Porre dei vincoli agli investimenti esteri nelle banche italiane è inutile, ma è necessario che chi investe nel settore italiano del credito punti a operare per lo sviluppo del Paese. Lo ha spiegato il segretario generale della Uilca Fulvio Furlan, in un’intervista ad “Agenzia Nova”. “Viviamo in un mondo globalizzato ed estremamente interconnesso”, perciò “porre dei vincoli a priori è possibile ma probabilmente inutile. Il vero problema – ha sottolineato Furlan – sono i progetti industriali che ci sono dietro le scelte” d’investire nel credito italiano. Secondo il segretario generale della Uilca, quindi, è importante capire quanto “le aziende che vogliono entrare nel settore del credito italiano” credono “nel sistema Paese Italia, e se vogliono operare a favore dello sviluppo del Paese, e quindi essere parte attiva nei territori”, oltre ad “adeguarsi in modo positivo alle relazioni sindacali che ci sono nel settore”. “Il problema – ha sottolineato Furlan – non è tanto dove qualcuno è nato e dove qualcuno ha la sede, ma quanto crede al sistema Paese Italia, nelle aziende italiane e nei territori italiani”. È essenziale, quindi, che voglia “essere parte integrante di un sistema del credito, che credo possa a tutti gli effetti essere un punto di riferimento anche in Europa e a livello internazionale”.
Per quanto riguarda invece gli scenari sulle possibili fusioni bancarie in Italia, il segretario generale della Uilca ha sottolineato che queste ultime non devono essere considerate come semplici “operazioni societarie”, ma devono avere delle “logiche industriali”. “L’idea di una valutazione strategica – ha spiegato – è quella di non considerare le fusioni bancarie come mere operazioni societarie, che rispondono a esigenze che possono essere di politiche aziendali tra azionisti, o a logiche politiche di altra natura. Devono avere delle logiche industriali in modo da creare aziende bancarie che siano protagoniste nello svolgere al meglio il loro mestiere, che è anche quello di essere al servizio” del territorio, delle famiglie, delle imprese. “Se si riesce a fare questo – ha spiegato Furlan – vuol dire avere un’ottica industriale che crei degli agglomerati bancari che sono motore sviluppo per il territorio in cui lavorano e per il Paese. In quest’ottica, l’indirizzo che viene dato da molte parti, anche dalle autorità di regolazione e non soltanto da loro, anche da analisti, è che si creeranno tante aggregazioni che porteranno ad avere pochi gruppi. È una considerazione che non deve spaventare – ha osservato Furlan – se fatta con le logiche di porre un servizio bancario che sia adeguato ai tempi e motore di sviluppo per il Paese, per le imprese e per le famiglie. Vogliamo cercare di governare questi processi, avendo grande attenzione alla qualità dell’occupazione e ai livelli occupazionali”.
Interpellato sulla possibilità di rilanciare il comparto nel Mezzogiorno e sull’accordo con la Popolare di Bari, Furlan ha spiegato che “nella Popolare di Bari c’è un investimento anche industriale perché diventi un punto di riferimento per lo Sviluppo del Mezzogiorno, e per creare un polo bancario” del Sud. “Crediamo che sia importante perché fa parte di quell’idea che le banche devono essere nei territori, e per questo c’è anche un’attenzione molto forte perché gli sportelli bancari non vengano chiusi”, soprattutto “dove ci sono maggiori difficoltà, e dove il rischio della non presenza di soggetti regolati, o peggio della presenza di soggetti finanziari ed economici che poi rispondono a logiche d’altra natura, possano portare veramente a un depauperamento di quei territori e alla perdita del controllo dalla parte positiva e pulita dell’economia italiana. Quel progetto fa parte di un’idea più complessiva di una presenza sui territori delle banche”, che “se agiscono da soggetti sociali e non soltanto da imprese bancarie che mirano al profitto, possono” effettivamente stare dalla parte di chi vive in quei territori, ossia “cittadini, famiglie, imprese”.
Per quanto riguarda invece gli scenari futuri per l’organizzazione del lavoro nel settore, Furlan ha sottolineato la digitalizzazione può comportare ricadute positive in termini occupazionali, ma solo se si evita un’ottica miope di semplice taglio del costo del lavoro. “È ovvio che ci sono ricadute occupazionali, ma crediamo che possano essere anche positive. Non a caso le aziende bancarie stanno assumendo molti giovani che hanno conoscenze in termini statistici, di matematica, di materie tecniche”. Certo, ha osservato Furlan, “bisogna avere un’ottica più aperta, innovativa”, anziché di “taglio del costo del lavoro, o un’ottica miope di riorganizzazione aziendale. Credo che le relazioni sindacali nel settore siano così evolute da poter trovare soluzioni insieme alle controparti per dare una prospettiva positiva”, ha affermato Furlan. Anche il lavoro da remoto può essere un’opportunità. “È chiaro che la situazione va gestita e governata”, ha spiegato Furlan, secondo cui anche per questa ragione “il rinnovo del contratto nazionale del credito è di grande importanza”. In primo luogo, “abbiamo regolato lo smart working già a fine 2019, quando ancora non era di utilizzo così comune”. Al contrario, “era una nostra spinta nei confronti delle aziende perché lo utilizzassero per favorire lavoratrici e lavoratori che devono fare lunghe distanze per andare sul posto da lavoro. Abbiamo anticipato i tempi, anche rispetto a inserire una cabina da regia a livello nazionale che governasse i processi di digitalizzazione. Lo abbiamo fatto inserendo il diritto alla disconnessione, per esempio. Fare tutto questo all’interno di un contratto nazionale, e non di un accordo aziendale, è stato innovativo”, e ora “dobbiamo seguire questa impostazione”.
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