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Il presidente siriano Assad è atteso domani a Pechino: è la prima visita in Cina dal 2004

La Cina ha ampliato la sua influenza in Medio Oriente dopo aver mediato un accordo a marzo tra Arabia Saudita e Iran e aver rafforzato la cooperazione economica con i Paesi dell'area

Roma
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Il presidente della Siria, Bashar al Assad, e la moglie Asma sono attesi domani in Cina per la prima visita dal 2004, a testimonianza della crescente influenza di Pechino in Medio Oriente. La Cina ha infatti ampliato la sua portata nella regione dopo aver mediato un accordo a marzo tra Arabia Saudita e Iran e aver rafforzato la cooperazione economica con i Paesi dell’area. La visita segna una pietra miliare nelle relazioni tra i due Paesi, essendo la seconda di un capo dello Stato siriano da quando la Siria ha stabilito relazioni con la Repubblica popolare nel 1956. Durante la visita, organizzata in seguito a un invito ufficiale da parte del presidente cinese Xi Jinping, oltre a un bilaterale tra i due capi di Stato sono previsti anche alcuni incontri “di alto livello” nella capitale Pechino e a Hangzhou, nell’est del Paese. Secondo l’agenzia di stampa “Sana”, Assad sarà accompagnato dal ministro degli Esteri, Faysal Mikdad, e dal ministro dell’Economia e del Commercio estero, Mohammad Samer al Khalil. Da parte siriana, non sono stati forniti ulteriori dettagli sulla visita, ma la presenza del ministro Al Khalil e la tappa a Hangzhou, uno dei principali centri tecnologici della Cina, fanno pensare a motivazioni di carattere economico.


Secondo il portale d’informazione “Al Monitor”, la Cina potrebbe svolgere in futuro un ruolo importante nella ricostruzione della Siria, che si prevede costerà decine di miliardi di dollari. L’anno scorso Damasco ha inoltre aderito all’iniziativa della nuova Via della seta (Belt and Road Initiative, Bri), lanciata dieci anni fa da Xi Jinping con l’obiettivo di creare un collegamento – soprattutto dal punto di vista commerciale – tra l’Europa e l’Africa orientale e la Cina anche attraverso grandi progetti infrastrutturali. La Cina gioca un ruolo centrale anche nel contesto della guerra civile siriana. Nel 2020 Cina e Russia hanno iniziato a usare il loro potere di veto presso il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per chiudere tre delle quattro rotte transfrontaliere degli aiuti da Turchia, Iraq e Giordania verso aree della Siria fuori dal controllo del governo di Assad, sostenendo che gli aiuti dovrebbero essere consegnati attraverso il coordinamento con Damasco.

Negli ultimi mesi, Pechino si sta inoltre avvicinando all’Iran, uno degli storici alleati di Assad. Lo scorso maggio, infatti, il presidente siriano e l’omologo iraniano Ebrahim Raisi avevano rilasciato una dichiarazione congiunta elogiando Pechino per la mediazione che aveva portato alla firma dell’accordo tra Iran e Arabia Saudita che ha sancito la ripresa delle relazioni diplomatiche. La visita di Assad si inscrive infine nel processo di riposizionamento di Damasco all’interno della regione iniziato in seguito alle due scosse di magnitudo 7.8 e 7.6 che, il 6 febbraio scorso, hanno devastato il sud della Turchia e la parte nord-occidentale e settentrionale della Siria, e che hanno offerto al presidente l’opportunità di rompere l’isolamento internazionale.

I meccanismi diplomatici e le trame di relazioni delineati con il graduale reintegro della Siria nella Lega araba – dopo un’assenza di 12 anni-, formalizzato dalla partecipazione di Damasco all’ultimo vertice della Lega araba di Gedda, in Arabia Saudita, rimangono tuttavia in contrasto con le fratture interne, spesso legate ad attori esterni, che ancora dilaniano il Paese. In questo contesto, il peggioramento della crisi economica della Siria ha portato allo scoppio di proteste in corso da diversi giorni nelle parti del paese controllate da Damasco, principalmente nella provincia meridionale di Suwayda. La Siria attribuisce la colpa della crisi alle sanzioni occidentali e alle Forze democratiche siriane (Fds), gruppo armato curdo-arabo sostenuto dagli Usa, che controlla i più grandi giacimenti petroliferi del paese nell’est vicino al confine con l’Iraq.

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