Su invito del presidente del Consiglio dei mufti della Russia, il generale Khalifa Haftar, comandante in capo dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Enl), ha visitato ieri la moschea di Mosca, accompagnato dal vice ministro della Difesa della Federazione Russa, Yunus-bek Bamatgireyevich Yevkurov. Lo si apprende da un messaggio pubblicato dal Comando generale dell’Eln su Facebook. Il presidente del Consiglio dei mufti della Russia, Ravil Gainutdin, ha espresso a Haftar le sue condoglianze per le vittime delle alluvioni nell’est della Libia. Haftar era giunto a Mosca per una visita ufficiale lo scorso 26 settembre ed era stato ricevuto da Yevkurov. Il comandante dell’Eln era stato accolto con il picchietto d’onore e una cerimonia di ricevimento ufficiale, durante la quale erano stati suonati gli inni nazionali dei due Paesi. L’ufficio informazioni dell’Enl aveva fatto sapere che durante la visita in Russia, avventa su invito e impulso delle autorità di Mosca, il generale libico avrebbe tenuto colloqui con i funzionari “russi sugli sviluppi della situazione in Libia, sulle relazioni bilaterali tra i due Paesi e sulle modalità per migliorare il loro sostegno e sviluppo e questioni di interesse comune”. Con Yevkurov, del resto, il generale libico ha avuto tre incontri in poco più di un mese, dopo quelli del 22 agosto e del 17 settembre, a Bengasi. La prima visita era curiosamente avvenuta alla vigilia della morte del leader del gruppo russo Wagner, Evgenij Prigozhin, alleato dell’Esercito nazionale libico, deceduto in un incidente aereo il 23 agosto; la seconda, invece, si era tenuta a pochi giorni dal disastro che ha causato migliaia di morti nella città libica orientale di Derna, in concomitanza con l’arrivo sul territorio libico di una squadra di soccorso russa.
E’ importante ricordare che il 21 settembre, dunque poco prima della partenza per Mosca, il “maresciallo di campo” Haftar (l’equivalente di un generale a cinque stelle, massimo grado militare in Libia) aveva ricevuto nel suo quartier generale a Bengasi il comandante del Comando degli Stati Uniti per l’Africa (Africom), generale Michael Elliott Langley, “per discutere dell’importanza di formare un governo nazionale democraticamente eletto, riunificare l’esercito libico e salvaguardare la sovranità libica, rimuovendo i mercenari stranieri”, secondo quanto riferito dall’ambasciata degli Stati Uniti su X (ex Twitter). Accompagnato dall’inviato della Casa Bianca, ambasciatore Richard Norland, Langley aveva discusso con Haftar anche degli sforzi di soccorso in corso nelle aree colpite dalle inondazioni generate dal ciclone “Daniel” e degli sforzi delle autorità libiche e della comunità internazionale per aiutare chi ne ha bisogno.
Ex fiancheggiatore del defunto colonnello Muammar Gheddafi in occasione del colpo di stato militare del 1969, Haftar, classe 1943, cadde prigioniero in Ciad nel 1987. Dopo essere stato liberato, disertò e si rifugiò negli Stati Uniti, dove aderì all’opposizione in esilio. Rimase negli Usa, dove entrò ripetutamente in contatto con la Cia e ottenne il passaporto Usa, fino al 2011 quando, durante la “rivoluzione del 17 febbraio”, ritornò a Bengasi per assumere il comando delle truppe rivoluzionarie, senza successo. Salito al grado di generale di corpo d’armata, dopo la fuga in Germania dell’ex premier libico Ali Zeidan, Haftar riuscì ad imporsi in Cirenaica approfittando della debolezza del governo ad interim di Abdullah al Thinni, servendo come ministro della Difesa. La svolta arrivò con il lancio, nel maggio del 2014, di una vasta operazione contro le milizie islamiste di Ansar al Sharia a Bengasi. L’operazione chiamata “Karama”, che in arabo significa “dignità”, riscosse molti consensi fra le unità dell’Esercito regolare, le tribù della Cirenaica, suo luogo di origine, le milizie irregolari come le brigate al Qaqa di Zintan e la brigata al Sawaiq di Tripoli, oltre a un discreto numero di parlamentari.
Già nel 2017, il generale Haftar aveva in mano praticamente tutta la Cirenaica, a seguito della presa di Derna, controllata anche grazie al supporto aereo garantito dal vicino Egitto. Nell’aprile del 2019, Haftar aveva lanciato un’offensiva per “liberare” anche Tripoli, la capitale libica, dando inizio alle operazioni militari che per quasi un anno avevano visto le forze dell’Enl assediare Tripoli e dintorni con il sostegno dei mercenari russi del gruppo Wanger. Il rischio di una capitolazione di Tripoli aveva poi spinto la Turchia, tra i principali sostenitori del governo internazionalmente riconosciuto, a intervenire in maniera diretta nel conflitto nel gennaio del 2020, fornendo a Tripoli supporto aereo (tramite l’impiego di droni Bayraktar TB2), mezzi militari e mercenari siriani. Pochi mesi dopo l’arrivo delle prime forze turche a Tripoli, l’offensiva dell’Lna si era esaurita le forze di Haftar erano state costrette te a indietreggiare fino a Sirte. Qui, i mercenari della compagnia russa Wagner alleati del generale della Cirenaica hanno costruito una sorta di “Linea Maginot” nel deserto fino a raggiungere base aerea desertica di Jufrah. Nell’agosto del 2020, il processo di pace guidato dalla comunità internazionale aveva stabilito la necessità di far ritirare le forze straniere dalla Libia. A ottobre, le parti libiche hanno raggiunto al cessate il fuoco ancora in vigore oggi.
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