di Alessandro Scipione, da Mezzaluna
I disordini esplosi a Zawiya, nella Libia nord-occidentale, rischiano di scatenare una caccia ai migranti irregolari in Libia e, in particolare, contro gli africani sub-sahariani, sulla falsariga di quanto sta accadendo in Tunisia. La tensione in questa importante città costiera della Tripolitania, tra i punti principali delle partenze dei migranti e snodo cruciale delle esportazioni di prodotti petroliferi, è degenerata nella disobbedienza civile dopo la diffusione sui social media libici di filmati di torture perpetrate da persone definite come “africani” ai danni di altri individui identificati come “giovani libici”, anche se dalle immagini non sembra possibile alcuna identificazione. La diffusione del video, corredato da commenti in cui si punta il dito contro presunti migranti sub-sahariani assoldati per torturare gli arabi, ha suscitato la rabbia della popolazione di Zawiya, che da mercoledì 26 aprile è scesa in strada per manifestare la propria indignazione. “Non possiamo indossare l’uniforme militare senza far nulla mentre i libici vengono torturati da criminali stranieri”, ha detto il comandante della regione militare della costa occidentale in Libia, Salah el Din el Namroush, già ministro della Difesa.
“I gruppi armati usano gli immigrati clandestini nei loro crimini, il che li rende loro partner nel crimine. Ciò rappresenta un grande pericolo per la sicurezza libica e la pace sociale e mina gli sforzi di pace e stabilità in Libia. Questo dossier deve essere elaborato seriamente per porre fine ai gruppi armati e all’immigrazione clandestina”, ha commentato su Twitter Muhammed Ahmed Jibreel, politico, blogger e candidato a un seggio parlamentare nella città di Misurata. Secondo gli ultimi dati dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni, in Libia c’erano almeno 694.398 migranti di oltre 42 nazionalità sparsi in tutto il Paese a novembre-dicembre 2022: un numero che è continuato ad aumentare rispetto ai 683.813 del periodo settembre-ottobre. Solo nel gennaio 2018 l’Oim ha registrato un numero maggiore di migranti (704.142) nel Paese nordafricano. “Chiediamo a tutte le città della Libia di unirsi a noi. Queste bande criminali e questi migranti devono essere espulsi dalla nostra città. Non permetteremo più la tortura e il rapimento dei nostri giovani!”, ha detto ad “Agenzia Nova” Muhammad Khaled, un residente di Zawiya. Un nuova campagna contro i migranti irregolari, e in particolare contro i subsahariani, potrebbe portare a un aumento dei flussi verso l’Italia, come già avvenuto in Tunisia. Questa eventualità, unita al possibile ingresso nella Libia orientale di migliaia di sfollati in fuga dal Sudan, dove il conflitto tra generali rivali sta degenerando nella guerra civile, potrebbe rappresentare un problema enorme in estate, quando il bel tempo favorisce notoriamente le partenze dei migranti via mare.
Intanto i dimostranti di Zawiya hanno diffuso sui social media le loro richieste per porre fine alle manifestazioni: lo scioglimento del Consiglio municipale e lo svolgimento delle elezioni amministrative; il licenziamento del direttore della sicurezza; limitazioni all’accesso di auto blindate e armate in città e il trasferimento in periferia dei quartier generali delle milizie; l’annullamento delle decisioni illegittime del ministero dell’Interno e del ministero della Difesa (non è chiaro a cosa si riferiscano esattamente); una riforma degli organi di sicurezza della città; l’arresto di bande criminali subsahariane affiliate alle milizie locali e coinvolte nel traffico di esseri umani; l’arresto di tutti i criminali coinvolti in omicidi e altri atti criminali; raid nei siti di contrabbando di carburante e droga, prevenzione della vendita di carburante e droga all’interno della città; la formazione di un comitato di sicurezza composto da persone note per la loro efficienza e integrità; la fine della copertura offerta dalle tribù e dagli sceicchi di Zawiya ai criminali.
