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Forti tensioni in Africa orientale: crescono i rischi di un conflitto armato

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Si fa sempre più calda la situazione in Africa orientale, dove ai venti di guerra che spirano fra Etiopia e Sudan per il controllo dell’area di confine di al Fashaqa si aggiungono le tensioni legate al dossier della Grande diga della rinascita etiope (Gerd) che vedono contrapposte Egitto e Sudan, da un lato, ed Etiopia dall’altro; senza contare, poi, gli strascichi del conflitto nel Tigrè che – sebbene dichiarato concluso da Addis Abeba nel dicembre scorso – continua a produrre vittime e a preoccupare la comunità internazionale per le presunte atrocità che vi sono state commesse, soprattutto dalle truppe dell’Eritrea (con il tacito benestare delle forze etiopi). Un quadro, quello appena illustrato, che non può non tenere conto degli schieramenti e delle alleanze regionali che via via si sono andate delineando, lasciando intravedere nuovi equilibri che coinvolgono anche le potenze regionali, sempre più interessate a giocare un ruolo di primo piano nella regione.


Ad alimentare ulteriormente le speculazioni in tal senso è stata la notizia – non confermata a livello ufficiale – della visita che il primo ministro etiope Abiy Ahmed avrebbe effettuato sabato scorso, 6 marzo, insieme al presidente eritreo Isaias Afwerki a Giuba, capitale del Sud Sudan, per incontrare il presidente sud sudanese Salva Kiir. Obiettivo dell’incontro, stando a fonti citate dal sito “Hub Eritrea”, è stato quello di sondare il terreno per una possibile alleanza militare fra i tre Paesi in risposta al rinnovato asse Egitto-Sudan, rinsaldato con la firma – avvenuta sempre la scorsa settimana a Khartum – di un accordo di cooperazione militare che mira a rafforzare la formazione e lo scambio di esperienze tra i due eserciti. Storicamente gli eserciti di Sudan ed Egitto sono stati strettamente legati da diversi accordi di difesa, tuttavia il deterioramento delle relazioni avvenuto durante gli anni della presidenza di Omar al Bashir ha danneggiato la forte cooperazione militare tra i due Paesi. Ora, dopo la caduta di Bashir, unita alla situazione in Libia, alle minacce di un imminente conflitto armato nel Corno d’Africa tra Sudan ed Etiopia e alle tensioni con l’Etiopia legate alla Gerd hanno contribuito ad accelerare questo processo di riavvicinamento iniziato lo scorso anno.

A sancire il definitivo riavvicinamento tra Il Cairo e Khartum è stata, poi, la visita in Sudan effettuata domenica scorsa dal presidente egiziano Abdel Fatah al Sisi, che è stato ricevuto dalla controparte Abdel Fatah al Burhan, capo del Consiglio sovrano sudanese: una visita rara e dal chiaro obiettivo politico, vale a dire fare quadrato contro l’Etiopia data la volontà di Addis Abeba di procedere in modo unilaterale al riempimento del bacino della diga in estate. Eventualità, quest’ultima, che potrebbe ridurre la portata d’acqua del Nilo, con possibili ricadute sulle risorse idriche dei paesi a valle, ovvero Egitto e Sudan. La visita di Al Sisi ha nuovamente alimentato speculazioni su una possibile, imminente azione militare congiunta contro l’Etiopia per la disputa sulla Gerd, opzione che il Cairo non ha mai esplicitamente menzionato ma non ha mai neppure escluso a priori. L’Egitto, Paese in gran parte desertico, considera infatti la sua quota nell’acqua del Nilo come una questione di sicurezza nazionale. Intervenendo durante la conferenza congiunta con Al Burhan, il capo dello Stato egiziano ha ribadito che la diga in costruzione in Etiopia “è un dossier che tocca il cuore degli interessi vitali egiziani sudanesi che saranno direttamente interessati da questo grande progetto” ha definito “inevitabile” un ritorno “urgente” al tavolo delle trattative “per raggiungere un accordo giuridicamente vincolante prima della stagione delle piogge”.

