Il tentativo di limitare la dipendenza europea dalle forniture russe operato con l’annullamento del progetto del gasdotto South Stream ha di fatto favorito il transito delle forniture attraverso alcuni dei Paesi europei più vicini alla Cina. Questo sviluppo, inoltre, è stata un’occasione persa per l’Italia che avrebbe potuto diventare un hub energetico in Europa. Il gas russo continua a essere la principale fonte di approvvigionamento per molti Paesi del Vecchio continente e, nonostante il blocco del South Stream, la dipendenza europea verrà acuita dal completamento del gasdotto Nord Stream 2. Questo progetto – fortemente osteggiato dai Paesi baltici, dalla Polonia e, soprattutto, dagli Stati Uniti – è quasi completo, seppure con diversi ritardi provocati dalle sanzioni imposte dall’amministrazione Usa guidata da Donald Trump.
Il gas russo
Il gas russo, peraltro, transita attraverso Stati in cui negli ultimi anni ci sono stati significativi investimenti da parte della Cina, soprattutto in campo infrastrutturale. Ungheria e Serbia sono due esempi in questo senso. Grazie a un importante investimento di Pechino, infatti, verrà realizzata la ferrovia ad alta velocità fra Budapest e Belgrado. Inoltre, i due Paesi hanno spinto fortemente per realizzare il cosiddetto Balkan Stream, il “ramo balcanico” del Turkish Stream. I legami speciali dei due Paesi europei con Russia e Cina sono emersi con tutta evidenza anche nell’attuale pandemia del Covid-19, quando Budapest e Belgrado non hanno esitato ad assicurarsi le dosi di vaccino russo e cinese portando avanti le loro campagne di distribuzione di massa in autonomia rispetto al resto del continente.
Serbia e Cina
Quello della Serbia con la Cina è un rapporto solido, maturato negli anni, in particolare da quando le autorità cinesi hanno deciso di lanciare il poderoso progetto di una nuova Via della seta. Se Mosca è dal punto di vista economico il fornitore energetico essenziale per la Serbia, Pechino ha fatto di questo paese lo snodo di terra nella cerniera balcanica per le infrastrutture comprese nell’Iniziativa Belt and road (Bri), il grande programma lanciato dal presidente cinese Xi Jinping nel 2013. Il progetto più noto riguardante la linea ferroviaria veloce Belgrado-Budapest, è solo l’ultimo obiettivo “terrestre” cinese in Europa centrale. Pechino, infatti, aveva cominciato in Grecia con l’acquisizione nel 2017 di tutti i terminal del porto del Pireo da parte dal gruppo statale China ocean shipping company (Cosco). Il disegno prosegue con la necessità di un servizio ferroviario efficiente per creare una continuità fra mare e terra fino all’Europa centrale. “L’autonomia” nei rapporti con Mosca e Pechino, rispetto a quella promossa negli ultimi anni da Unione europea e Stati Uniti, sta assicurando a Serbia e Ungheria importanti risvolti economici in attesa di vedere se lo schema alternativo proposto da Bruxelles e Washington per quanto concerne le forniture energetiche possa rivelarsi adeguato. La Polonia si pone come capofila dei progetti voluti dagli statunitensi che fanno leva soprattutto sul Gnl, seguita dalla Croazia e potenzialmente da altri Paesi coinvolti nell’ambito dell’Iniziativa dei Tre Mari. Ma al di là di Varsavia non sembrano in molti i Paesi della regione realmente disposti a rinunciare ad un aumento delle forniture di gas russo ed agli investimenti cinesi.
Grecia e Bulgaria
Nell’Europa sud orientale, intanto, Grecia e Bulgaria si profilano sempre più come hub energetici, andando ad occupare un ruolo che avrebbe potuto occupare l’Italia. Oltre ad essere tra i principali promotori del gasdotto EastMed e quindi destinazione privilegiata delle possibili forniture di idrocarburi in arrivo dal Mediterraneo orientale, la Grecia si sta infatti ritagliando il ruolo di snodo fondamentale anche per quanto riguarda altre rotte di approvvigionamento del gas naturale. Da qualche settimana il Paese è diventato a tutti gli effetti destinazione del gasdotto transadriatico (Tap), come l’Italia, ma con un ruolo cruciale anche come snodo per le possibili forniture verso i Balcani nell’ambito del progetto del gasdotto ionico-adriatico (Iap). Il Parlamento greco ha inoltre ratificato l’accordo di cooperazione sul progetto dell’interconnettore Grecia-Bulgaria (Igb), un’infrastruttura che insieme al terminale Gnl di Alessandropoli potrebbe avere un ruolo decisivo nel completamento della strategia di Atene per diventare hub energetico regionale. Anche la Bulgaria è infatti un Paese chiave per le forniture energetiche nella regione, che a sua volta si propone come hub destinato a convogliare sia le forniture in arrivo dal Corridoio meridionale del gas che quelle in arrivo dalla Russia tramite la sezione balcanica del Turkish Stream. Atene e Sofia si stanno muovendo dunque su un doppio piano, perseguendo la strada della diversificazione delle forniture voluta dagli Usa senza tuttavia rinunciare all’aumento del gas importato dalla Russia. L’Italia sembra invece aver perso la sua opportunità per perseguire il ruolo di hub energetico in Europa, ritagliandosi invece un ruolo più marginale “accontentandosi” delle forniture in arrivo come terminale del Tap.