Secondo Jalel Harchaoui, associate fellow presso il Royal United Services Institute ed esperto di questioni libiche, il primo ministro designato dalla Camera dei rappresentanti di Tobruk (Libia orientale), Fathi Bashagha, ha diffuso sulla sua pagina Facebook immagini presentate come episodi di tortura compiuti da parte di africani ai danni di arabi. L’analista non esclude la possibilità che si tratti di fenomeni “orchestrati” per suscitare la rabbia della popolazione, orientandola e strumentalizzandola per fini politici. A Zawiya la situazione era già tesa prima della diffusione di questo tipo di immagini. Il 23 e il 24 aprile, gli scontri tra milizie rivali avevano causato la morte di almeno quattro civili. Testimoni oculari hanno raccontato che, durante gli scontri, sono stati impiegati lanciarazzi e armi di medio calibro. Alla fine del febbraio scorso, due persone erano rimaste uccise e altre due ferite a seguito degli scontri tra un gruppo armato affiliato al ministero dell’Interno e un altro del ministero della Difesa del Governo di unità nazionale (Gun, l’esecutivo riconosciuto dall’Onu) nei pressi della raffineria di petrolio della città. Raffineria che è stata ora chiusa dai manifestanti, circostanza che potrebbe avere gravi ripercussioni sulla produzione di carburante e la fornitura di energia elettrica nel Paese. L’infrastruttura, infatti, priva la Tripolitania di circa 120.000 barili al giorno di carburante. E, come se non bastasse, anche le importazioni di carburante dall’estero sono ostacolate. Fatto, quest’ultimo, che rischia di privare le centrali elettriche del combustile necessario e che potrebbe degenerare in diffusi blackout che, in piena estate, arrivano a durare anche più di 20 ore al giorno.
La municipalità di Zawiya è nota anche per essere la roccaforte di Abd al Rahman Milad, ufficiale della Guardia costiera libica accusato di traffico di esseri umani e carburante e di aver commesso crimini contro i migranti. Conosciuto con il nome di “Bija”, Milad era stato rilasciato nella primavera del 2021 su ordine del pubblico ministero dopo che sarebbero decadute le accuse nei suoi confronti. Egli fa parte degli Awlad Buhmira, la tribù che fa capo alla famiglia Buzeriba che rappresenta l’Agenzia di sostegno alla stabilizzazione, a sua volta guidata da Abd al Ghani al Kikli, meglio noto come Ghaniwa (o Gnewa), uno dei più potenti capi militari di Tripoli. Intanto, la 52esima Brigata di fanteria è stata costretta a ritirarsi stanotte da Zawiya, nella Libia nord-occidentale, per la forte ostilità della popolazione e delle milizie locale. Fonti di “Agenzia Nova” riferiscono che, durante il ripiegamento, alcuni veicoli del convoglio militare, mentre procedevano a gran velocità sotto colpi di arma da fuoco, hanno investito dei manifestanti che erano in strada, causando un numero imprecisato di feriti. La 52esima Brigata guidata dal comandante Mahmoud Bin Rajab è affiliata al Governo di unità di nazionale del premier Abdulhamid Dabaiba.
Dal febbraio 2022 la Libia è divisa da due coalizioni politiche e militari rivali: da una parte il Governo di unità nazionale con sede a Tripoli del premier Abdulhamid Dabaiba, riconosciuto dalla Comunità internazionale e appoggiato soprattutto dalla Turchia; dall’altra il Governo di stabilità nazionale guidato dal premier designato Bashagha, di fatto un esecutivo parallelo basato in Cirenaica, sostenuto inizialmente da Egitto e Russia ma ormai sempre più abbandonato a sé stesso. A detenere il potere nella Libia orientale è infatti il generale a capo dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna), Khalifa Haftar. Per uscire dallo stallo politico, l’inviato dell’Onu Abdoulaye Bathily ha lanciato, il 27 febbraio, un piano per l’istituzione di un nuovo “Comitato di alto livello” che dovrà per redigere gli emendamenti costituzionali e le leggi elettorali necessarie per tenere elezioni “libere, inclusive e trasparenti” entro il 2023. Tuttavia, la nuova iniziativa presentata dall’inviato delle Nazioni Unite, accolta con freddezza a Tripoli e a Bengasi, non sembra prendere slancio. Nel Paese vige al momento una stabilità parziale, basata su un implicito accordo tra due potenti famiglie: i Dabaiba e gli Haftar al potere rispettivamente a Tripoli (ovest) e a Bengasi (est).
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