Il governo dello Stato indiano del Karnataka ha vietato per due settimane con effetto immediato i raduni e le manifestazioni di ogni tipo nel raggio di 200 metri dalle scuole e dai college di Bangalore, la capitale, in seguito agli scontri sull’uso dell’hijab, il velo islamico. Il divieto si aggiunge alla chiusura dei college per tre giorni, da oggi all’11 febbraio. A partire dalla fine dell’anno scorso alcuni istituti pre-universitari pubblici dello Stato, a cominciare da quello di quello di Kundapura, hanno vietato alle studentesse islamiche di indossare il velo. Contro il divieto ci sono state proteste di studenti e attivisti in varie città dell’India. Anche ieri sono stati registrati scontri tra gruppi di studenti a Shimoga e Rabkavi-Banhatti con alcuni feriti e arresti. Inoltre, è stato presentato un ricorso all’Alta corte del Karnataka. L’esecutivo statale il 5 febbraio ha emesso una direttiva che vieta di indossare “abiti che disturbano l’uguaglianza, l’integrità, il diritto e l’ordine pubblico”, sostenendo che il divieto non costituisce una violazione del diritto fondamentale alla libertà religiosa garantito dalla Costituzione. Il ministro dell’Istruzione statale, B. C. Nagesh, ha chiesto il rispetto delle disposizioni delle scuole in materia di divise e abbigliamento in attesa del giudizio dell’Alta corte.
Il Consiglio dei ministri del governo statale si è riunito oggi per discutere la questione, ma la riunione si è conclusa con la decisione di non prendere ulteriori provvedimenti prima della sentenza. Nella stessa giornata il giudice monocratico dell’Alta corte del Karnataka, Krishna Dixit, ha deciso di sottoporre il caso a un collegio più ampio. Nel frattempo a Nuova Delhi alcuni esponenti del Congresso nazionale indiano (Inc), principale forza di opposizione, hanno chiesto un dibattito sull’argomento alla Camera del popolo, la camera bassa del parlamento federale. La stessa richiesta era stata precedentemente avanzata dalla Lega musulmana dell’Unione indiana (Iuml). “Che sia un bikini, un ghoonghat, un paio di jeans o un hijab, è la donna ad avere il diritto di decidere che cosa voglia indossare. Questo diritto è garantito dalla Costituzione indiana. Basta con le molestie contro le donne”, ha scritto su Twitter Priyanka Gandhi, dirigente del Congresso. Rahul Gandhi, figura di primo piano del partito, ha aggiunto che “ostacolare l’istruzione con la questione del velo significa rubare il futuro alle figlie dell’India”. Non è la prima volta che il Congresso, criticando il governo di Narendra Modi, denuncia un clima di ostilità nei confronti della comunità islamica.
Il Karnataka, nell’India sud-occidentale, istituito nel 1956 con capoluogo Bangalore, conta più di 60 milioni di abitanti, due terzi dei quali parlano il kannada, la lingua ufficiale, appartenente alla famiglia dravidica. L’induismo è la religione più diffusa, con una quota di oltre l’80 per cento, seguita dall’Islam con il 12 per cento circa. Più della metà della forza lavoro è impiegata nell’agricoltura. Tuttavia, lo Stato è anche un importante hub manifatturiero per le aziende pubbliche. Dagli anni Ottanta ha assunto un ruolo guida nel campo delle tecnologie informatiche. Nel Karnataka, inoltre, si trova il più grande distretto del Paese nelle biotecnologie. Di rilievo anche il settore bancario. Sono numerose, infine, le attrazioni turistiche, naturali e culturali. Le rovine di Vijayanagar, capitale dell’ultimo grande regno indù del Deccan, ad Hampi, e il complesso di templi di Pattadakal sono inseriti nella lista del Patrimonio dell’umanità dell’Unesco, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura.
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