Il primo ministro del Governo di unità nazionale, Abdulhamid Dabaiba, difende gli accordi sul gas sottoscritti dall’italiana Eni e della National Oil Corporation (Noc) lo scorso 28 gennaio, durante la visita a Tripoli del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. “L’accordo petrolifero con l’Italia è stato firmato nel 2008: quello che abbiamo fatto è stato riattivarlo dopo i ritardi degli ultimi anni”, ha detto il capo dell’esecutivo libico riconosciuto dalle Nazioni Unite, durante la seconda riunione del Consiglio dei ministri del 2023. “Ritardi che hanno causato importanti oneri per entrambe le parti. Questa firma (dell’accordo) è arrivata dopo lunghi negoziati condotti dalla National Oil Corporation”, ha aggiunto il politico imprenditore misuratino, già a capo di una importante partecipata pubblica ai tempi di Gheddafi. “Oggi abbiamo un grande bisogno di riattivare e sviluppare progetti a gas in Libia. Un ulteriore ritardo nel progetto significherebbe che la Libia diventerà un Paese importatore di gas a partire dal 2027”, ha aggiunto il primo ministro uscente, determinato a candidarsi alle elezioni presidenziali e a lasciare il potere solo a un governo eletto.
Il maxi-accordo sul gas da otto miliardi di dollari firmato sabato 28 gennaio a Tripoli tra l’Eni e la libica National Oil Corporation (Noc) segna una svolta nella partita per le risorse energetiche libiche. Alcuni hanno criticato un’intesa definita “sconveniente” e “contraria agli interessi libici”, prospettando presunti problemi legali per via della natura transitoria del Governo di unità nazionale al potere a Tripoli. Si tratta però di accuse provenienti da personalità ormai prive di potere, che l’ex inviata delle Nazioni Unite in Libia, Stephanie Williams, avrebbe definito “dinosauri politici” in via di estinzione. E’ questo il caso del ministro del Petrolio Mohammed Aoun, assente alla cerimonia di firma degli accordi con l’Italia e anche del memorandum d’intesa sulle esplorazioni e lo sfruttamento di idrocarburi con la Turchia nell’ottobre 2022. Egli si è scagliato contro l’Eni e soprattutto contro Farhat Bengdara, un tecnico subentrato lo scorso agosto alla guida della Noc, definendo “illegale” il contratto firmato a Tripoli dall’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi. La verità è che Aoun è da tempo ai margini del governo dopo che il primo ministro libico Dabaiba ha riorganizzato la gestione del settore petrolifero riesumando il Consiglio supremo per l’energia, svuotando così di significato l’esistenza stessa del ministero del Petrolio.
Ma le critiche più feroci contro l’accordo Eni-Noc sono arrivate (anche in Italia) da esponenti vicini a Fathi Bashagha, il primo ministro del cosiddetto Governo di stabilità nazionale (Gsn) designato dalla Camera dei rappresentanti, il foro legislativo libico eletto ormai quasi dieci anni fa. “Il governo uscente di Tripoli non è qualificato a firmare accordi in conformità con gli accordi politici internazionali siglati a Ginevra sotto gli auspici delle Nazioni Unite, per di più in un contesto in cui si aumenta la quota del partner estero e si riduce quella del partner nazionale”, si legge in una nota del Gns. E’ vero che il governo al potere a Tripoli non è stato eletto, ma soltanto incaricato dal dialogo intra-libico di Ginevra di traghettare il Paese alle elezioni. Elezioni che dovevano tenersi il 24 dicembre 2021 e che non si sono mai tenute. Ma è altrettanto vero che Bashagha guida un esecutivo parallelo senza riconoscimento internazionale, inizialmente sostenuto da Egitto e Russia e ormai sempre più abbandonato a sé stesso dopo i tre tentativi (tutti falliti) di insediarsi nella capitale manu militari.
Da un punto di vista economico, l’accordo firmato da Eni è fondamentale per la Libia e rappresenta forse “l’ultimo treno” per evitare il declino del Paese membro dell’Opec, dal momento che i giacimenti attivi di idrocarburi (principale fonte di sostentamento dello Stato) si stanno esaurendo rapidamente. Secondo Masoud Suleiman, membro del consiglio di amministrazione della National Oil Corporation, “lo Stato libico non può fornire da solo fondi per sviluppare i giacimenti, e non abbiamo altra alternativa che continuare con questo accordo”, ritenendo l’intesa “buona” e “nell’interesse dello Stato libico e della National Oil Corporation”; anche perché le spese di investimento dovrebbero essere suddivise equamente tra la Libia e la società italiana, e “le quantità di gas che si prevede di estrarre compenseranno il valore di equity dell’investimento nel progetto”. Non da ultimo, ha spiegato il membro di Noc, l’intesa è giunta a fronte di una prevista crisi di gas domestico per il Paese nordafricano, le cui centrali elettriche, dal 2025, rischiano di trovarsi senza i 600 milioni di piedi cubi di gas necessari per il loro funzionamento.
L’accordo “Strutture A&E” è il primo grande progetto ad essere sviluppato nel Paese dall’inizio del 2000, si legge in una nota di Eni. Consiste in due giacimenti a gas, chiamati rispettivamente “Stuttura A” e “Struttura”, situati nell’area contrattuale D, al largo della Libia. La produzione di gas – continua la nota – inizierà nel 2026 e raggiungerà un plateau di 750 milioni di piedi cubi di gas standard al giorno. La produzione sarà assicurata attraverso due piattaforme principali collegate agli impianti di trattamento esistenti presso il complesso di Mellitah. Il progetto prevede anche la costruzione di un impianto di cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica (CCS) a Mellitah, che consentirà una significativa riduzione dell’impronta carbonica complessiva, in linea con la strategia di decarbonizzazione di Eni. L’investimento complessivo è stimato in 8 miliardi di dollari, con un impatto significativo sull’industria e sulla relativa catena di fornitura, fornendo un contributo significativo all’economia libica.
L’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, ha dichiarato: “L’accordo ci consentirà di effettuare importanti investimenti nel settore dell’energia in Libia, contribuendo allo sviluppo e alla creazione di lavoro nel Paese, e rafforzando la posizione di Eni come primo operatore in Libia”. Eni – prosegue la nota – è il principale produttore internazionale di gas in Libia, con una quota dell’80 per cento della produzione nazionale (1,6 bscfd nel 2022). La società opera in Libia dal 1959 e attualmente dispone di un ampio portafoglio di asset in esplorazione, produzione e sviluppo. Le attività produttive sono operate attraverso la società mista Mellitah Oil and Gas BV (Eni 50 per cento, Noc 50 per cento). La produzione equity è stata di 165.000 barili di petrolio equivalente al giorno nel 2022.
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