L’attacco che ha coinvolto un gruppo di turisti iracheni in un resort turistico situato sulle alture di Zakho (governatorato di Dohuk) nella regione autonoma del Kurdistan sta portando a nuove tensioni tra Iraq e Turchia. Nell’attacco sono rimaste uccise nove persone, tra cui tre bambini, mentre i feriti sono stati almeno 23, di cui diversi in modo grave. Il governo iracheno ha attribuito la responsabilità dell’azione alla Turchia che nei pressi dell’attacco ha un avamposto militare utilizzato per condurre operazioni contro i guerriglieri del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), gruppo considerato terrorista da Ankara e dall’Ue, contro cui il governo turco ha già lanciato diverse operazioni militari, sia nel Kurdistan iracheno che nella provincia di Sinjar, situata nel territorio amministrato dal governo federale di Baghdad. L’attacco di ieri ha sconvolto l’opinione pubblica irachena ed è stato condannato anche da Stati Uniti e Onu.
L’attacco, condotto secondo le autorità irachene con mortai, ha colpito un gruppo di cittadini proveniente dall’area della capitale irachena che aveva scelto la zona per passare un periodo di vacanza godendo del clima più fresco rispetto alle temperature del sud dell’Iraq. Oggi pomeriggio, il presidente del governo regionale del Kurdistan, Nechirvan Barzani, ha assistito personalmente al trasferimento delle salme dei nove uccisi tramite un aereo militare a Baghdad, deponendo una corona di fiori sulle bare e incontrando i familiari.
La vicenda ha particolarmente colpito la popolazione, non solo le autorità di Erbil, portando a manifestazioni di protesta organizzate in particolare dai gruppi sciiti in tutto il territorio nazionale contro la Turchia: ambasciata turca a Baghdad, consolati a Karbala e a Najaf. Tutte le istituzioni irachene hanno condannato l’attacco attribuendone la responsabilità alla Turchia, che da parte sua ha negato con forza qualsiasi responsabilità. Il parlamento ha convocato per sabato, 23 luglio, una seduta plenaria – fatto raro vista la crisi politica che sta attraversando l’Iraq dalle elezioni del 10 ottobre – chiedendo di poter ascoltare il premier uscente e comandante in capo delle Forze armate, Mustafa al Kadhimi, che al pari del presidente Barham Salih e di altre cariche dello Stato ha fortemente condannato l’attacco, puntando il dito contro la Turchia.
Questa mattina il Consiglio ministeriale per la sicurezza nazionale dell’Iraq, presieduto dal premier Kadhimi, ha chiesto alla Turchia di scusarsi ufficialmente e di ritirare le proprie forze dai territori iracheni. “La parte turca ha ignorato le continue richieste irachene di porre fine alle violazioni della sovranità dell’Iraq e della sicurezza dei suoi cittadini e di rispettare il principio di buon vicinato”, si legge nel comunicato rilasciato al termine della riunione. Dopo la riunione il ministero degli Affari esteri iracheno ha consegnato all’ambasciatore turco a Baghdad, Ali Reza Konay, una nota di protesta dal tono forte, chiedendo ufficialmente il ritiro delle forze turche dal territorio iracheno.
La Turchia ha risposto alle accuse di Baghdad prima con una nota ufficiale diramata ieri sera dal ministero degli Affari esteri nella quale accusa invece il Pkk della responsabilità dell’attacco e questa mattina con una lunga intervista del ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, all’emittente “Trt Haber”. Il mondo intero “è consapevole che la Turchia non mai effettuato un attacco contro i civili in Iraq”, ha dichiarato il ministro turco. “Secondo le informazioni che abbiamo ricevuto dalle forze armate turche, non ci sono stati attacchi ai civili”, ha dichiarato Cavusoglu. “Dopo aver ricevuto ieri questa triste notizia, abbiamo rilasciato una dichiarazione. Ancora una volta, auguriamo la misericordia di Dio ai nostri fratelli che sono morti e auguriamo la guarigione ai feriti. Abbiamo anche detto che potremmo portare i feriti in Turchia, se necessario. Ci sono state anche segnalazioni che accusavano e diffamavano la Turchia per questo attacco”, ha affermato il ministro degli Esteri turco che ha affermato che Ankara è pronta a collaborare per fare luce sulla tragedia.
Intanto il portavoce del Comando per le operazioni congiunte dell’Iraq, il generale Tahsin a Khafaji, ha affermato in una conferenza stampa, che “sono state avviate speciali indagini irachene per scoprire le circostanze dell’attentato”, senza fornire ulteriori dettagli, rilevando che i corpi delle vittime sono stati trasferiti dall’Aeronautica militare nella capitale, Baghdad. Da parte sua, il ministero della Salute iracheno a Baghdad ha confermato che il numero delle vittime è ufficialmente di nove morti e 22 feriti, di cui tre in condizioni particolarmente critiche, con il bilancio dei decessi che potrebbe aumentare. La Turchia teme eventuali reazioni da parte di forze irregolari da parte irachena e secondo quanto riferito dall’agenzia di stampa “Shafaq News” che cita testimoni oculari, elicotteri turchi hanno compiuto diversi sorvoli del governatorato di Dohuk, in cui ha sede il distretto di Zakho, distante solo dieci chilometri dal confine con la Turchia. Nel distretto di Shiladze del distretto di Amadiyah, a nord di Dohuk, esiste dal 1996 una base militare turca, situata nel complesso di Siri. Di recente, le forze turche hanno schierato altre basi militari sul monte Kurzar all’interno della catena montuosa del Mateen che domina il distretto.
Ad aprile, la Turchia ha iniziato un’offensiva, denominata Operazione “Claw Lock”, nel nord dell’Iraq per sradicare i guerriglieri del Pkk e delle milizie alleate che a partire dall’occupazione dello Stato islamico del nord dell’Iraq nel 2014 avevano ricevuto armamenti e uomini per contrastare i terroristi islamisti e infine sconfiggerli nel 2017. In particolare nella provincia di Sinjar e nelle zone più settentrionali della regione autonoma del Kurdistan, le milizie legate al Pkk avrebbero contribuito a sostenere i peshmerga curdi nelle operazioni per sradicare definitivamente lo Stato islamico e impedirne il ritorno. Proprio la zona del monte Sinjar, abitata dalla minoranza yazidi, è stata la prima area dell’Iraq ad essere liberata dallo Stato islamico nel novembre del 2015. La presenza, in parte tollerata dei guerriglieri curdi, ha portato la Turchia ad estendere anche all’Iraq le operazioni di raid aerei condotte nell’est della Siria invocando sempre l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, che riconosce il “diritto intrinseco all’autodifesa individuale o collettiva” di uno stato contro gli attacchi, senza prima chiedere l’approvazione del governo iracheno.
Gli attacchi aerei attribuiti alla Turchia sono giunti dopo il viaggio del presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, a Teheran dove ha incontrato gli omologhi di Iran e Russia, Ebrahim Raisi e Vladimir Putin, e partecipato al vertice dei Paesi garanti del processo di Astana sulla Siria. In questa occasione Erdogan ha cercato di ottenere l’appoggio di Mosca e Teheran alle operazioni antiterrorismo nel nord della Siria e anche in Iraq, sfruttando le importanti relazioni della Repubblica islamica con Baghdad. Tuttavia, sia Putin che la guida suprema iraniana, ayatollah Ali Khamenei, hanno criticato qualsiasi azione militare che viola la sovranità siriana, avvertendo sui rischi per l’intera regione.
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