È in tale scenario che va dunque inquadrata la visita effettuata dal premier etiope Ahmed e dal presidente eritreo Afwerki a Giuba. Obiettivo strategico della visita – se confermata – potrebbe essere stato, con ogni probabilità, quello di attrarre il Sud Sudan nell’orbita dell’asse Asmara-Addis Abeba, sottraendolo a quello – sempre più solido – che unisce Il Cairo e Khartum: se, infatti, è vero che i rapporti fra Etiopia ed Egitto sono ai ferri corti per via della Gerd, è altrettanto vero che i legami fra Eritrea ed Egitto si sono progressivamente raffreddati nell’ultimo periodo. Così, i colloqui in fase di stallo sulla Gerd e le tensioni al confine fra Etiopia e Sudan rendono cruciale per Addis Abeba portare il Sud Sudan dalla sua parte. Da un tale scenario potrebbe peraltro trarre beneficio il presidente Kiir che, da parte sua, potrebbe trovare nuovi alleati per allentare le pressioni sul suo Paese, afflitto da un conflitto civile cronico e dalla corruzione endemica.

Intanto spirano sempre più venti di guerra fra Etiopia e Sudan per quanto riguarda i territori di confine. Nel fine settimana l’agenzia di stampa ufficiale sudanese “Suna” ha riferito che il governo etiope ha recentemente fornito armi e munizioni a un gruppo ribelle sudanese per attaccare la città di confine di Yabous, nello Stato del Nilo Azzurro. Secondo le fonti, il supporto militare è stato fornito lo scorso 27 febbraio ed è stato ricevuto dal comandante Joseph Tuka (numero due del Movimento di liberazione del popolo sudanese-Nord, Splm-N) e da alcuni dei suoi luogotenenti. “Il governo etiope ha fornito supporto logistico alle forze di Joseph Tuka, comprese armi, munizioni e attrezzature da combattimento”, scrive l’agenzia citando funzionari sudanesi, secondo cui l’obiettivo da parte dei ribelli è quello di occupare la città di confine di Kurmuk con il sostegno dell’artiglieria etiope. Gli attacchi dei miliziani nell’area di confine – sostenuti dall’esercito etiope – e i contrattacchi delle forze sudanesi hanno minato le buone relazioni tra i due Paesi quando Addis Abbas nel dicembre scorso ha rivendicato la proprietà del triangolo di al Fashaqa, che si trova all’interno dei confini internazionali del Sudan. Se le accuse fossero confermate, potrebbero dare un’indicazione sul possibile futuro sostegno del Sudan ai ribelli del Fronte di liberazione del popolo del Tigrè (Tplf) che continuano a combattere contro l’esercito etiope nelle aree di confine tra Sudan ed Etiopia.

Alla luce di quanto scritto, appare evidente come per l’Eritrea e l’Etiopia la questione chiave sia l’affermazione del conflitto del Tigrè, mentre per il Sudan e l’Egitto i dossier cruciali sono la Gerd e il triangolo di al Fashaqa. Le prime due sono sotto un’intensa pressione internazionale – in primis statunitense – affinché le truppe eritree si ritirino dall’Etiopia, tanto che la scorsa settimana il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, unendosi alle voci delle Nazioni Unite e delle organizzazioni internazionali ha citato un “crescente numero di segnalazioni credibili di atrocità e violazioni e abusi dei diritti umani” e in una telefonata con il primo ministro Ahmed ha chiesto all’Etiopia di ritirare le sue truppe dal Tigrè e di porre immediatamente fine alle violenze. La pressione è in aumento anche in seno alle Nazioni Unite e il fatto che per ora l’adozione di una dichiarazione congiunta del Consiglio di sicurezza sia stata bloccata grazie al veto di Russia e Cina non toglie la possibilità che una nuova offensiva diplomatica sortisca il suo effetto. Che il conflitto nel Tigrè e la disputa sulla Gerd siano collegate, poi, lo dimostra il fatto che – stando a diversi osservatori – l’Etiopia sarebbe disposta a fare importanti concessioni al Sudan e all’Egitto in cambio del loro sostegno per respingere la pressione degli Stati Uniti e dei Paesi occidentali sul Tigrè.

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