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Nuovo studio Usa: la Cina è responsabile del genocidio degli uiguri nello Xinjiang

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Il governo della Cina è responsabile del genocidio in corso contro gli uiguri, la popolazione di religione musulmana che abita la regione nordoccidentale dello Xinjiang. E’ questa la conclusione a cui giunge uno studio curato da più di 50 esperti di diritti umani e coordinato dal Newlines Institute for Strategy (Nis). Secondo gli studiosi, le presunte azioni repressive del governo di Pechino nello Xinjiang costituiscono una violazione di ogni singola disposizione della Convenzione delle Nazioni Unite sul genocidio. Si tratta di un documento approvato dall’Assemblea generale Onu nel dicembre 1948 che fornisce una chiara definizione delle azioni che configurano giuridicamente il crimine di genocidio. La Cina è firmataria di questa convenzione, insieme ad altri 151 paesi.


La Cina responsabile del genocidio in Xinjiang: lo studio

È la prima volta che un’organizzazione non governativa intraprende un’analisi legale indipendente sulle accuse di genocidio nello Xinjiang. L’emittente statunitense “Cnn” ha visionato in anteprima una copia completa del rapporto. Secondo il dipartimento di Stato Usa, sino a 2 milioni di uiguri sarebbero finiti in una vasta rete di centri di detenzione in tutta la regione, dove ex detenuti affermano di essere stati sottoposti a indottrinamento, abusi sessuali e persino sterilizzati con la forza. La Cina respinge completamente le accuse, affermando che i centri sono necessari per prevenire l’estremismo religioso e il terrorismo. Azeem Ibrahim, direttore delle iniziative speciali del Nis e coautore del nuovo rapporto, afferma che ci sono “prove schiaccianti” a sostegno dell’accusa di genocidio. “Parliamo di una grande potenza globale, la cui leadership è l’artefice di un genocidio”, ha spiegato. Sebbene la violazione di un solo atto della già citata Convenzione Onu costituirebbe una condizione sufficiente perché si possa parlare di genocidio, il rapporto afferma che il governo cinese ha soddisfatto tutti i criteri con le sue azioni repressive nello Xinjiang. “Le politiche e le pratiche cinesi contro gli uiguri nella regione devono essere viste nella loro totalità, il che equivale a un intento di distruggere gli uiguri come gruppo, in tutto o in parte”, afferma il rapporto. La Convenzione sul genocidio non prevede pene specifiche per Stati o governi responsabili di questo tipo di crimine, ma lo studio sottolinea che gli altri 151 firmatari “hanno la responsabilità di agire”.

Il passaggio da Trump a Biden

Il 19 gennaio, l’amministrazione dell’ex presidente Usa Donald Trump ha accusato ufficialmente il governo cinese di star mettendo in atto un genocidio nello Xinjiang. Il 27 gennaio scorso, durante la sua prima conferenza stampa da quando è alla guida della diplomazia statunitense, il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, ha confermato la sua opinione sul fatto che la Cina abbia commesso un genocidio contro gli uiguri nella regione dello Xinjiang. Di recente il dossier è tornato al centro del dibattito, dopo che diversi esponenti del Partito repubblicano statunitense hanno fatto appello al presidente Biden affinché boicotti le olimpiadi invernali in programma per il 2022 proprio in Cina. Ultimo in ordine di tempo, l’ex segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, secondo il quale i Giochi andrebbero boicottati in ragione delle “malevole” attività della Cina. “Spero che i nostri atleti abbiano la chance di partecipare alle Olimpiadi. Lo meritano. Ma, in fin dei conti, non possiamo permettere che gli atleti statunitensi volino a Pechino e premino il Partito comunista cinese mentre questo è impegnato in attività malevole”, ha dichiarato Pompeo alla trasmissione radiofonica del conservatore Hugh Hewitt. “Le Olimpiadi – ha proseguito l’ex capo della diplomazia Usa – sono un’espressione di libertà e di talento sportivo. Organizzarle a Pechino è del tutto inappropriato”. Già diversi esponenti repubblicani avevano suggerito nelle ultime settimane il boicottaggio dei Giochi in Cina: tra questi l’ex ambasciatrice alle Nazioni Unite Nikki Haley, considerata – al pari di Pompeo – un possibile candidato alla Casa Bianca per le elezioni del 2024.

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