Il presidente della Repubblica Recep Tayyip Erdogan, capo del Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp), parte nettamente favorito al ballottaggio previsto domenica 28 maggio contro il candidato dell’opposizione e capo del Partito popolare repubblicano (Chp), Kemal Kilicdaroglu. Tuttavia, chiunque vinca al secondo turno dovrà guidare un Paese ad oggi profondamente polarizzato e questo è “un grave problema per qualsiasi futuro presidente della Repubblica”. Lo ha affermato in un’intervista ad “Agenzia Nova”, l’analista geopolitico di origini iraniane, Nima Baheli, secondo cui “in realtà, si è visto che il candidato dell’opposizione e capo del Partito popolare repubblicano (Chp), Kemal Kilicdaroglu, è arrivato al ballottaggio ma che il primo turno è stato vinto da Erdogan con circa cinque punti di differenza rispetto al rivale”. “Questo problema – ha spiegato Baheli – deriva dal fatto che da un lato, le dichiarazioni di voto dei partiti populisti spesso non vengono espresse e questo in qualche maniera sottostima i voti che ottengono i partiti populisti; dall’altro, probabilmente Kilicdaroglu manca in qualche modo di quel carisma che avrebbe dovuto fomentare la coalizione di sei partiti che aveva riunito, l’Alleanza ancestrale, che includeva i kemalisti di Kilicdaroglu, i nazionalisti della Aksener, gli islamisti di altri partiti come il partito Hudà, e i curdi che hanno supportato esternamente la coalizione”.
Secondo quanto dichiarato da Baheli, nella seconda tornata elettorale “sarà interessante capire dove andrà il 5 per cento di voti di Sinan Ogan, il terzo candidato alle elezioni, precedentemente legato al Partito del movimento nazionalista (Mhp) guidato da Devlet Bahceli”. Baheli ha quindi spiegato che “è verosimile che buona parte di quel 5 per cento che deriva dal partito di Bahceli, che è in coalizione con Erdogan e ha ottenuto degli ottimi risultati alle ultime elezioni parlamentari, possa andare verso Erdogan piuttosto che verso Kilicdaroglu, a prescindere dalle dichiarazioni di voto che Ogan ha fatto e che, verosimilmente, non verranno seguite così pedissequamente da coloro i quali lo hanno votato”. “Altro elemento che influirà negativamente su Kilicdaroglu è il fatto che, a seguito della mancata vittoria al primo turno, il principale candidato dell’opposizione è stato costretto a portare avanti anche lui delle istanze un po’ più populiste, come l’attacco contro i migranti siriani, che era uno dei cavalli di battaglia di Ogan”, ha sottolineato Baheli, aggiungendo che “queste scelte potrebbero fargli perdere quella parte di voto curda e di sinistra, che lo aveva favorito al primo turno e quindi paradossalmente Kilicdaroglu potrebbe rischiare di perdere i propri voti senza ottenere il 5 per cento di Ogan, sia perché molti membri della coalizione potrebbero venirne disillusi”. Per tali ragioni, “è verosimile che vinca Erdogan rispetto a Kilicdaroglu”.
Per vincere le elezioni Kilicdaroglu “avrebbe dovuto cercare di rafforzare gli elementi caratteristici di innovazione piuttosto che spingere verso destra”, ha continuato Baheli, cercando ad esempio di spingersi “verso il centrosinistra, o quantomeno presentare nuove idee”. In effetti “Kilicdaroglu ha provato a cambiare anche il suo comitato elettorale, ma un limite forte di questa coalizione è anche la sua ampiezza”, ha spiegato l’analista, perché, “essendo così larga, all’elettore turco medio potrebbe dare un’idea di instabilità” e proprio questo elemento era stato ripreso più volte da Erdogan durante la campagna elettorale. “Erdogan ha fatto in modo che passasse l’idea che qualora Kilicdaroglu vincesse, l’indomani non sarebbe in grado di gestire le sfide che la Turchia sta affrontando”. “Il capo del Chp – ha evidenziato Baheli – non avrebbe dovuto cercare di attrarre i voti di Ogan, ma dovuto insistere sulla tutela dei diritti che, in qualche forma, cerca di mostrare come alternativa dopo 20 anni di ‘erdoganismo’ che, comunque, ha portato la Turchia a diventare più islamista e più autoritaria”.
