Etiopia: il fronte del conflitto si sposta verso ovest e rischia di allargarsi al Sudan

Le autorità di Khartum hanno ordinato il dispiegamento di un significativo numero di truppe aggiuntive al confine con Addis Abeba

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La ripresa delle ostilità tra le forze federali etiopi e il Fronte di liberazione del popolo del Tigrè (Tplf), che ha fatto saltare la già fragile tregua umanitaria in vigore dal marzo di quest’anno, ha sancito l’avvio di una nuova fase del conflitto scoppiato nel nord dell’Etiopia nel novembre 2020 e rischia ora di aprire un nuovo fronte a causa del possibile coinvolgimento di un altro attore che finora ha giocato un ruolo piuttosto defilato ma, al tempo stesso, ambiguo nella crisi: il Sudan. Dalle ultime informazioni disponibili risulta infatti evidente che il focus dei combattimenti nel Tigrè si sta spostando sempre più verso il confine con il Sudan ed è notizia delle ultime ore che le autorità di Khartum hanno ordinato il dispiegamento di un significativo numero di truppe aggiuntive al confine con l’Etiopia.

Secondo quanto riferito da fonti citate dal quotidiano “Sudan Tribune”, aspri scontri militari sono stati inoltre segnalati domenica scorsa in particolare nelle aree di Dima e Qudimah, al confine tra Sudan, Etiopia ed Eritrea, dove nelle ultime settimane sono ripresi i combattimenti tra le forze etiopi sostenute dall’Eritrea contro il Tplf, che controlla l’area settentrionale del Tigrè. Come conseguenza di ciò, le autorità del Sudan hanno esortato le agenzie di aiuto umanitario a evacuare il centro di accoglienza per i rifugiati etiopi di Hamdayet, adducendo timori per la loro sicurezza a seguito dell’intensificarsi degli scontri vicino al confine sudanese. Hamdayet si trova nell’area della cosiddetta Grande al Fashaga, vicino al confine comune tra gli Stati sudanesi di Gedaref e Kassala, in una regione da anni contesa tra Etiopia e Sudan e che già prima dello scoppio del conflitto era stata a più riprese teatro di tensioni frontaliere tra Khartum e Addis Abeba. Combattimenti sono in corso anche a est di al Gidaima, a sud-ovest della città di Hamra, e a sud-ovest di al Rawyan Mai Khadra, oltre che aree a sud della regione del Tigrè e a nord della regione di Amhara, nell’area di Dansha, Wag e Wolqait. È inoltre notizia di ieri che un comandante militare etiope e un gruppo di suoi soldati in fuga dai crescenti scontri si sono arresi alle guardie di frontiera sudanesi, come riportato dal sito web “Al Sharq”.

Dopo il crollo del regime di Omar al Bashir, nell’aprile 2019, le relazioni tra Sudan ed Etiopia sono rimaste tese a causa del frequente attraversamento del confine da parte delle milizie etiopi amhara, alleate delle Forze di difesa nazionali (Endf) di Addis Abeba. Le tensioni frontaliere tra i due Paesi sono riemerse con fragore lo scorso 22 giugno con l’omicidio di sette militari sudanesi che erano stati catturati dalle forze etiopi, i cui corpi sono stati mostrati per le strade e le foto fatte circolare sui social media. Il governo sudanese ha attribuito la responsabilità delle uccisioni all’esercito etiope, che da parte sua ha respinto le accuse attribuendo l’attacco a un’unità dell’esercito sudanese appoggiata dalle forze del Tplf, notizia quest’ultima seccamente smentita sia dalle autorità di Khartum che da quelle di Macallè. Come rappresaglia, a fine giugno l’esercito sudanese ha lanciato un attacco su larga scala contro le truppe etiopi rimaste all’interno dell’area di confine contesa di Al Fashaqa, riconquistando gli insediamenti di Kala-Leban e Barkhat e le colline di Tesfai Adawi, oltre a catturare decine di militari etiopi e sta ora “ripulendo” una serie di piccole aree di confine rimaste nelle mani delle truppe etiopi. Il ruolo del Sudan nel conflitto in Etiopia è sempre stato piuttosto ambiguo dal momento che, pur non schierandosi apertamente al fianco del Tplf, è stato a più riprese tacciato dal governo di Assid Abeba di collaborazionismo con le milizie tigrine, cui fornirebbe supporto logistico e addestramento militare ai suoi combattenti.

