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India, scontri etnici nel Manipur: decine di ribelli uccisi dalle forze di sicurezza

Le violenze, che vedono contrapposte le comunità kuki e meitei, hanno spinto migliaia di persone a lasciare le loro case

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Decine di combattenti ribelli sono rimasti uccisi negli scontri con le forze di sicurezza indiane negli ultimi giorni, nell’ambito delle violenze etniche che proseguono da giorni in diverse zone di quello Stato dell’India nord-orientale. Lo ha dichiarato il ministro capo N Biren Singh, secondo cui il bilancio ufficiale è di almeno 40 combattenti ribelli e due agenti di polizia uccisi. Gli scontri etnici hanno anche spinto migliaia di persone a lasciare le loro case. Il ministro dell’Interno indiano, Amit Shah, si recherà in visita nello Stato nella giornata di oggi.


Le proteste del Manipur, sfociate in scontri violenti all’inizio del mese, vedono contrapposte le comunità kuki e meitei. Quest’ultima, che costituisce il gruppo maggioritario, ha chiesto al governo statale di essere riconosciuta come tribù e l’Alta corte del Manipur il 20 aprile ha ordinato all’esecutivo di prendere in considerazione la domanda entro quattro settimane. Per protestare contro l’eventuale riconoscimento, contestato soprattutto dai kuki, l’associazione studentesca All Tribal Student Union Manipur ha organizzato una “marcia della solidarietà tribale” il 3 maggio. La manifestazione è degenerata in scontri, attacchi a case e villaggi, incendi e saccheggi. Almeno 60 persone sono morte e più di 230 sono state ferite; circa 20 mila sono state evacuate e trasferite in tendopoli. Le violenze sono state particolarmente intense per tre giorni, seguite da episodi sporadici. Il governo statale ha imposto il coprifuoco in diversi distretti. Sono intervenuti circa diecimila tra militari e paramilitari.

Lo Stato nord-orientale del Manipur, con capitale Imphal, è stato istituito nel 1972 e ha una popolazione di poco inferiore a tre milioni di abitanti. I meitei costituiscono la principale etnia; la loro lingua, il manipuri, di ceppo birmano, è la lingua ufficiale accanto all’inglese, nonché la lingua franca dello Stato, abitato da diversi popoli, tra i quali i kuki e i naga, parlanti una varietà di lingue sino-tibetane. L’induismo e il cristianesimo sono le religioni prevalenti, ciascuna con una quota del 40 per cento circa. L’economia si basa sull’agricoltura, la silvicoltura e il commercio, essendo il Manipur, attraverso la città di frontiera di Moreh, la “Porta verso l’Oriente”, ovvero il confinante Myanmar e altri Paesi del Sud-est asiatico. Le principali attrazioni turistiche, soprattutto naturalistiche, sono Imphal, il lago Loktak, la collina Kaina, la valle Dzukou e il Parco nazionale Keibul Lamjao.

Le rivolte del Manipur, nell’ambito di un più ampio fenomeno esteso a tutto il Nord-est dell’India, combinano separatismo e conflitti etnici. Il Regno del Manipur o Kangleipak, le cui origini risalgono al 1100 e che l’impero britannico riconosceva come Stato principesco, divenne parte dell’Unione indiana nel 1949; da allora si sono formate diverse organizzazioni ribelli. La prima, fondata nel 1964, fu il Fronte unito di liberazione nazionale (Unlf), cui seguirono l’Esercito popolare di liberazione del Manipur (Pla), il Partito popolare rivoluzionario del Kangleipak (Prepak) e il Partito comunista del Kangleipak (Kcp). Parallelamente, l’ascesa del nazionalismo naga nel vicino Nagaland ha portato il Consiglio nazionale socialista del Nagaland (Nscn) a operare anche in Manipur e l’Esercito nazionale kuki (Kna) ha lanciato la sua guerriglia tribale. Le violenze etniche raggiunsero il culmine negli anni Novanta, ma tuttora è in attività una dozzina di organizzazioni, alcune delle quali definite terroristiche.

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