La Bulgaria è riuscita a rientrare nella partita del gas russo in arrivo dalla Turchia, nonostante un certo equilibrismo del governo europeista guidato dal premier Bojko Borisov, che ha più volte sottolineato l’importanza della diversificazione delle forniture energetiche. Il Turkish Stream è infatti il gasdotto voluto da Mosca e Ankara che ha di fatto sostituito il South Stream, progetto da oltre 60 miliardi di metri cubi di gas annui che avrebbe dovuto conferire all’Italia un ruolo chiave nelle forniture in arrivo nell’Europa dalla Russia tramite la Turchia. Questo progetto è stato archiviato nel 2014 in seguito al venire meno della partecipazione della Bulgaria ma, più in generale, per il prevalere delle pressioni legate a presunti rischi di un’eccessiva dipendenza dalle forniture russe per l’Europa sud orientale La successiva sostituzione del South Stream con il Turkish Stream è costata molto al nostro Paese, mentre tutti gli altri attori hanno preservato il loro ruolo nel progetto. Russia e Turchia hanno portato avanti i loro intenti attivando una nuova rotta per rifornire i Balcani, come emerso in tutta evidenza dalla cerimonia svoltasi il primo gennaio 2021 in Serbia alla presenza del presidente, Aleksandar Vucic, che ha inaugurato la diramazione balcanica del Turkish Stream. A differenza della Bulgaria, snodo essenziale per la diramazione balcanica del progetto essendo collegata alla rete turca, l’Italia non ha recuperato alcun ruolo nel nuovo gasdotto. Il risultato finale è che l’Europa sud orientale può ora beneficiare delle opportunità offerte dai nuovi hub costituiti da Grecia e Bulgaria, sia per quanto riguarda le forniture del Corridoio meridionale che per quelle in arrivo dalla Russia, mentre l’Italia assecondando le pressioni anti Mosca si è autoesclusa dalla partita del gas per l’Europa sud orientale e centrale. La diramazione balcanica del Turkish Stream dalla Serbia arriverà infatti anche in Ungheria, andando a completare il percorso che avrebbe dovuto essere proprio del South Stream con l’unica differenza nell’esclusione dell’Italia. Attraverso la diramazione balcanica del Turkish Stream, la Russia intende fornire ogni anno 15,75 miliardi di metri cubi di gas all’Europa, con i principali destinatari dell’Ungheria e dell’Austria, dove si trova il cruciale hub di distribuzione del gas di Baumgarten.
Fa riflettere che tutti i Paesi protagonisti di questo nuovo scenario legato alle forniture del gas russo nell’Europa sud orientale sono stati interessati negli scorsi anni anche da importanti investimenti cinesi, soprattutto nel settore delle infrastrutture. A cominciare dalla Grecia, con la società cinese Cosco che gestisce il porto del Pireo, per poi passare a Serbia e Ungheria con il ruolo di Pechino nella realizzazione della ferrovia Belgrado-Budapest. In questa fase legata all’emergenza Covid-19, da ultimo, Serbia e Ungheria non hanno esitato ad aprire le porte ai vaccini contro il virus prodotti da Russia e Cina. Le sinergie di Mosca e Pechino sembrano dunque aver fatto breccia nei Balcani e nell’Europa centro-orientale, concretizzandosi in azioni concrete sfruttando il procrastinarsi dell’integrazione nell’Unione europea o le divergenze di Paesi già membri con Bruxelles. L’entrata in vigore del Turkish Stream e della sua diramazione che risale i Balcani verso l’Ungheria rappresenta per l’Italia un’occasione persa, ancor più visto il contemporaneo avanzamento dei progetti legati alle forniture russe anche in altre parti dell’Europa: la Germania, nonostante le tensioni con la Russia da ultimo per il caso dell’attivista Aleksej Navalnyj, difficilmente rinuncerà al completamento del progetto Nord Stream 2 con il conseguente raddoppio della capacità dell’infrastruttura che trasporta il gas russo nel Paese attraverso il Mar Baltico.