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Libia: il Paese al bivio tra il mantenimento dello status quo e una nuova rivoluzione

Il fragile equilibrio di potere basato sull’implicito accordo tra due potenti famiglie - i Dabaiba e gli Haftar al potere rispettivamente a Tripoli (ovest) e a Bengasi (est) - rischia di essere spazzato via dal ciclone Daniel

Tripoli
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Il fragile equilibrio basato sull’implicito accordo tra due potenti famiglie – i Dabaiba e gli Haftar al potere rispettivamente a Tripoli (ovest) e a Bengasi (est) – con un crescente ruolo dei “verdi” (vale a dire gli ex gheddafiani) nei gangli dello Stato profondo, rischia di essere spazzato via dal ciclone Daniel. I danni delle piogge torrenziali che l’11 settembre hanno causato la rottura di due dighe vicino a Derna, distruggendo gran parte della città costiera, trascinando interi quartieri in mare e provocando tra le 4.000 alle oltre 15.000 vittime. Dopo il disastro, sia le autorità di Tripoli che quelle di Bengasi hanno avviato un coordinamento – al livello informale – per ricevere gli aiuti internazionali che, sul terreno, vengono organizzati logisticamente dalle forze del generale Khalifa Haftar. Non a caso, l’inviato Onu Abdoulaye Bathily, ha ribadito “l’urgenza che la Libia disponga di istituzioni unificate e legittime per rispondere efficacemente a tutte le sfide che la nazione deve affrontare”, sollecitando “sforzi rapidi, coordinati e uniti” per soccorrere la popolazione colpita da un disastro destinato ad avere ripercussioni in Libia per decenni.


Tuttavia, il rischio che le autorità di Tripoli e di Bengasi possano sfruttare la situazione di emergenza per mantenere lo status quo, rimanendo al potere e procrastinando “sine die” le elezioni, è molto alto. Allo stesso tempo, diversi osservatori ritengono che l’incuria che ha provocato il crollo delle dighe di Derna possa alimentare la rabbia popolare e portare allo scoppio di una nuova rivoluzione nel Paese. Le protesta scoppiate a Derna contro la Camera dei rappresentanti, il parlamento eletto nel 2014 presieduto dal politico libico di lungo corso Aguila Saleh, e contro il Consiglio municipale potrebbero essere il segnale di un cambiamento in vista. Ma è opportuno sottolineare che simili manifestazioni, quand’anche dovessero essere spontanee, difficilmente avvengono senza il permesso di milizie e militari.

Per uscire dallo stallo politico, l’inviato dell’Onu ha lanciato, il 27 febbraio scorso, un piano per redigere gli emendamenti costituzionali e le leggi elettorali necessarie per tenere elezioni “libere, inclusive e trasparenti” entro il 2023. Tuttavia, il termine ultimo proposto da Bathily per preparare la tabella di marcia è scaduto il 15 giugno e lo stesso inviato ha detto che lo “status quo” non è più tollerabile. Secondo la normativa libica il voto dovrebbero tenersi entro 240 giorni dall’emanazione delle leggi elettorali. Siccome tali leggi non sono ancora state promulgate, e nella migliore delle ipotesi non saranno approvate prima di diverse settimane ancora, le elezioni in Libia non si terranno prima della metà 2024. Basti pensare, ad esempio, che la recente elezione del nuovo presidente dell’Alto consiglio di Stato Mohammed Takala, il “Senato” che fa da contraltare alla Camera dei rappresentanti dell’est, richiederà un periodo di assestamento prima della ripresa dei negoziati.

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