Il Governo di unità nazionale (Gun) della Libia sostiene “l’attivazione di accordi e la conclusione di nuovi contratti che contribuiscano ad aumentare la produzione di petrolio e gas”, sollecitando “le imprese internazionali a riprendere le loro attività in Libia, data la stabilità del Paese”. Sono le parole del capo del governo “ad interim”, Abdelhamid Dabaiba, pronunciate a suo nome dal ministro delle Finanze libico, Khaled al Mabrouk, all’apertura del Forum di sostegno al settore petrolifero e del gas che si è tenuto ieri mattina a Istanbul, in Turchia. Secondo quanto riferisce il portale web “Al Wasat”, all’evento erano presenti numerosi ministri del Gun e rappresentanti della Libyan Investment Corporation, della Libyan Foreign Bank, di alcune banche commerciali, di società internazionali come Eni, Total, ConocoPhillips, Repsol e Omv, nonché di aziende e joint-venture libiche operanti nel settore petrolifero.
Nel corso del Forum è stato presentato il piano della National Oil Corporation (Noc, l’ente petrolifero statale) per aumentare la produzione di petrolio e del gas nel Paese membro dell’Opec. Spazio è stato dato anche al sostegno del settore bancario, nonché ai programmi e ai progetti della Noc per le partnership tra il settore pubblico e privato. Il presidente della Noc, Farhat Bengdara, ha ricordato che non vi è più alcuno “stato di forza maggiore” che impedisca le attività petrolifere in Libia. Secondo il capo del più importante azienda libica, i tempi sono maturi per riattivare gli accordi con le aziende internazionali e lasciarsi alle spalle tutte le difficoltà degli ultimi anni.
Bengdara ha poi elogiato “il ruolo dell’esercito libico e delle Guardie petrolifere nella messa in sicurezza di tutti i giacimenti petroliferi, contribuendo alla stabilità della produzione e dell’esportazione”, oggi pari a circa 1,2 milioni di barili di petrolio al giorno e 7 milioni di metri cubi di gas circa. Il governatore della Banca centrale della Libia, Al Saddiq al Kabir, ha detto da parte sua che la creazione “di un comitato di follow-up per il bilancio petrolifero eccezionale ha contribuito alla stabilità del settore”, sottolineando l’importanza del ruolo del settore privato nello sviluppo del comparto oil & gas in Libia.
Lo scorso 28 gennaio, durante la visita a Tripoli del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, l’italiana Eni e la National Oil Corporation (Noc) hanno sottoscritto un importante accordo sul gas da otto miliardi di dollari. L’accordo “Strutture A&E” è il primo grande progetto ad essere sviluppato nel Paese dall’inizio del 2000 e consiste in due giacimenti a gas, chiamati rispettivamente “Struttura A” e “Struttura”, situati nell’area contrattuale D, al largo della Libia. La produzione di gas inizierà nel 2026 e raggiungerà un plateau di 750 milioni di piedi cubi di gas standard al giorno. La produzione sarà assicurata attraverso due piattaforme principali collegate agli impianti di trattamento esistenti presso il complesso di Mellitah. Il progetto prevede anche la costruzione di un impianto di cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica (CCS) a Mellitah, che consentirà una significativa riduzione dell’impronta carbonica complessiva. L’investimento complessivo è stimato in 8 miliardi di dollari, con un impatto significativo sull’industria e sulla relativa catena di fornitura, fornendo un contributo significativo all’economia libica.
Il maxi-accordo segna una svolta nella partita per le risorse energetiche libiche e potrebbe fare da “volano” per il ritorno degli investimenti petroliferi internazionali in Libia. Alcuni hanno criticato un’intesa definita “sconveniente” e “contraria agli interessi libici”, prospettando presunti problemi legali per via della natura transitoria del Governo di unità nazionale al potere a Tripoli. Si tratta però di accuse provenienti da personalità ormai prive di potere, che l’ex inviata delle Nazioni Unite in Libia, Stephanie Williams, avrebbe definito “dinosauri politici” in via di estinzione. E’ questo il caso del ministro del Petrolio Mohammed Aoun, assente alla cerimonia di firma degli accordi con l’Italia e anche del memorandum d’intesa sulle esplorazioni e lo sfruttamento di idrocarburi con la Turchia nell’ottobre 2022. Egli si è scagliato contro l’Eni e soprattutto contro Farhat Bengdara, un tecnico subentrato lo scorso agosto alla guida della Noc, definendo “illegale” il contratto firmato a Tripoli dall’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi. La verità è che Aoun è da tempo ai margini del governo dopo che il primo ministro libico Dabaiba ha riorganizzato la gestione del settore petrolifero riesumando il Consiglio supremo per l’energia, svuotando così di significato l’esistenza stessa del ministero del Petrolio.
Ma le critiche più feroci contro l’accordo Eni-Noc sono arrivate (anche in Italia) da esponenti vicini a Fathi Bashagha, il primo ministro del cosiddetto Governo di stabilità nazionale (Gsn) designato dalla Camera dei rappresentanti, il foro legislativo libico eletto ormai quasi dieci anni fa. “Il governo uscente di Tripoli non è qualificato a firmare accordi in conformità con gli accordi politici internazionali siglati a Ginevra sotto gli auspici delle Nazioni Unite, per di più in un contesto in cui si aumenta la quota del partner estero e si riduce quella del partner nazionale”, si legge in una nota del Gns. E’ vero che il governo al potere a Tripoli non è stato eletto, ma soltanto incaricato dal dialogo intra-libico di Ginevra di traghettare il Paese alle elezioni. Elezioni che dovevano tenersi il 24 dicembre 2021 e che non si sono mai tenute. Ma è altrettanto vero che Bashagha guida un esecutivo parallelo senza riconoscimento internazionale, inizialmente sostenuto da Egitto e Russia e ormai sempre più abbandonato a sé stesso dopo i tre tentativi (tutti falliti) di insediarsi nella capitale manu militari.
Da un punto di vista economico, l’accordo firmato da Eni è fondamentale per la Libia e rappresenta forse “l’ultimo treno” per evitare il declino del Paese membro dell’Opec, dal momento che i giacimenti attivi di idrocarburi (principale fonte di sostentamento dello Stato) si stanno esaurendo rapidamente. Secondo Masoud Suleiman, membro del consiglio di amministrazione della National Oil Corporation, “lo Stato libico non può fornire da solo fondi per sviluppare i giacimenti, e non abbiamo altra alternativa che continuare con questo accordo”, ritenendo l’intesa “buona” e “nell’interesse dello Stato libico e della National Oil Corporation”; anche perché le spese di investimento dovrebbero essere suddivise equamente tra la Libia e la società italiana, e “le quantità di gas che si prevede di estrarre compenseranno il valore di equity dell’investimento nel progetto”. Non da ultimo, ha spiegato il membro di Noc, l’intesa è giunta a fronte di una prevista crisi di gas domestico per il Paese nordafricano, le cui centrali elettriche, dal 2025, rischiano di trovarsi senza i 600 milioni di piedi cubi di gas necessari per il loro funzionamento.
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