Libia: l’eventuale taglio delle forniture all’Italia sarebbe un disastro per il Paese nordafricano

La Libia potrebbe tagliare nel breve termine le esportazioni di gas all’Italia del 25 per cento “per soddisfare la domanda interna e risolvere la crisi energetica del Paese”

Il possibile taglio del 25 per cento alle forniture di gas libico all’Italia prospettato a mezzo stampa dalle autorità libiche è indice di quanto sia grave la situazione in Libia. Ieri, 6 luglio, il quotidiano libico anglofono “Libya Herald”, citando fonti del Governo di unità nazionale di Tripoli, aveva detto che la Libia potrebbe tagliare nel breve termine le esportazioni di gas all’Italia del 25 per cento “per soddisfare la domanda interna e risolvere la crisi energetica del Paese”. La testata libica riteneva che la decisione sarebbe stata presa “in virtù della carenza di gas per le centrali elettriche libiche, causata dal blocco dei giacimenti nell’est del Paese eseguita da gruppi armati”. Oggi, Eni ha fatto sapere che “prende atto delle dichiarazioni delle autorità libiche e monitora l’andamento dei flussi”. E i flussi dicono che è ancora troppo presto per parlare di riduzione vera a propria.

Il gas in arrivo al terminal di Gela, in Sicilia, è sempre stato altalenante negli ultimi mesi: un giorno potevano arrivare 5,5 milioni di metri cubi, un altro 9 milioni, poi forse 7 milioni. In media, la Libia fornisce grossomodo 8 milioni di metri cubi di gas al giorno. Dall’inizio di luglio dalla Libia sono arrivati solo 6 milioni di metri cubi di gas: un calo, appunto, del 25 per cento rispetto alla media. E’ opportuno sottolineare che la Libia incide per circa il 2-3 per cento nelle importazioni totali di gas in Italia, il 3-4 per cento se si guardano solo i flussi via gasdotto. Un eventuale calo potrebbe essere facilmente compensato da altre fonti, inclusa la produzione nazionale di gas. “Serve una diversificazione delle fonti di approvvigionamento di gas e favorirne la produzione nazionale”, ha detto oggi il direttore Affari pubblici di Eni, Lapo Pistelli, nel corso dell’audizione in commissione Industria al Senato su sicurezza, approvvigionamento e prezzi dell’energia accessibili. Eni ha già raggiunto il livello di stoccaggio gas di ottobre 2021 da oltre una settimana. “Stiamo cooperando con Snam e Gse per coprire eventuali volumi mancanti”, ha aggiunto Pistelli.

Se davvero la Libia decidesse di tagliare le forniture all’Italia, sarebbe anzitutto un problema per i libici e non per gli italiani. Significherebbe che il Paese nordafricano non è più in grado di onorare i contratti internazionali che garantiscono l’unica fonte di reddito, peraltro mentre i prezzi del petrolio sui mercati internazionali sono altissimi. Vorrebbe dire che il Paese membro del Cartello petrolifero Opec è, di fatto, sull’orlo del caos. Mustafa Sanallah, presidente della National Oil Corporation (Noc), l’ente petrolifero libico e principale azienda del Paese nordafricano, lo aveva detto nei giorni scorsi: “La situazione molto grave. Il funzionamento di impianti vitali, compresi gli impianti elettrici e di desalinizzazione, e delle industrie strategiche è legato al proseguimento della produzione di petrolio, parte della quale viene scambiata con combustibile destinato a impianti vitali con l’approvazione del governo”.

Da febbraio 2022 è in corso un braccio di ferro tra due coalizioni rivali in Libia: da una parte il Governo di unità nazionale (Gun) del premier ad interim Abdulhamid Dabaiba con sede a Tripoli, riconosciuto al livello internazionale ma sfiduciato dal Parlamento; dall’altra il Governo di stabilità nazionale (Gsn) designato dalla Camera dei rappresentanti di Tobruk e guidato da Fathi Bashagha, appoggiato a sua volta dal generale Khalifa Haftar. L’esecutivo del premier uscente controlla la capitale Tripoli e diverse zone della Tripolitania, la regione più popolosa del Paese. Il Gsn sostenuto dal Parlamento dell’est e dal generale libico Khalifa Haftar controlla i pozzi petroliferi situati in Cirenaica e nel Fezzan, oltre agli edifici governativi di Bengasi (est), Sirte (centro-nord) e Sebha (sud-ovest). Intanto la produzione petrolifera è crollata per effetto dei blocchi dei terminal di esportazione, con gravi conseguenze sul sistema elettrico che dipende dal combustibile e dal gas: lunghi blackout flagellano la popolazione in tutto il Paese, con temperature che raggiungono anche i 45 gradi. Lo scorso primo luglio, le proteste del “venerdì di rabbia” nel Paese sono degenerate nel saccheggio, nella razzia e nell’incendio del Parlamento di Tobruk.

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