Mentre in Italia il governo di Mario Draghi riesce – almeno per il momento – a riunire attorno a sé una coalizione ampia, coinvolgendo quasi tutto l’arco parlamentare, in altre parti d’Europa si assiste a un “suicidio” dell’unità nazionale, per questioni sia politiche che economiche. L’ultimo segnale in questo senso, in ordine cronologico, giunge dalla Catalogna, dove le elezioni per la Generalitat tenutesi ieri hanno consegnato la maggioranza al fronte indipendentista, che si riunisce attorno a Sinistra repubblicana di Catalogna (Erc), Uniti per la Catalogna (JxCat) e Candidatura popolare unita (Cup). I tre partiti, che insieme dovrebbero ottenere 74 seggi al Parlamento catalano, hanno di fatto ottenuto la riconferma del blocco indipendentista che aveva già governato la Generalitat dopo le elezioni del 2017. La formazione più votata è stata il Partito socialista catalano (Psc), ramificazione locale del Psoe al potere in Spagna; nonostante il 23 per cento dei consensi, i 33 seggi ottenuti dal Psc lo condannano però a una probabile legislatura all’opposizione. L’unico modo che hanno i socialisti evitare questo scenario è quello di “spezzare” l’asse fra le formazioni indipendentiste, che già aveva mostrato delle crepe negli ultimi anni. La scelta del presidente della Generalitat, in precedenza espressione di JxCat, spetterebbe in questa situazione a Erc; un’eventuale fra le principali anime della coalizione indipendentista potrebbe mettere in discussione l’alleanza, aprendo le porte a una coalizione di sinistra formata da Psc, Erc e En Comú Podem.
Questa soluzione avrebbe due “vantaggi”, dal punto di vista di Madrid: da una parte verrebbe scongiurato il “fantasma” di una nuova dichiarazione di indipendenza delle autorità di Barcellona, dall’altra gli equilibri nella maggioranza catalana ricopierebbero, anche se con proporzioni diverse, quello della coalizione di governo nazionale. Quanto accaduto a ottobre 2017, con il referendum per l’indipendenza e la conseguente dura risposta dell’allora esecutivo conservatore di Mariano Rajoy, è uno scenario assolutamente da evitare per l’attuale premier Pedro Sanchez, anche considerando l’importanza che la questione autonomista riveste in Spagna e gli equilibri a loro volta delicati su cui sembra reggersi l’attuale maggioranza. Se quindi da una parte i socialisti sperano che il loro rappresentante Salvador Illa possa riuscire nel “miracolo” di spezzare l’asse indipendentista uscito dalle urne, le prime dichiarazioni del presidente di Erc, Oriol Junqueras, sembrano chiudere le porte a questa prospettiva. Il politico catalano ha infatti rivendicato la necessità di un accordo esclusivamente con coloro che sono “a favore dell’autodeterminazione e dell’indulto” e ha escluso un patto con i socialisti catalani. “È impossibile un governo con il Psc. Siamo antagonisti”. Sulla base dell’esito del voto di ieri, Junqueras ha poi chiesto al governo centrale di Madrid di “lavorare al tavolo di dialogo creato l’anno scorso per affrontare la questione catalana”. Qualunque sia l’evoluzione politica nella Generalitat dopo il voto di ieri, quella della Catalogna resta comunque una spina nel fianco di qualsiasi governo sieda a Madrid, e in prospettiva anche una preoccupazione non marginale per le autorità di Bruxelles, già chiamate in causa in passato sul caso di Carles Puigdemont, il leader indipendentista rifugiatosi in Belgio, eletto nel 2019 al Parlamento europeo e riconosciuto come tale dall’Ue solo dopo una sentenza della Corte di giustizia europea.
Altro esempio di “suicidio” della nazione, se pur con caratteristiche molto diverse, è quello che concerne la Brexit e i suoi recenti sviluppi. Dopo l’accordo del 24 dicembre scorso sono emerse sempre maggiori criticità non solo nei rapporti fra Regno Unito e Ue, ma anche all’interno del territorio britannico. La questione del confine fra Repubblica di Irlanda e Irlanda del Nord, al centro delle discussioni fra Londra e Bruxelles per diverso tempo, ha portato all’istituzione di una frontiera “ibrida”. Per evitare la creazione di una barriera fisica sull’isola, l’Irlanda del Nord è rimasta di fatto dentro l’unione doganale con l’Ue e nel mercato unico europeo. Questa scelta, politicamente motivata, ha però determinato la necessità di sottoporre le merci che dalla Gran Bretagna si spostano verso la nazione oltremare agli stessi controlli che subirebbero qualora fossero destinate a un Paese comunitario. Burocrazia e altre problematiche hanno finito per creare un sostanziale isolamento dell’Irlanda del Nord rispetto al resto del Regno Unito, con difficoltà di approvvigionamento nei supermercati già avvertite a gennaio 2021. Complice anche la delicata questione relativa alle forniture di vaccini prodotti da AstraZeneca, Londra e Bruxelles si sono viste costrette a ridiscutere in qualche modo la situazione nordirlandese, puntando nuovamente sul dialogo piuttosto che su una battaglia legale. Resta il fatto che le autorità britanniche, spesso costrette in queste prime settimane di formale separazione a chiedere maggiore “flessibilità” alla controparte europea di fronte agli obblighi imposti dai nuovi regolamenti, si trovano in una situazione di difficile gestione.
Downing Street e l’opinione pubblica del Regno Unito dovranno infine confrontarsi nuovamente con le istanze separatiste che riemergono in Scozia, in vista del voto per rinnovare il parlamento di Edimburgo, in programma per il prossimo maggio. La leader del Partito nazionale scozzese (Snp), Nicola Sturgeon, è ancora una volta tornata a chiedere un referendum per l’indipendenza, dopo quello tenutosi nel settembre 2014. Il mutato contesto, determinato dall’entrata in vigore dell’accordo sulla Brexit e dalla gestione della pandemia di Covid-19 da parte delle autorità britanniche, ha portato Sturgeon e il suo partito a rilanciare la richiesta di “staccare” la Scozia dal Regno Unito per farla poi rientrare nell’Ue, una questione a dire il vero vista con una certa preoccupazione non solo da Londra ma anche da Bruxelles. L’Snp punta a ottenere il maggior numero di consensi nel parlamento scozzese a maggio, così da chiedere con forza un secondo referendum, anche se i sondaggi non sembrano esprimere attualmente un largo consenso a favore dell’indipendenza. Resta il fatto che, logorato dalle conseguenze della Brexit sul fronte interno e costretto a un confronto non semplice con Edimburgo, il governo britannico rischia di affrontare un difficile 2021, con un possibile impatto anche sulla leadership del premier Boris Johnson.
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