Il generale Khalifa Haftar ha annunciato che l’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna) non rinuncerà “mai alla capitale Tripoli, qualunque siano le circostanze”. Parlando questo fine settimana dalla sala operativa principale della 106esima Brigata, comandata dal suo terzogenito Khaled, l’uomo forte della Cirenaica ha parlato di una “nuova minaccia di guerra”, lodando “gli ufficiali della 106esima Brigata che si distinguono dagli altri e non sono per esempio come gli ufficiali della regione occidentale: abbiamo sempre avuto grande fiducia nel nostro esercito”. Citato dal quotidiano panarabo edito a Londra “Asharq al Awsat”, il generale libico ha esortato soldati e ufficiali a tutti i livelli a “tenersi pronti” a tutti gli sviluppi, incluso uno scenario di guerra.
Da quasi un anno la Libia è spaccata tra due coalizioni politiche e militari rivali: da una parte il Governo di unità nazionale con sede a Tripoli del premier Abdulhamid Dabaiba, riconosciuto dalla Comunità internazionale e appoggiato dalla Turchia; dall’altra il Governo di stabilità nazionale guidato dal premier designato Fathi Bashagha, di fatto un esecutivo parallelo basato in Cirenaica, inizialmente sostenuto da Egitto e Russia ma ormai sempre più abbandonato a sé stesso. Il generale Haftar, nonostante la retorica bellicosa, da tempo dialoga dietro le quinte con le autorità di Tripoli, scaricando di fatto il governo parallelo con sede a Sirte sostenuto dalla Camera dei rappresentanti dell’est mentre parpara il terreno per la discesa nell’agone politico dei suoi eredi: i figli Saddam, Belcagem e Khaled. Altri attori che contribuiscono allo stallo istituzionale libico sono il presidente del Parlamento, Aguila Saleh, e il capo dell’Alto consiglio di Stato con sede a Tripoli, Khaled al Mishri.
Nel frattempo, l’inviato dell’Onu Abdoulaye Bathily ha criticato la scorsa settimana, parlando al Consiglio di sicurezza, la “mancanza di legittimità” della classe politica libica e ha puntato il dito contro due istituzioni in particolare: la Camera dei rappresentanti dell’est da una parte, il foro legislativo eletto nell’ormai lontano 2014; e l’Alto Consiglio di Stato di Tripoli dall’altra, la “camera alta” della Libia con funzioni quasi prevalentemente consultive, ma comunque indispensabili per le decisioni più rilevanti. Le due camere “non sono state in grado di concordare una base costituzionale per le elezioni”, ha detto Bathily, proponendo quindi l’istituzione di un nuovo “Comitato di alto livello” che dovrà includere i principali “stakeholder” libici per redigere gli emendamenti costituzionali e le leggi elettorali necessarie per tenere elezioni “libere, inclusive e trasparenti” entro il 2023.
Per pronta risposta, l’Alto consiglio di Stato ha approvato il famoso tredicesimo emendamento costituzionale, contenente in teoria alcune delle “regole” per le prossime elezioni, quando ormai era evidentemente tardi. L’emendamento – trasmesso in precedenza dall’organo legislativo che fa da contraltare all’Alto consiglio, la Camera dei rappresentanti con sede nella città orientale di Tobruk – è stato definito “controverso” da Bathily, che intende invece formare un Alto comitato di 30-40 membri con i principali soggetti istituzionali libici: dai protagonisti dell’Accordo di Shkirat del 2015 al Comitato militare 5+5 (formato da 5 alti ufficiali dell’est e altrettanti dell’ovest), dai membri della Camera e del Consiglio di Stato agli esperti e ai rappresentanti della società civile. L’intento dell’inviato Onu è quello di raggiungere un bilanciamento all’interno del Comitato che impedisca ai politici di portare l’ostruzionismo praticato fino ad ora.
Intanto in Libia il cessate il fuoco raggiunto dal Comitato militare 5+5 (composto da cinque alti ufficiali dell’est e altrettanti dell’ovest) nell’ottobre del 2020 regge, ma i mercenari e i combattenti stranieri portati da Russia e Turchia sono ancora sul terreno. La produzione petrolifera è stabile a 1,2 milioni di barili di petrolio al giorno, mentre le esportazioni di gas verso l’Italia ammontano a 7 milioni di metri cubi al giorno circa. La Libia, infine, rappresenta la principale piattaforma di partenza dei migranti illegali che tentano di raggiungere le coste europee attraverso la pericolosa rotta del Mediterraneo centrale: poco più della metà degli oltre 100 mila migranti sbarcati in Italia via mare nel 2022 è infatti partito dalle coste di Tripolitania e Cirenaica.
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