Il furto di 600 mila litri di carburante all’Onu mette in crisi i rifornimenti umanitari nel Tigré

Le autorità tigrine hanno respinto le accuse formulate dal direttore del Pam, David Beasley

Il furto di 600 mila litri di carburante da un magazzino del Programma alimentare mondiale (Pam) situato a Macallè, capitale dello Stato etiope del Tigrè, ha riacceso gli animi dopo la ripresa dei combattimenti sul fronte meridionale della regione, in guerra dal novembre del 2020 nonostante da cinque mesi tenesse un’instabile tregua. Le autorità tigrine hanno respinto le accuse formulate dal direttore del Pam, David Beasley, che ha attribuito loro la responsabilità del furto. “Il governo del Tigrè non ha rubato nessuna autocisterna. Aveva prestato oltre 600mila litri di carburante al Pam e ne ha semplicemente chiesto il rimborso, secondo gli accordi che avevamo”, spiega in una nota l’ufficio Affari esteri del governo tigrino, che ha definito “incendiarie” le accuse loro rivolte dal direttore del programma Onu. Secondo la versione dei tigrini, che hanno pubblicato sui social le ricevute della fornitura accordata al Pam, il carburante doveva servire a “gestire i servizi di base, come ospedali, cliniche e altre strutture sanitarie in tutto il Tigrè che sono state saccheggiate e danneggiate dalle forze invasori”: pur non negando di aver preso possesso delle 12 autocisterne contenenti il carburante, le autorità di Macallè respingono con forza l’accusa di furto, sostenendo di aver chiesto all’Onu la restituzione del prestito precedentemente effettuato, nel quadro della drammatica situazione dovuta alla guerra. I tigrini sperano quindi che l’equivoco possa essere risolto. “Rimaniamo impegnati a collaborare con i partner umanitari mentre lavorano duramente per affrontare la catastrofica crisi umanitaria che imperversa nel Tigrè. Con questo spirito, siamo pronti a risolvere tutte le questioni in sospeso in discussione con i funzionari del Pam”, si legge nel documento.

Ieri Beasley ha annunciato in un comunicato il furto di 12 autocisterne che contenevano “oltre mezzo milione di litri di carburante” ad opera di un gruppo di uomini armati che ha “preso possesso con la forza di 12 petroliere piene di oltre mezzo milione di litri di carburante”. Carburante, precisa il direttore, che è stato “recentemente acquistato dal Pam ed è arrivato pochi giorni prima del furto”. “Chiediamo alle autorità del Tigrè di restituire immediatamente queste scorte di carburante alla comunità umanitaria. Poiché il prossimo raccolto non sarà prima di ottobre, le nostre consegne di cibo salvavita non potrebbero essere più urgenti o fondamentali per la sopravvivenza di milioni di persone”, scrive Beasley, che ha definito “riprovevole che milioni di persone siano spinte ulteriormente alla fame dalla ripresa dei combattimenti nell’Etiopia settentrionale”. Negli ultimi mesi, osserva il direttore del Pam, la tregua umanitaria “ha permesso al Pam e ai partner di raggiungere quasi 5 milioni di persone nel Tigrè, tuttavia, ieri (con il furto di carburante) quell’ancora di salvezza è stata tagliata”. Senza queste scorte, spiega ancora Beasley, per il Pam “è impossibile distribuire cibo, fertilizzanti, medicinali e altre forniture di emergenza in tutto il Tigrè”, oltre che “alimentare generatori e veicoli” e soddisfare così i bisogni delle popolazioni più vulnerabili della regione, dove si stima che circa 5,2 milioni di persone debbano affrontare una grave fame. “La perdita di questo carburante spingerà le comunità del Tigrè, già alle prese con gli effetti del conflitto, sull’orlo della fame”, conclude.

