Ramadan è il nome del nono mese del calendario lunare islamico, l’unico ad essere nominato nel Corano, che dà il nome al digiuno obbligatorio per i circa 2 miliardi di musulmani nel mondo nelle ore diurne durante l’omonimo periodo. Il digiuno (sawm) è uno dei cinque pilastri dell’Islam che ogni musulmano deve osservare insieme alla testimonianza di fede (shahadah), alla preghiera (ṣalat), all’elemosina (zakat) e al pellegrinaggio (ḥajj) alla Mecca. L’obbligo del digiuno incombe su tutti i musulmani adulti sani, ma, sin dall’epoca dell’affermazione dell’Islam, ha sempre comportato eccezioni per determinate categorie di persone e in talune circostanze “sfavorevoli”.
Sulla pagina Facebook del Centro islamico culturale d’Italia, che gestisce la moschea di Monte Antenne, a Roma, si legge la citazione di questa prescrizione, tratta dal secondo capitolo (sura) del Corano: “O voi che credete, vi fu prescritto il digiuno come fu prescritto a quanti furono prima di voi, forse diverrete timorati” (versetto 183). Nel versetto successivo vengono indicate le eccezioni, rivolte ad ammalati, fragili, lavoratori e viaggiatori. “Chi però è malato o è in viaggio, digiuni in seguito altrettanti giorni – si legge nel versetto 184 della seconda sura Corano -. Ma per coloro che a stento potrebbero sopportarlo, c’è un’espiazione: il nutrimento di un povero. E se qualcuno dà di più, è un bene per lui”. Il digiuno quotidiano inizia al sorgere del sole e viene interrotto al tramonto con l’iftar, ovvero con un bicchiere di latte o acqua accompagnato da un numero dispari di datteri, a cui segue un ricco pasto. Quest’anno il Ramadan è iniziato tra il 22 e il 23 marzo e si concluderà tra trenta giorni. All’inizio del mese successivo (Shawwal) si tiene la Eid al Fitr (festa dell’interruzione del digiuno), detta anche la “piccola festa”, in contrapposizione alla “grande festa” che si svolge dopo il pellegrinaggio.
Il digiuno, tuttavia, non implica soltanto l’astenersi dal mangiare e dal bere. Infatti, il senso di tale pratica è quello dell’autodisciplina e dell’elevazione spirituale mediante la preghiera e la meditazione. Sono altresì proibite tutte quelle azioni che comportano l’adesione del credente alla dimensione terrena e agli istinti che la contraddistinguono, invalidando il digiuno per la giornata in corso: per citare qualche esempio, i rapporti sessuali, il fumo, gli accessi di ira, la menzogna, la calunnia, la maldicenza e la guerra. In questi casi, non tutti gli esperti concordano sulla possibilità di recuperare il giorno di digiuno perso.
Al contrario, esistono casi di esenzione dal digiuno esplicitamente previsti per determinate categorie di persone, in particolare gli anziani, i malati cronici e le donne nel periodo dell’allattamento o della gravidanza. In tali condizioni, il digiuno non deve essere recuperato, ma può essere sostituito con il nutrimento di un povero. A dover recuperare i giorni di digiuno perduti sono, invece, secondo i precetti islamici, le donne nel periodo mestruale e i viaggiatori, una categoria, quest’ultima, cui storicamente appartenevano carovanieri e ambasciatori. Tutti costoro, dunque, sono obbligati a recuperare i giorni di digiuno perduti quando siano tornati nelle condizioni ordinarie. Oggi, la categoria dei viaggiatori si è notevolmente ampliata, estendendosi, ad esempio, a migranti e sportivi professionisti, in particolare i calciatori che giocano in squadre di club di Paesi non musulmani.
L’ampliamento semantico che ha portato la parola Ramadan a designare il digiuno praticato nelle ore diurne appartiene all’epoca moderna, soprattutto alla fase coloniale iniziata nel XIX secolo. Questo slittamento, peraltro, non è tipico solo dei non musulmani e dei non arabofoni, ma anche degli arabi del Maghreb, tra i quali non è infrequente sentire l’espressione “fare il Ramadan”, in luogo di “fare il digiuno obbligatorio nel mese sacro del Ramadan”. Inoltre, nelle ex colonie francesi del Nord Africa, soprattutto tra le generazioni più anziane che hanno vissuto durante il periodo coloniale, si sente talvolta dire “fare la quaresima” in luogo di “praticare il digiuno”, in riferimento all’usanza, linguisticamente non troppo corretta ma diffusa tra i francesi d’Algeria, di chiamarlo “la quaresima dei musulmani”.
La ragione della sacralità del mese di Ramadan risiede nel fatto che una delle sue notti è la cosiddetta “Notte del destino” (Laylat al Qadr, in arabo), la notte durante la quale l’arcangelo Gabriele rivelò il Corano al profeta dell’islam, Mohammed (Maometto). Nel Corano si legge che questa notte è “meglio di mille mesi”, quindi la preghiera, le buone azioni o la lettura del testo sacro vengono ricompensate da Dio come se avessero una durata di mille mesi. La collocazione della Notte del destino, tuttavia, non è la stessa tutti gli anni e varia anche tra sunniti e sciiti, ma, a livello statistico, il più delle volte cade nella 27esima notte del mese. Il Ramadan cade ogni anno in un periodo diverso del calendario gregoriano perché si basa sulle fasi lunari.
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