Il Sudan è solo l’ultimo Paese che rischia di essere coinvolto nella spirale di un conflitto che, a quasi due anni dal suo scoppio, non accenna ad attenuarsi, con conseguenze sempre più pesanti sul piano umanitario e degli equilibri regionali. Non è un mistero, del resto, che l’Eritrea svolga un ruolo di primissimo piano nel conflitto, tanto da indurre numerosi osservatori a ritenere che sia stata proprio Asmara ad orchestrare la nuova massiccia offensiva lanciata a fine agosto dalle forze alleate federali in risposta agli attacchi delle milizie Tplf, che a fine agosto hanno annunciato di aver ripreso il controllo della città di Kobo, nella regione di Amhara. Sebbene le recenti informazioni circolate sui social media circa un presunto dispiegamento di nuove truppe eritree nel nord dell’Etiopia per combattere al fianco delle Endf non abbiano trovato riscontro, è ormai acclarato che militari eritrei siano presenti in territorio etiope dallo scoppio del conflitto, come apertamente ammesso anche dallo stesso primo ministro etiope Abiy Ahmed nel marzo del 2021. Fonti umanitarie citate dai media internazionali hanno peraltro riferito di bombardamenti di artiglieria pesante da parte dell’aviazione di Asmara nei pressi della città di Shiraro, nel nord del Tigrè vicino al confine con l’Eritrea, la scorsa settimana. Inoltre, nel maggio scorso – a tregua in corso – le forze eritree sono state accusate dalle Nazioni Unite di aver sparato almeno 23 colpi di artiglieria contro l’abitato di Shiraro, uccidendo una ragazza di 14 anni e ferendo 18 persone.

L’ostilità dell’Eritrea e del suo presidente di lunga data Isaias Afwerki nei confronti della leadership del Tplf affonda le sue radici nell’antica rivalità risalente agli anni ’70 e culminata nel sanguinoso conflitto combattuto tra il 1998 e il 2000 con l’Etiopia, allora governata dal Tplf che dominava la vita politica in Etiopia dalla fine del regime comunista di Mengistu Haile Mariam, nel 1991. In questo senso la salita al potere nel 2018 del premier etiope Abiy Ahmed, di etnia oromo, ha offerto ad Asmara l’opportunità di “schiacciare” definitivamente il suo nemico storico. Il coinvolgimento dell’Eritrea nel conflitto in Etiopia ha anche implicazioni più ampie, considerando il tentativo di Asmara di riaffermarsi sulla scena regionale dopo due decenni di relativo isolamento diplomatico. In tal senso, un’Etiopia indebolita e disunita rappresenta un’opportunità per gli interessi di Asmara, che punta ad avere un vicino sufficientemente instabile per avere maggiore margine di intervento e influenza ma anche per giustificare una militarizzazione prolungata della regione. Lo scenario migliore per Asmara è, pertanto, quello di un conflitto prolungato e irrisolto in Etiopia in cui la presenza delle forze eritree e il sostegno politico vengano ancora richiesti da Addis Abeba. Non è da escludere, dunque, che a spingere per una nuova recrudescenza del conflitto sia stata proprio la leadership di Asmara, che da un eventuale avvio di colloqui di pace tra governo federale etiope e Tplf avrebbe soltanto da perdere poiché rischierebbe di vedere indebolito il suo ruolo di potenza regionale.

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