I combattimenti al confine meridionale del Tigrè sono ripresi questa settimana dopo una tregua di cinque mesi concordata fra le truppe federali ed alleate etiopi ed i combattenti del Fronte di liberazione popolare del Tigrè (Tplf). L’ufficio comunicazioni del governo di Addis Abeba ha addossato la ripresa delle ostilità ai tigrini, che a loro volta – per primi – qualche giorno fa avevano denunciato nuovi bombardamenti sull’area. Media tigrini e fonti umanitarie hanno peraltro confermato oggi un raid su Macallè, città più volte bombardata in passato dall’Aeronautica federale etiope, sia sugli obiettivi militari che su magazzini e strutture civili. L’emittente “Tigrai Television” ha pubblicato sul suo account Twitter le immagini di alcuni edifici distrutti nel raid di oggi, affermando che fra questi c’è anche un asilo, e il video dei primi soccorsi. Si parla di un numero imprecisato di morti, fra cui anche dei bambini. Proprio oggi il ministero etiope delle Comunicazioni aveva diffuso un comunicato nel quale invitava i cittadini del Tigrè a “tenersi lontani dalle zone in cui il Tplf tiene materiale militare ed altri servizi”, lasciando presumere un’azione militare su quest’area.

Il movimento di truppe in direzione del confine tigrino meridionale allontana ulteriormente la prospettiva di una soluzione diplomatica al conflitto, con colloqui che sono stati caldeggiati per settimane dalla comunità internazionale ma sul cui svolgimento non è stato trovato accordo: Addis Abeba chiede infatti che il dialogo si tenga sotto l’egida dell’Unione africana, mentre il Tplf vuole come mediatore il Kenya, Paese che si è offerto di ospitare l’eventuale dialogo. Mentre tornano a piovere condanne internazionali alla ripresa dei combattimenti e la richiesta di un cessate il fuoco – nelle ultime ore lo ha fatto sia l’Unione africana che il Segretario generale Onu Antonio Guterres -, le autorità etiopi hanno fatto sapere che le forze federali stanno “rispondendo con successo agli attacchi” tigrini, mentre in precedenza il portavoce del Tplf Getachew Reda aveva a sua volta denunciato la ripresa dell’offensiva da parte delle forze del premier Abiy Ahmed. “Il regime di Abiy ha lanciato un’offensiva contro le nostre posizioni nel fronte meridionale”, ha scritto il portavoce su Twitter, sostenendo che l’attacco “su larga scala” è stato sferrato “dopo una settimana di provocazioni” che ha fatto leva sulle divisioni interne alle milizie Amhara, alleate di Addis Abeba. “Le nostre forze stanno eroicamente difendendo le nostre posizioni. La campagna ben orchestrata dal regime alla comunità internazionale è stata ora rivelata per il dramma che è sempre stato!”, scrive ancora Reda, che denuncia da mesi un doppio gioco del governo etiope, difensore sui tavoli internazionali di una politica di pacificazione interna ma nei fatti – dicono i tigrini – provocatrice e bellicosa nei confronti delle forze nemiche.

La scorsa settimana la portavoce del primo ministro Abiy Ahmed, Billene Seyoum, aveva respinto come “illazioni” le accuse tigrine di ripresa dei bombardamenti, e affermato che il governo etiope è “disposto a impegnarsi in qualsiasi momento” per “raggiungere un accordo definitivo su un cessate il fuoco immediato”. Per Addis Abeba, le affermazioni tigrine miravano a distogliere l’attenzione dai fatti e sono uno stratagemma per non impegnarsi in colloqui di pace. In una serie di post pubblicati su Twitter, il portavoce dei tigrini Reda aveva invece ribadito che le loro forze sono state nuovamente prese di mira dai federali e dalle forze alleate, in una aperta violazione del cessate il fuoco tra le parti. “Il cosiddetto Comitato per la Pace istituito dal regime di Abiy Ahmed è impegnato nel suo consueto gioco di offuscamento per ingannare la comunità internazionale mentre le sue forze stanno attivamente provocando le nostre forze su vari fronti”, ha detto Reda, accusando Addis Abeba di aver intrapreso “azioni provocatorie contro le nostre forze”, in totale contrasto con le promesse ripetute a livello internazionale di lavorare per la pace.

