sommarie pubbliche per causare orrore tra i nemici e si erano detti pronti a rifarlo. “Non abbiamo paura di nessuno, temiamo solo di Allah”, avevano spiegato i militanti, negando di aver nascosto i corpi in fosse comuni. I cadaveri dei prigionieri uccisi, a loro dire, sarebbero stati tutti inviati al Centro medico di Bengasi “alla luce del sole”.

 

 

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