Un alto diplomatico dell’Etiopia presso l’ambasciata degli Stati Uniti si è dimesso dal suo incarico come forma di protesta contro le presunte atrocità commesse nel conflitto in corso nella regione settentrionale del Tigrè. “Mi dimetto dal mio incarico per protestare contro la guerra genocida nel Tigrè e contro tutta la repressione e la distruzione che il governo sta infliggendo al resto dell’Etiopia”, ha dichiarato Berhane Kidanemariam, vice capo missione presso l’ambasciata etiope a Washington. In una lettera citata dall’emittente araba “Al Arabiya”, Berhane ha criticato il primo ministro Abiy Ahmed per aver guidato il suo Paese “lungo un oscuro sentiero verso la distruzione e la disintegrazione”, aggiungendo che il governo continua a mentire “mentre il mondo intero è testimone” della realtà dei fatti. Ex membro del comitato centrale del Fronte di liberazione del popolo del Tigrè (Tplf), Berhane è stato espulso dal partito nel 2018. In precedenza ha lavorato anche ai vertici dell’emittente nazionale di stato, la Ethiopian Broadcasting Corporation (Ebc) e come console generale a Los Angeles.
Nella sua lettera il vice capo missione ha dipinto un quadro cupo della situazione nella regione tigrina, sostenendo che “le sue infrastrutture sono state completamente e intenzionalmente distrutte“. Berhane ha avvalorato le testimonianze secondo cui i militari si sono resi responsabili di ripetute violenze: “violentano sistematicamente donne e ragazze. Centinaia di migliaia di persone vengono sfollate, uccise e deliberatamente fatte morire di fame”, ha scritto nella lettera, nella quale ha anche accusato il governo di Addis Abeba di non essere riuscito a chiarire la “presenza di potenze straniere” sul territorio, in palese riferimento alle truppe eritree, la cui partecipazione al conflitto è stata ampiamente documentata ma che continua ad essere ufficialmente negata sia da Addis Abeba che da Asmara. L’attuale ambasciatore etiope a Washington ed ed ex capo di Stato maggiore del premier Ahmed, Fitsum Arega, è finora stato un palese difensore del governo, mentre dalla comunità internazionale continuano a crescere le pressioni affinché venga realmente messa fine alle ostilità. Il premier Ahmed ha infatti dichiarata conclusa l’offensiva militare nella regione a dicembre scorso, ma da allora ripetuti episodi di combattimenti e violenze sono stati documentati da fonti giornalistiche, umanitarie e militari. Le condizioni degli abitanti della regione, dove vivevano stabilmente da anni anche 100mila rifugiati eritrei, si sono pesantemente aggravate.
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