Il Ruanda non offrirà più rifugio alle persone che sono in fuga dalle violenze in corso nell’est della vicina Repubblica democratica del Congo (Rdc). “Da più di 20 anni accogliamo rifugiati dalla Rdc. Rifiuto che il Ruanda debba portare questo fardello e essere insultato e maltrattato ogni giorno per questo”, ha dichiarato il presidente Paul Kagame, affermando che la crisi in corso “non è un problema del Ruanda”. Per Kagame, il cui ufficio della presidenza ha condiviso le osservazioni in un tweet, il mondo “ha completamente perso di vista quale sia il punto” della questione, nella crisi in corso fra Kigali e Kinshasa.
Il Congo accusa da tempo il Ruanda di sostenere gruppi di ribelli attivi nell’est congolese – in primis il Movimento del 23 marzo (M23) – e di puntare in questo modo a destabilizzare il Paese vicino: una versione che è stata sostenuta di recente da diversi attori internazionali, ultimo la Francia, che ha apertamente condannato il “sostegno ruandese” al gruppo di etnia tutsi. Per Kagame la vera minaccia alla sicurezza è rappresentato da quello che rimane delle forze estremiste di etnia hutu, che hanno cercato di spazzare via i tutsi – etnia cui Kagame appartiene – durante il genocidio del 1994.
Fin dall’inizio della crisi, Kigali ha respinto le accuse di sostenere militarmente e finanziariamente il gruppo armato ribelle congolese Movimento 23 marzo (M23) nell’est della Repubblica democratica del Congo (Rdc). Il governo ha dovuto di recente prendere le distanze da un massacro di civili, attribuito dall’Onu agli M23 e che ha macchiato ulteriormente l’immagine del Ruanda. In un comunicato, il ministero degli Esteri di Kigali ha tuttavia definito il massacro di Kishishe di fine novembre “una montatura del governo della Repubblica democratica del Congo”, che si è diffusa “senza alcuna indagine da parte di un’organizzazione credibile”. “Accusare il Ruanda di sostenere il gruppo armato congolese M23 è falso, e distoglie dalle vere cause del conflitto e dalle sue conseguenze sulla sicurezza dei Paesi vicini”, ha affermato Kigali, secondo cui la comunità internazionale dovrebbe piuttosto essere preoccupata per la “persecuzione” delle comunità tutsi ruandesi e congolesi, bersaglio a suo dire di “discorsi di odio autorizzati dal governo della Rdc”. Le dichiarazioni ruandesi giungevano dopo che, a fine dicembre, la Francia ha ufficialmente condannato il presunto sostegno del Ruanda al’M23. “La Francia ha sempre difeso e difenderà sempre l’integrità e la sovranità” della Repubblica democratica del Congo, ha affermato la sottosegretaria francese agli Esteri Chrysoula Zacharopoulou durante una visita a Kinshasa. “Oggi constatiamo il ritorno di una situazione tragica nell’est della Repubblica democratica del Congo”, ha detto Zacharopulou, spiegando che “ci sono delle difficoltà e la Francia non ha nessun problema nell’indicarle”. “Il Ruanda, perché bisogna nominarlo, deve smettere di sostenere l’M23”, ha aggiunto la sottosegretaria.
Il botta e risposta fra i due Paesi prosegue da mesi sul piano interno come su quello internazionale. Il 29 dicembre, il governo del Ruanda ha nuovamente accusato la Repubblica democratica del Congo (Rdc) di aver violato con un aereo militare il suo spazio aereo, sorvolandolo senza previa autorizzazione. In una nota, il governo di Kigali ha dichiarato che un caccia congolese modello Sukhoi-25 ha volato per un breve tratto in Ruanda lungo il lago Kivu, prima di tornare rapidamente in Congo. Per Kigali si tratta di una violazione del proprio spazio aereo, percepita come un’ulteriore provocazione dopo l’analogo evento del 7 novembre, quando un aereo militare congolese è atterrato per pochi istanti all’aeroporto di Rubavu prima di ripartire. “Queste provocazioni devono finire” dichiara il governo ruandese nella nota, in cui si aggiunge che le autorità congolesi, “sembrano incoraggiate da parte della comunità internazionale ad incolpare il Ruanda per tutti i mali ignorando le trasgressioni della Rdc”. A novembre il governo della Rdc aveva risposto che le sue autorità non hanno mai avuto l’intenzione di violare l’integrità territoriale dei suoi vicini, tantomeno quella del Ruanda. In sede Onu, intanto, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha votato a favore del rinnovo del mandato della Missione Onu nella Repubblica democratica del Congo (Monusco) per un altro anno e della modifica del regime delle sanzioni, revocando l’obbligo di notificare agli esportatori di materiale militare quando forniscono armi a Kinshasa. Una misura che permetterà all’Rdc di rafforzare i propri mezzi di difesa nell’attuale contesto di insicurezza.
Sempre sul fronte internazionale, a metà dicembre il segretario di Stato Usa Antony Blinken ha incontrato il presidente congolese Felix Tshisekedi, a margine del summit dei leader Usa-Africa che si è tenuto a Washington. Blinken e Tshisekedi hanno concordato riguardo l’importanza di dare immediata attuazione al comunicato diffuso il 23 novembre a margine del mini-summit sulla pace e la sicurezza di Luanda, cominciando dalla cessazione delle ostilità e dal ritiro dell’M23, la fine del sostegno di Stato ai gruppi armati e la ripresa del dialogo tramite il Processo di Nairobi. Blinken ha incoraggiato il governo della Rdc a prendere posizione con fermezza contro la retorica dell’odio, e ha aggiunto che qualunque operazione militare transfrontaliera dovrebbe essere condotta in linea con le risoluzioni già approvate dalle Nazioni Unite. Sebbene i ribelli dell’M23 abbiano avviato come promesso il ritiro dalle zone occupate nell’est congolese, notizie di violenze sui civili e della fuga di migliaia di persone in cerca di un luogo sicuro continuano ad essere registrate in queste aree, sollevando la preoccupazione degli organismi umanitari. La chiusura della frontiera ruandese rischia da questo punto di vista di aggravare ulteriormente ed in tempi rapidi la situazione, sia umanitaria che diplomatica fra Kigali e Kinshasa.
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