Secondo Baheli, durante il primo turno delle elezioni Kilicdaroglu, che è un alevita, la seconda religione della Turchia che rappresenta un’altra definizione dell’Islam sciita alternativa a quello sunnita che costituisce la maggioranza della popolazione, “ha cercato di mostrare una visione più laica e tollerante della religione islamica e dell’identità turca”. Questa scelta lo ha portato a ricevere, nel primo turno, il forte sostegno dei curdi. “Durante il secondo turno, invece, il candidato dell’opposizione ha mostrato un atteggiamento maggiormente legato alla propaganda”, ha aggiunto Baheli. A livello di politiche economiche interne, invece, le scelte di Kilicdaroglu “sarebbero più allineate a quelle internazionali”, ha evidenziato l’esperto, spiegando che Erdogan ha mantenuto bassi i tassi di interesse a fronte di alti tassi inflazione, mentre “con Kilicdaroglu le politiche monetarie sarebbero più ortodosse”. “Da un punto di vista esterno, Kilicdaroglu, essendo ataturkiano, metterebbe più l’accento sulla politica estera nel Mediterraneo, rispetto alla politica di Erdogan che si è allargata su vari quadranti che vanno dal Corno d’Africa all’Asia Centrale, al Nord Africa, all’Ucraina”. “Kilicdaroglu concentrerebbe le sue politiche nell’area più vicina alla Turchia, del Medio Oriente e del Mediterraneo, e probabilmente porterebbe comunque a una politica più ortodossa nell’ambito dell’Alleanza Atlantica”. “Erdogan gioca, secondo lui, in maniera intelligente e furba su vari tavoli con la Russia, con l’Iran, con la Nato ecc.,”, ha puntualizzato l’analista, spiegando che verosimilmente “Kilicdaroglu giocherebbe più in ambito occidentale e che con lui, anche il dossier Europa, che ad oggi con Erdogan risulta abbastanza chiuso, potrebbe riaprirsi”.
L’elemento decisivo che ha permesso a Erdogan di arrivare al ballottaggio come primo candidato “è sicuramente il carisma, in cui Kilicdaroglu è manchevole”. “Erdogan – ha affermato Baheli – è dotate di grande istinto politico, e, nella campagna elettorale, ha giocato su questo elemento e anche sui risultati del primo decennio di 20 anni di governo, durante i quali ha tirato fuori dalla fascia di povertà ampia parte della popolazione turca”, e, infatti, non è un caso che “la maggior parte di voti derivi proprio dall’Anatolia più profonda, in seguito alle politiche che erano state precedentemente attuate dal suo partito, che negli scorsi anni, hanno dato vita alle tigri dell’Anatolia (le città anatoliche che hanno visto tasso di crescita record, ndr) e hanno aumentato il loro livello di reddito e di sviluppo umano”.
In aggiunta, anche l’attenzione che Erdogan ha posto sulla potenziale instabilità degli altri rispetto alla sua stabilità, “ha portato acqua al suo mulino”. A giocare un ruolo fondamentale è stata anche “la sua caratterizza forte identità islamista, che fa sì che ampie fasce della popolazione turca si vedano tutelate da un’idea di Stato un po’ più islamista rispetto a uno Stato laico, che potrebbe essere quello di Kilicdaroglu”. “In aggiunta, in questi 20 anni di potere di Erdogan, l’Akp e il suo governo hanno avuto un forte predominio sull’utilizzo di vari media e delle varie istituzioni governative”, ha commentato Baheli, sottolineando il fatto che, durante la campagna elettorale, “Erdogan ha avuto una preponderanza assoluta di copertura mediatica rispetto a Kilicdaroglu, e questo influisce in maniera significativa sui voti”.
Baheli ha spiegato che i media occidentali hanno sbagliato le previsioni al primo turno, probabilmente perché “spesso il voto dell’elettore populista è sottostimato, sia perché chi fa il voto populista non lo dichiara, sia perché si è cercato di interpretare le aspettative di molti analisti occidentali, rispetto a quello che era la realtà della società”. L’analista ha anche aggiunto che “il sistema turco è cambiato e forse è anche più complessa l’analisi dei dati rispetto ad anni fa”. “I media ortodossi, classici, giornali e radio, essendo simpatetici nei confronti del governo hanno fatto in modo che i vari centri studio e quindi i vari analisti occidentali, non siano riusciti a cogliere la profondità dell’anima dell’elettore medio turco”, ha spiegato Baheli. “Anche se è comunque vero che abbiamo assistito a una Turchia scissa in due elementi quasi contrastanti: il 49,51 per cento delle preferenze (27,08 milioni di voti) per Erdogan e il 44,89 per cento dei consensi (24,56 milioni di voti) a favore di Kilicdaroglu. Questo un elemento preoccupante e un grave problema che qualsiasi futuro presidente della Repubblica turca dovrà cercare di risolvere”, ha concluso Baheli.
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