Con il ritiro degli ultimi uomini stanziati in Repubblica Centrafricana per contribuire alla lotta contro i gruppi armati e alla stabilizzazione del Paese, la Francia riduce ulteriormente la sua ormai risicata presenza in Africa, dando spazio a una sempre più capillare espansione di Russia e Cina. Nell’annunciare il rimpatrio dei 47 militari rimasti a Bangui, il ministero della Difesa ha tenuto a sottolineare che la missione Mislog – forte inizialmente di 130 uomini – “non aveva più alcuna giustificazione operativa”, rendendo così definitivo il “divorzio” fra Parigi e Bangui annunciato già lo scorso anno, quando l’invadente presenza di mercenari del gruppo paramilitare russo Wagner aveva spinto Parigi a prenderne le distanze, come già avvenuto in precedenza in Mali. “Nel 2021, quando la presenza della compagnia militare privata Wagner era sempre più invadente nel Paese, la Francia ha ritenuto che non ci fossero più le condizioni per continuare a lavorare a beneficio delle forze armate centrafricane”, ha dichiarato il generale Francois-Xavier Mabin, comandante della missione Mislog. L’esercito francese ha quindi riferito che il campo di M’Poko – ospitante le forze francesi – è stato consegnato “in buon ordine” alle autorità centrafricane il 13 dicembre, in coordinamento con la missione delle Nazioni Unite nel Paese (Minusca) e con quella dell’Unione europea (Eutm-Rca).
Da un punto di vista logistico, il ritiro francese da Bangui appare come una ritirata strategica nel quadro del più ampio contesto regionale, dove Parigi risulta sempre più perdente nella “guerra d’influenza” in corso con Mosca e Pechino. In precedenza, Parigi si è infatti vista costretta a ritirare i suoi uomini dal Mali, Paese che è stato di recente teatro di due colpi di Stato e – come anche nel caso del Burkina Faso – di un crescente sentimento antifrancese. A logorare i rapporti con la giunta al potere a Bamako è stata in particolare la notizia di un accordo concluso dai militari con il gruppo russo Wagner, accusato di ripetuti abusi dei diritti umani ed il cui coinvolgimento è stato amplificato a livello internazionale nel quadro del conflitto in corso in Ucraina. I mercenari, al soldo del magnate russo Evgenij Prigozhin, sono sotto accusa anche per il sospetto sfruttamento delle miniere africane, utilizzate come merce di scambio per rifornire le loro attività militari. A giugno si sono concluse le operazioni che prevedono di dimezzare entro il 2023 da oltre 5 mila a circa 2.500 uomini le forze francesi operative in Mali nelle ormai ex missioni Barkhane e Takuba e il loro trasferimento verso altra destinazione, prevalentemente in Niger, Paese dal quale dipende in buona parte per le forniture di uranio che alimentano i 58 reattori atomici installati sul territorio francese. Prima della base di Gossi, nel Mali centrale, le forze francesi si sono ritirate da quelle di Kidal, Tessalit e Timbuktu, quindi da quelle di Menaka e Gao.
Nel tentativo di arginare l’espansione di un’orbita filo-russa che ingloba ormai Repubblica Centrafricana e Mali, ma anche il Sudan e in parte il Burkina Faso, la linea francese è ora quella di spostare gradualmente il suo focus verso ovest, nel tentativo di rafforzare – con l’aiuto degli Stati Uniti – la sua presenza in Benin, Ghana e Costa d’Avorio, dove la minaccia jihadista è ancora contenuta ma è in rapida espansione e necessita di maggiore sostegno economico e militare. Parigi deve inoltre vedersela con la tendenza regionale a riprendere in mano la lotta al terrorismo con il sostegno della comunità internazionale, ma con un timone saldamente africano. Così, negli ultimi mesi, diverse organizzazioni regionali hanno pianificato l’invio di missioni militari per la risoluzione dei conflitti, come nel caso della Comunità dei Paesi dell’Africa meridionale (Sadc) in Mozambico, della Comunità dell’Africa orientale (Eac) nella Repubblica democratica del Congo e della Comunità economica dei Paesi dell’Africa occidentale (Cedeao), che ha di recente annunciato l’istituzione di una forza regionale che “interverrà quando necessario, sia che si tratti di sicurezza, terrorismo o ripristino dell’ordine costituzionale negli Stati membri”.
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