Gli ultimi sviluppi del conflitto, che hanno anche visto abbattuto un piccolo aereo proveniente dal Sudan e diretto nel Tigré con un sospetto carico di armi, hanno di fatto annullato i deboli risultati degli sforzi diplomatici internazionali. Un tentativo concreto di incoraggiare l’avvio dei colloqui tra il governo federale e il Tplf era arrivato a inizio agosto con la missione congiunta nel Tigrè effettuata dagli inviati speciali dell’Unione europea e degli Stati Uniti per il Corno d’Africa, rispettivamente Annette Weber e Mike Hammer, i quali hanno accolto con favore l’impegno pubblico di entrambe le parti a impegnarsi in colloqui e hanno espresso la loro disponibilità a sostenere la mediazione guidata dall’Unione africana, concordando sul fatto che un rapido ripristino dell’elettricità, delle telecomunicazioni, delle banche e di altri servizi di base nel Tigrè sia essenziale per il popolo del Tigrè, come riconosciuto in precedenti discussioni con il governo etiope. Il presidente regionale del Tigrè e leader del Tplf, Debretsion Gebremichael, aveva allora fornito alla comunità internazionale una lettera da trasmettere al governo dell’Etiopia fornendo garanzie di sicurezza per coloro che hanno bisogno di lavorare per ripristinare i servizi. Gli inviati – si legge in una nota congiunta delle due missioni – hanno inoltre sollecitato la cooperazione e l’accesso alle aree di conflitto per la Commissione internazionale di esperti di diritti umani in Etiopia (Ichree) per consentire loro di condurre un’indagine credibile e hanno inoltre fatto appello a tutte le parti del conflitto affinché si astengano dall’incitare all’odio e dalla retorica provocatoria.

La visita degli inviati Ue e Usa era stata tuttavia accolta con freddezza da parte del governo etiope, che ha accusato i diplomatici occidentali di essere stati troppo “accondiscendenti” nei confronti del Tplf. In una dichiarazione pubblicata su Twitter, il consigliere per la Sicurezza del primo ministro Abiy Ahmed e membro della squadra negoziale istituita da Addis Abeba, Redwan Hussien, ha affermato che i diplomatici “non hanno chiesto un impegno inequivocabile per i colloqui di pace” durante la loro missione e ha ribadito la posizione del governo, ovvero che dovrebbero essere create delle “condizioni abilitanti” e che i colloqui dovrebbero iniziare prima degli sforzi di ripristino dei servizi di base nel Tigrè – comprese le banche, l’elettricità e le telecomunicazioni – richiesto dai mediatori. Una posizione che è stata ovviamente seccamente contrastata dal Tplf che, per il tramite del Servizio per gli Affari esteri, ha diffuso un comunicato in cui ringrazia Ue e Usa per sugli sforzi profusi alla ricerca di una soluzione diplomatica ma ha messo in dubbio l’autentica disponibilità del governo di Addis Abeba ad avviare seri negoziati di pace. “Anche se annuncia la sua disponibilità ai colloqui di pace, il regime di Abiy continua a muoversi lentamente nella ricerca della pace. Mentre il governo del Tigrè è seriamente intenzionato a una fine negoziata dell’attuale conflitto, il regime di Abiy è più interessato a essere visto come favorevole alla pace che a compiere il duro lavoro necessario per porre fine all’attuale crisi”, si legge nella nota, in cui si invita la comunità internazionale ad evitare di essere “complice” nel prolungare la crisi. “Il fatto è che, in assenza di forti pressioni da parte della comunità internazionale, il regime di Abiy continuerà a usare la promessa di colloqui di pace come via di fuga, mentre conduce la sua guerra genocida nel Tigrè attraverso la fame di massa”, denunciava il Tplf, accusando il governo etiope di proseguire la guerra con strumenti diversi. “Come ben sa la comunità internazionale, il regime di Abiy ha imposto un blocco ermetico al Tigrè, ostacolando l’ingresso di cibo, carburante e medicinali. Sebbene siano stati compiuti progressi limitati nella consegna degli aiuti dalla cosiddetta tregua umanitaria, l’assistenza umanitaria sta ancora latitando nel Tigrè”, afferma il comunicato, denunciando infine l’assenza di un sistema efficace che consenta “una regolare, sufficiente e tempestiva consegna degli aiuti”.

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