Il rumore dei lavori di sottofondo e il movimento delle gru in aria, l’odore della polvere, i sostegni alle finestre: ci sono cose che all’Aquila sembrano rimaste impregnate nel tempo e non andarsene mai, come quella strana quiete che avvolge il centro e i passi delle persone – poche – che passeggiano su corso Vittorio Emanuele. Eppure, la ricostruzione è visibile. I palazzi e le piazze che sono state ridisegnate hanno colori tenui, luminosi: la città è un modellino con parti lisciate a perfezione e dettagli rifiniti a qualche metro soltanto da antiche facciate strette fra impalcature e tiranti, un dialogo architettonico dove tempo congelato e sguardo al futuro convivono e si alternano di continuo, quasi ad ogni passo. La città vive una dimensione come sospesa. A poche ore dall’anniversario di quel 6 aprile del 2009, la vita scorre lenta: i passanti che si fermano con noi raccontano di un centro ricostruito nella forma ma da far rivivere come comunità, ricreando elementi di attrazione per giovani e adulti da tempo trasferitisi altrove, e investimenti per i commercianti che hanno avuto il coraggio di restare. Per Bruno Carioti, presidente dell’Istituzione sinfonica abruzzese, la ricostruzione è “alla fase finale”, e se è vero che “avremmo voluto vedere la ricostruzione dell’Aquila in fase più avanzata, quello che è stato fatto è stato fatto molto bene”. Serve ora, commenta, ricostruire quel tessuto culturale e musicale che in passato aveva fatto della città “la Salisburgo d’Italia”, permettendo lo svolgimento di eventi anche in luoghi al chiuso e non unicamente in estate.
Il centro come luogo da animare oltre che ricostruire è una riflessione comune nei passanti che si fermano a parlare con noi, “il problema è riportare le persone in centro” ci dicono, e il sentimento prende corpo in particolare nelle considerazioni di Pierluigi Beomonte Zobel, professore di meccanica applicata e automazione industriale all’università de L’Aquila. “Una volta il centro incarnava proprio l’anima dell’Aquila, ora è abitato principalmente da studenti” ed è necessario ricreare una motivazione per farlo rivivere in una forma, dice, ancora da definire. Di certo, in questa lunga fase di transizione che è stato il post-terremoto, fondamentale per gli aquilani sono stati luoghi di aggregazione come il bar “Ju Boss”, attività portata avanti da 90 anni dalla famiglia Massari e primo bar della città a riaprire dopo il 2009. “E’ un punto fermo della città”, sottolinea Franco Massari, “che di punti fermi e fissi in quel periodo siamo stati in pochi”.