Il continente africano, e il Sahel in particolare, sono investiti da un’ondata di colpi di Stato che pare inarginabile, ma oltre alla condanna è necessario comprendere le cause profonde che li alimentano: in Africa il modello occidentale di democrazia non funziona. Con queste parole il presidente di Transizione della Guinea, Mamady Doumbouya, ha difeso non solo il colpo di Stato con il quale è salito al potere nel settembre 2021, ma anche quelli che fra il 2020 e il 2023 hanno portato a rovesciamenti dell’ordine costituzionale anche nei vicini Mali, Burkina Faso, Niger e Gabon.
Parlando dalla tribuna dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, a New York, il colonnello Doumbouya ha quindi difeso ancora una volta il golpe con il quale ha deposto il presidente Alpha Condé, affermando che l’azione è stata decisa “per salvare il nostro Paese dal caos più completo”, e ha invitato le potenze occidentali a smetterla di considerare i Paesi africani come dei “bambini”. “Oggi gli africani sono più svegli che mai e più determinati che mai a prendere in mano il proprio destino”, ha osservato, sottolineando che le “transizioni” in corso in Africa sono dovute a diversi fattori, tra cui “le promesse non mantenute, la letargia della popolazione e i leader che manomettono la Costituzione con l’obiettivo di rimanere al potere”.
Esprimendo preoccupazione per l’ineguale distribuzione della ricchezza che crea infinite disuguaglianze, carestia e povertà, il colonnello ha affermato: “Quando la ricchezza di un Paese è nelle mani di un’élite mentre i neonati muoiono negli ospedali a causa della mancanza di incubatrici, non sorprende che (…) assistiamo a transizioni per rispondere alle profonde aspirazioni delle persone”. Il leader golpista guineano ha poi denunciato il fatto che l’Africa soffre di un modello di governance che le è stato imposto dall’Occidente. “Siamo tutti consapevoli che questo modello democratico che ci avete imposto così insidiosamente e abilmente dopo il vertice di La Baule (del 1990) in Francia non funziona. I vari indici economici e sociali lo dimostrano in modo chiaro”, ha affermato, aggiungendo che “questo non è un giudizio di valore sulla democrazia stessa”.
A detta di Doumbouya, questo modello – “dannoso” per l’economia e la trasformazione locale delle risorse naturali della Guinea – ha contribuito a mantenere un sistema di “sfruttamento e saccheggio” delle sue risorse. “La transizione che conduco ha scelto di concentrarsi metodicamente su obiettivi chiari in un ordine preciso: sociale, economico e politico”, ha sottolineato. Il Sahel sta attraversando una delle crisi più gravi della sua lunghissima storia. In questo contesto, il colonnello Doumbouya ha sottolineato che la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Cedeao) deve smettere di impegnarsi nella politica e favorire il dialogo. “Il popolo africano è stanco, esausto delle categorizzazioni con cui tutti vogliono intrappolarci”, ha detto, dichiarando: “Non siamo né pro né anti-americani, né pro né anti-cinesi, né pro né anti-francesi, né filo-né anti-russi, né filo- né anti-turchi. Siamo semplicemente filo-africani”. “È ora di smetterla di darci lezioni, di smetterla di trattarci con condiscendenza, come bambini”, ha concluso.
Un discorso, quello del leader golpista guineano, che si fa portavoce delle posizione di tutta quella serie di Paesi del Sahel – dal Mali al Burkina Faso, fino al Niger – teatro negli ultimi anni di una serie di golpe che li hanno allontanati definitivamente dall’orbita francese avvicinandoli a quella russa. Un avvicendamento che rischia di avere serie ripercussioni sul controllo delle risorse strategiche – soprattutto nel caso del Niger, ricco di uranio – e su quello delle rotte migratorie. A tal proposito vale la pena di ricordare, che la Guinea è il primo Paese di provenienza di migranti che sbarcano giornalmente in Italia. Secondo i dati del ministero dell’Interno, dall’inizio dell’anno sono stati 15.240 i migranti di nazionalità guineana sbarcati sulle coste italiane, una cifra superiore ai 14.402 di nazionalità ivoriana e ai 12.213 di nazionalità tunisina. Si tratta di numeri in drammatico aumento se confrontati a quelli relativi all’intero arco del 2022, quando erano sbarcati in Italia “solo” 4.473 migranti guineani, ponendo il Paese saheliano al settimo posto tra quelli di partenza dopo Egitto (20.542), Tunisia (18.148), Bangladesh (14.982), Siria (8.594), Afghanistan (7.241) e Costa d’Avorio (5.973).
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